SENTENZA N. 329
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
- Giuseppe FRIGO “
- Alessandro CRISCUOLO “
- Paolo GROSSI “
- Giorgio LATTANZI “
- Aldo CAROSI “
- Marta CARTABIA “
- Sergio MATTARELLA “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del “coordinato disposto” degli articoli 1 della legge 11 ottobre 1990, n. 289 (Modifiche alla disciplina delle indennità di accompagnamento di cui alla legge 21 novembre 1988, n. 508, recante norme integrative in materia di assistenza economica agli invalidi civili, ai ciechi civili ed ai sordomuti e istituzione di un’indennità di frequenza per i minori invalidi) e 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), promosso dalla Corte d’appello di Genova nel procedimento vertente tra M.A.S.M., nella qualità di genitore del minore L.M.A.O., e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) con ordinanza del 3 dicembre 2010, iscritta al n. 53 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2011.
Visti gli atti di costituzione di M.A.S.M., nella qualità di genitore del minore L.M.A.O. e dell’INPS;
udito nell’udienza pubblica dell’8 novembre 2011 il Giudice relatore Paolo Grossi;
uditi gli avvocati Vittorio Angiolini e Gloria Pieri per M.A.S.M., nella qualità di genitore del minore L.M.A.O., e Clementina Pulli per l’INPS.
Ritenuto in fatto
1.— La Corte d’appello di Genova solleva, in riferimento agli articoli 2, 3, 32, 34, 38 e 117 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del “coordinato disposto” degli articoli 1 della legge 11 ottobre 1990, n. 289 (Modifiche alla disciplina delle indennità di accompagnamento di cui alla legge 21 novembre 1988, n. 508, recante norme integrative in materia di assistenza economica agli invalidi civili, ai ciechi civili ed ai sordomuti e istituzione di un’indennità di frequenza per i minori invalidi) e 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), nella parte in cui subordina l’erogazione dell’indennità di frequenza per il cittadino minore extracomunitario alla titolarità della carta di soggiorno.
Premette la Corte rimettente di essere stata investita dall’appello proposto dalla madre di un minore avverso la decisione che aveva respinto la richiesta di riconoscimento del beneficio dell’indennità di frequenza di cui alla legge n. 289 del 1990: pur essendo stata riconosciuta la sussistenza dei requisiti sanitari e delle altre condizioni previste dalla legge, la provvidenza era stata tuttavia negata per la mancanza della carta di soggiorno, avendo l’appellante richiesto il primo permesso di soggiorno nel 2006 e, perciò, non trovandosi nel territorio nazionale da almeno cinque anni, come richiesto ai fini del rilascio di quel documento.
Dopo essersi soffermata sulle condizioni del minore cui si riferisce la domanda negata dal primo giudice per la ragione anzidetta e aver analizzato natura e funzione della provvidenza in questione, il giudice rimettente – nello scrutinare la non manifesta infondatezza della eccezione di legittimità costituzionale dedotta in sede di gravame – ripercorre il panorama della giurisprudenza di questa Corte, tanto in ordine al sindacato di conformità della normativa interna ai princìpi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, quanto in merito alla portata preclusiva della disposizione censurata nei confronti dei cittadini extracomunitari. Rammentati, in particolare, i princìpi enunciati nelle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 in ordine alla possibilità di dedurre la violazione dell’art. 117 Cost. nell’ipotesi di un contrasto tra la norma interna e la CEDU, il giudice a quo segnala i precedenti offerti dalle sentenze n. 306 del 2008, in tema di indennità di accompagnamento, n. 11 del 2009, in tema di pensione di inabilità e, specialmente, n. 187 del 2010, con la quale venne dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, qui denunciato, nella parte in cui subordinava al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato dell’assegno mensile di invalidità di cui all’art. 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del d.l. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili).
Su tale pronuncia la Corte rimettente si sofferma con particolare attenzione, insistendo sulla analogia tra la provvidenza di cui al giudizio a quo e quelle di cui alle richiamate pronunce, sotto il profilo dei requisiti richiesti. A proposito del requisito della permanenza in Italia, si sottolinea come solo con la legge n. 388 del 2000 siano state introdotte previsioni sensibilmente restrittive nei confronti dei cittadini extracomunitari: il che non potrebbe reputarsi consentito, al lume degli orientamenti di questa Corte, ove la permanenza legale dello straniero non sia episodica né di breve durata e vengano in discorso limitazioni per il godimento di diritti fondamentali della persona, riconosciuti, invece, ai cittadini.
Nella specie – sottolinea il giudice a quo – l’appellante ha presentato domanda volta ad ottenere l’indennità di frequenza per il figlio minore nel 2007 e la sua presenza in Italia – con un primo permesso di soggiorno rilasciato nel 2003, non nel 2006, come affermato nella sentenza impugnata – non potrebbe certo ritenersi episodica o di breve durata. D’altra parte, per un minore bisognevole di programmi terapeutici e di frequenza della scuola, l’attesa del compiersi di un periodo di cinque anni di permanenza sul territorio italiano potrebbe finire per comprimere le esigenze di cura e di assistenza che l’ordinamento dovrebbe invece tutelare (richiamandosi, in proposito, anche la sentenza n. 467 del 2002, che estese proprio l’istituto della indennità di frequenza ai bambini che frequentano gli asilo nido).
Ne conseguirebbe, da un lato, la violazione del principio di uguaglianza e dei parametri che assicurano la protezione di diritti primari dell’individuo (quali l’istruzione, art. 34; la salute, art. 32; e l’assistenza sociale, art. 38), nonché dei doveri di solidarietà economica e sociale (art. 2); dall’altro lato, la violazione del dovere di esercitare la potestà legislativa nel rispetto, oltre che della Costituzione, anche dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (art. 117), essendosi introdotto un regime discriminatorio nei confronti di cittadini stranieri incompatibile anche con i princìpi affermati da questa Corte. Si richiama, a tal proposito, la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata con la legge 3 marzo 2009, n. 18 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con Protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e istituzione dell'Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità), e richiamata da questa Corte nella ordinanza n. 285 del 2009, proprio in tema di indennità di frequenza.
2.— Ha depositato memoria di costituzione la parte privata del giudizio a quo, nella qualità di genitore del minore cui si riferisce la richiesta di riconoscimento del beneficio, chiedendo che la Corte accolga la devoluta questione di legittimità costituzionale. Richiamati i termini della controversia, e la rilevanza della questione, la memoria analizza natura e funzione dell’indennità di frequenza, sottolineando come tale provvidenza sia destinata ad assicurare la tutela di diritti fondamentali del minore, alla luce di diffusi rilievi della giurisprudenza costituzionale sul punto (e segnatamente della sentenza n. 187 del 2010, ampiamente riprodotta, a sostegno dell’incostituzionalità, a maggior ragione, della previsione di requisiti ostativi imposti dalle norme denunciate). L’equiparazione ai cittadini e la non discriminazione degli stranieri, il cui regolare soggiorno abbia “carattere non episodico e di non breve durata”, sarebbe, infatti, il principio cardine cui attenersi, almeno quanto alle specifiche provvidenze concernenti il godimento dei diritti fondamentali della persona. Nel non distinguere la specificità di ciascuna provvidenza e nel trascurare il risalto proprio rispetto a questi diritti, le norme denunciate si porrebbero in contrasto con la Costituzione.
3.— Nel giudizio si è costituito l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. A parere dell’Istituto, non sarebbe sindacabile la scelta del legislatore di differenziare le prestazioni e di stabilire che quelle più rilevanti possano essere concesse solo a quegli stranieri che risiedano in Italia da più tempo e con maggiore stabilità, trattandosi, nella specie, non di diritti previdenziali, ma di provvidenze di natura assistenziale in materia di servizi sociali. Una tendenza, questa, evidenziata anche dall’art. 20, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), in tema di requisiti per ottenere l’assegno sociale di cui all’art. 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare). Né sussisterebbe contrasto con l’ordinamento comunitario e con gli obblighi internazionali, alla stregua dei regolamenti comunitari in materia, né violazione dei princìpi della CEDU, posto che la condizione giuridica dello straniero è regolata dall’art. 10, primo comma, Cost., il quale risulta nella specie rispettato, «in quanto le diverse prestazioni di assistenza sociale, riconosciute ai possessori di carta di soggiorno rispetto ai possessori di permesso di soggiorno, appaiono ispirate al principio di ragionevolezza e di rispetto della condizione dello straniero». La disciplina censurata, peraltro, si iscriverebbe in un quadro (legge finanziaria del 2001) che doveva tenere presenti le risorse finanziarie disponibili a fini di assistenza sociale e tali da condizionare le stesse provvidenze anche nei confronti dei cittadini italiani ed equiparati. Quanto, poi, alla Convenzione ONU sulle persone con disabilità, la stessa non richiederebbe ai Paesi di attuare misure al di là delle loro capacità economiche, limitandosi a sancire l’obbligo di interventi volti ad agevolare i disabili nella loro vita di relazione. Nella specie, la norma censurata non discriminerebbe il disabile straniero da quello italiano, giacché come al disabile cittadino si richiede una residenza stabile nello Stato, in egual modo si richiede lo stesso requisito anche allo straniero equiparato.
4.— In una memoria depositata in prossimità dell’udienza, la parte privata ha ribadito la richiesta di accoglimento della questione, ulteriormente evidenziando come i diritti protetti anche dalle disposizioni costituzionali evocate a parametro, e dei quali l’indennità di frequenza sarebbe presidio, rientrino tra quelli fondamentali e inviolabili di cui all’art. 2 Cost.: ciò varrebbe ad attestare l’intrinseca limitazione della discrezionalità legislativa, come riconosciuto dalle numerose pronunce che hanno censurato scelte legislative nella materia, escludendo l’ammissibilità di qualsiasi discriminazione tra cittadini e non cittadini soprattutto quando la misura della protezione risultasse non ragionevole o non proporzionata. Ciò che, per l’appunto, si verificherebbe nella situazione di specie, considerato il carattere «essenziale», oltre che «urgente» e «indilazionabile», della provvidenza in discorso, in mancanza della quale «non solo si toglierebbe l’aiuto proprio a chi è in condizione di più acuto bisogno in ragione dell’essere minore», ma «si pregiudicherebbe […] l’architettura dell’intero sistema» disegnato dalla relativa disciplina, anche alla luce della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. La disposizione denunciata risulterebbe, peraltro, «avulsa dal corpo normativo attinente alla immigrazione extra-comunitaria» e ne disintegrerebbe i «principi portanti»: la «limitazione particolare» da essa imposta al solo straniero per l’accesso a una prestazione sociale concernente diritti fondamentali non si limiterebbe a restringere il campo di applicazione dell’art. 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), ma lo eroderebbe «pressoché compiutamente». La carta e il permesso di soggiorno, infatti, non sarebbero affatto «preordinati a dare criteri per la selezione preclusiva di diritti, soprattutto fondamentali», ma servirebbero, «ai loro titolari, per accedere, oltre che ad agevolazioni nella libera circolazione europea e internazionale, a diritti o prestazioni aggiuntivi rispetto a quelli dovuti a chi sia solo regolarmente o stabilmente soggiornante come straniero»: e «ciò che dovrebbe essere veicolo di accesso a tutele e diritti rafforzati» non potrebbe tramutarsi, attraverso «un’operazione ulteriormente arbitraria», «nel suo opposto, e cioè nel veicolo di discriminazione ingiustificata degli stranieri nell’accesso a diritti anche fondamentali».
5.— Anche l’INPS ha poi depositato una memoria illustrativa nella quale ha segnalato come alla luce dei precedenti di questa Corte – in particolare, le sentenze n. 306 del 2008 e n. 187 del 2010 – emerga che, mentre si è ritenuto irragionevole, ai fini della concessione del beneficio assistenziale, subordinare il rilascio della carta di soggiorno (necessaria per la fruizione della provvidenza) al possesso di un determinato livello di reddito, non altrettanto sembra si possa dire riguardo al requisito relativo alla permanenza in Italia per almeno cinque anni, avendo le citate pronunce fatto riferimento alla necessità che la presenza dello straniero in Italia non abbia carattere «episodico» né sia di «breve durata». La normativa impugnata si sottrarrebbe, pertanto, a rilievi di costituzionalità, avendo il legislatore «correttamente previsto che l’attribuzione dei benefici assistenziali di natura economica sia riconosciuta solo agli stranieri che risultino stabilmente inseriti nel contesto nazionale, così da poter usufruire degli stessi vantaggi dei cittadini in ragione del loro assoggettamento agli oneri – economici e non – ai quali questi ultimi sono soggetti».
Considerato in diritto
1.— La Corte d’appello di Genova solleva, in riferimento agli articoli 2, 3, 32, 34, 38 e 117 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del “coordinato disposto” degli articoli 1 della legge 11 ottobre 1990, n. 289 (Modifiche alla disciplina delle indennità di accompagnamento di cui alla legge 21 novembre 1988, n. 508, recante norme integrative in materia di assistenza economica agli invalidi civili, ai ciechi civili ed ai sordomuti e istituzione di un’indennità di frequenza per i minori invalidi) e 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), nella parte in cui subordina l’erogazione dell’indennità di frequenza per il cittadino minore extracomunitario alla titolarità della carta di soggiorno.
Deve precisarsi che la questione, ancorché formalmente rivolta, nella prospettazione del giudice rimettente, al “coordinato disposto” delle due disposizioni indicate, va propriamente riferita alla norma di cui all’art. 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000, in quanto essa, per l’identificazione della specifica provvidenza economica in esame, implichi il rinvio all’art. 1 della legge n. 289 del 1990.
Il giudice a quo pone a fulcro delle proprie censure i princìpi che questa Corte ha avuto modo di affermare, proprio sul versante della normativa impugnata, nelle sentenze n. 306 del 2008, in tema di indennità di accompagnamento, n. 11 del 2009, in tema di pensione di inabilità, e, specialmente, n. 187 del 2010, con la quale venne dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, qui nuovamente denunciato, nella parte in cui subordinava al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato dell’assegno mensile di invalidità, di cui all’art. 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del d.l. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili), e successive modificazioni.
Messa in luce l’analogia che è dato cogliere tra la provvidenza di cui al giudizio a quo e quelle di cui alle richiamate pronunce, sotto il profilo dei requisiti richiesti – provvidenze accomunate, in particolare, dal fatto di essere misure rivolte a garantire prestazioni assistenziali a persone afflitte da patologie di vario genere ed in disagiate condizioni economiche, nella specie acuite dalla circostanza di dirigersi a persone disabili minorenni – si osserva che la limitazione connessa ad una presenza nel territorio dello Stato di un periodo minimo di cinque anni, come richiesto per la concessione della carta di soggiorno, determinerebbe l’insorgenza di una nutrita gamma di censure sul piano della relativa compatibilità costituzionale. A parere del giudice rimettente, infatti, dalla previsione oggetto di impugnativa deriverebbe, da un lato, la violazione del principio di uguaglianza e dei parametri costituzionali che assicurano la protezione di diritti primari dell’individuo (quali l’istruzione, art. 34; la salute, art. 32; e l’assistenza sociale, art. 38), nonché dei doveri di solidarietà economica e sociale (art. 2); dall’altro, la violazione del dovere di esercitare la potestà legislativa nel rispetto, oltre che della Costituzione, anche dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (art. 117 Cost.), essendosi introdotto un regime discriminatorio nei confronti di cittadini stranieri incompatibile pure con i princìpi affermati da questa Corte anche in riferimento alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata con la legge 3 marzo 2009, n. 18 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con Protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e istituzione dell'Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità).
2.— Si sono costituiti in giudizio – e hanno poi, in prossimità dell’udienza pubblica, depositato memorie illustrative – sia la parte privata del giudizio a quo, nella qualità di genitore del minore interessato alla provvidenza, sia l’INPS, sviluppando gli argomenti qui esposti in narrativa.
3.— La questione è fondata.
4.— Come ha correttamente posto in evidenza l’ordinanza di rimessione, la questione rinviene un precedente specifico nei princìpi posti a base della sentenza n. 187 del 2010, nella quale si osservò che la provvidenza presa allora in esame, per i requisiti che ne condizionavano il riconoscimento, rappresentava una erogazione destinata non già ad integrare il minor reddito in relazione alle condizioni soggettive e alle diminuite capacità di guadagno, ma a fornire alla persona un minimo di sostentamento: in linea, evidentemente, con i princìpi di inderogabile solidarietà sociale, assunti quale valore fondante degli stessi diritti inalienabili dell’individuo, che non ammettono distinzioni di sorta in dipendenza di qualsiasi tipo di qualità o posizione soggettiva e, dunque, anche in ragione del diverso status di cittadino o di straniero. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo – si rilevò – ha più volte avuto modo di sottolineare che, ove si versi – come era nel caso – in tema di provvidenze destinate a far fronte al sostentamento della persona, qualsiasi distinzione di regime che venisse introdotta fra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato finirebbe per risultare in contrasto con il principio di non discriminazione sancito dall’art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Pertanto, la normativa allora oggetto di censura, nell’intervenire direttamente e restrittivamente sui presupposti di legittimazione al conseguimento delle provvidenze assistenziali dirette a soddisfare esigenze fondamentali della persona, fu ritenuta contrastante con i limiti derivanti dal rispetto degli obblighi internazionali, imposto dall’art. 117, primo comma, Cost., proprio perché introduttiva di un regime irragionevolmente discriminatorio nei confronti degli stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato, per quanto attiene al godimento di diritti da riconoscere ed assicurare a tutti ed in egual misura.
5.— Tali princìpi valgono, eo magis, con specifico riferimento all’istituto assistenziale oggetto dell’attuale quesito di legittimità costituzionale, giacché dalla disamina dei relativi presupposti e finalità emerge con chiarezza una gamma di esigenze di tutela della persona ancor più estesa di quella coinvolta dai diversi – ancorché finitimi – beneficii di carattere assistenziale sin qui scrutinati, sotto lo specifico aspetto della peculiare e restrittiva disciplina per gli stranieri, introdotta dall’art. 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000.
Come questa Corte ha avuto modo di sottolineare nella richiamata sentenza n. 187 del 2010, ciò che assume valore dirimente agli effetti del sindacato ad essa riservato, non è la denominazione o l’inquadramento formale della singola provvidenza, quanto, piuttosto, il concreto atteggiarsi di questa nel panorama delle varie misure e dei beneficii di ordine economico che il legislatore ha predisposto quali strumenti di ausilio ed assistenza in favore di categorie “deboli”. Per la compatibilità costituzionale delle scelte legislative occorre, infatti, verificare se, «alla luce della configurazione normativa e della funzione sociale», la misura presa in considerazione «integri o meno un rimedio destinato a consentire il concreto soddisfacimento di “bisogni primari” inerenti alla sfera di tutela della persona umana, che è compito della Repubblica promuovere e salvaguardare…».
In tale quadro di riferimento è agevole avvedersi di come il riconoscimento della indennità di frequenza si iscriva nel novero delle provvidenze, per così dire, “polifunzionali”, giacché i bisogni che attraverso di essa si intendono soddisfare non si concentrano soltanto sul versante della salute e della connessa perdita o diminuzione della capacità di guadagno, ma, anche, su quello delle esigenze formative e di assistenza di minori colpiti da patologie invalidanti e appartenenti a nuclei familiari che versino in disagiate condizioni economiche.
Stabilisce, infatti, l’art. 1 della legge 11 ottobre 1990, n. 289 che la indennità di frequenza – di importo pari all’assegno mensile riconosciuto agli invalidi civili dall’art. 13 della legge n. 118 del 1971 – viene riconosciuta ai mutilati ed invalidi civili minorenni, che presentino «difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni della propria età» o siano portatori di un determinato grado di ipoacusia, al fine di consentire «il ricorso continuo o anche periodico a trattamenti riabilitativi o terapeutici a seguito della loro minorazione». L’indennità in questione è altresì concessa ai mutilati e invalidi civili minorenni, che si trovino nelle condizioni anzidette, e «che frequentano scuole, pubbliche o private, di ogni ordine e grado, a partire dalla scuola materna, nonché centri di formazione o di addestramento professionale finalizzati al reinserimento sociale dei soggetti stessi». L’indennità in questione, infine, è erogata alle medesime condizioni reddituali stabilite per l’assegno mensile di invalidità di cui al citato art. 13 della legge n. 118 del 1971, ed è assoggettata al medesimo meccanismo di perequazione automatica.
Un quadro di riferimento, dunque, dal quale traspare, soprattutto, una finalità direttamente riconducibile alla salvaguardia delle esigenze di cura e di assistenza di persone minorenni portatrici di patologie significative ed invalidanti e, come tali, direttamente inquadrabili nell’ambito di quegli interventi di natura solidaristica che l’ordinamento è chiamato ad approntare; e ciò, come è ovvio, tanto sul versante specifico della salute, che su quello del relativo inserimento sociale, con l’attenzione rivolta a fornire il necessario ausilio, anche economico, per le relative famiglie, specie nei casi in cui – come i limiti di reddito cui è subordinato il beneficio ineluttabilmente attestano – versino in condizioni disagiate.
Come questa Corte non ha mancato di sottolineare, la tutela della salute psico-fisica della persona disabile – che costituisce la finalità perseguita dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) – postula anche l’adozione di interventi economici integrativi di sostegno alle famiglie, il cui ruolo resta fondamentale (sentenza n. 233 del 2005). Accanto a ciò, assume un risalto del tutto peculiare, proprio nella prospettiva di agevolare l’inserimento sociale del minore portatore di infermità che ne ledano la socialità, la relativa frequenza a centri specializzati nel trattamento terapeutico e riabilitativo e «nel recupero di persone portatrici di handicap» ovvero a «centri di formazione o di addestramento professionale finalizzati al reinserimento sociale dei soggetti stessi», come recita l’art. 1 della legge n. 289 del 1990. Il tutto, d’altra parte – come segnalato nella ordinanza n. 285 del 2009 – in linea con i princìpi affermati anche nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata dalla Assemblea Generale il 13 dicembre 2006 e ratificata con la legge n. 18 del 2009, ove vengono, fra l’altro, sottolineati, oltre che l’esigenza di assicurare il pieno rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali con particolare riguardo ai bambini con disabilità (art. 7), anche l’impegno a sviluppare le misure tese a soddisfare le esigenze educative e rieducative dei soggetti portatori di disabilità, quelle connesse alla salute e al lavoro nonché quelle tese a garantire un adeguato livello di vita e di protezione sociale.
Il contesto in cui si iscrive la indennità di frequenza è, dunque, quanto mai composito e costellato di finalità sociali che coinvolgono beni e valori, tutti, di primario risalto nel quadro dei diritti fondamentali della persona. Si va, infatti, dalla tutela della infanzia e della salute alle garanzie che devono essere assicurate, in situazioni di parità, ai portatori di handicap, nonché alla salvaguardia di condizioni di vita accettabili per il contesto familiare in cui il minore disabile si trova inserito, coinvolgendo al tempo stesso l’esigenza di agevolare il futuro ingresso del minore nel mondo del lavoro e la partecipazione attiva alla vita sociale.
Ebbene, a fronte di tutto ciò, il condizionamento che viene imposto ai fini del riconoscimento del beneficio in questione per i minori stranieri, pur regolarmente presenti nel territorio dello Stato, rappresentato dalla titolarità della carta di soggiorno, finisce per determinare, per un periodo minimo di cinque anni – quello richiesto per il rilascio della carta – una sostanziale vanificazione, incompatibile non soltanto con le esigenze di “effettività” e di soddisfacimento che i diritti fondamentali naturalmente presuppongono, ma anche con la stessa specifica funzione della indennità di frequenza, posto che – come ha puntualmente messo in luce il giudice rimettente – l’attesa del compimento del termine di cinque anni di permanenza nel territorio nazionale potrebbe «comprimere sensibilmente le esigenze di cura ed assistenza di soggetti che l’ordinamento dovrebbe invece tutelare», se non, addirittura, vanificarle in toto.
La normativa di cui qui si discute risulta, dunque, in contrasto, non solo con l’art. 117, primo comma, Cost., in riferimento all’art. 14 della CEDU, per come interpretato dalla Corte di Strasburgo, ma anche con i restanti parametri evocati dal giudice a quo, posto che il trattamento irragionevolmente differenziato che essa impone – basato sulla semplice condizione di straniero regolarmente soggiornante sul territorio dello Stato, ma non ancora in possesso dei requisiti di permanenza utili per conseguire la carta di soggiorno – vìola, ad un tempo, il principio di uguaglianza e i diritti alla istruzione, alla salute ed al lavoro, tanto più gravemente in quanto essi si riferiscano a minori in condizione di disabilità.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), nella parte in cui subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione ai minori extracomunitari legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato della indennità di frequenza di cui all’art. 1 della legge 11 ottobre 1990, n. 289 (Modifiche alla disciplina delle indennità di accompagnamento di cui alla legge 21 novembre 1988, n. 508, recante norme integrative in materia di assistenza economica agli invalidi civili, ai ciechi civili ed ai sordomuti e istituzione di un’indennità di frequenza per i minori invalidi).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 2011.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 16 dicembre 2011.