ORDINANZA N. 55
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Ugo DE SIERVO Presidente
- Paolo MADDALENA Giudice
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 61, n. 11-bis, del codice penale, come introdotto dall’art. 1, lettera f), del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 24 luglio 2008, n. 125 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), promossi dal Tribunale di Agrigento con due ordinanze del 3 marzo 2010 e dal Tribunale di Latina con ordinanza del 27 aprile 2010, rispettivamente iscritte ai nn. 210, 211 e 216 del registro ordinanze 2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 33 e 34, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Udito nella camera di consiglio del 26 gennaio 2011 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.
Ritenuto che il Tribunale di Agrigento in composizione monocratica, con ordinanza del 3 marzo 2010 (r.o. n. 210 del 2010), ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, primo e terzo comma, della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 61, numero 11-bis, del codice penale;
che il rimettente procede con rito abbreviato nei confronti di un cittadino straniero accusato dei delitti di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 cod. pen.) e di lesioni personali (art. 582, primo e secondo comma, cod. pen.), entrambi aggravati, a norma dell’art. 61, numero 11-bis, cod. pen., in quanto commessi da persona che, al momento dei fatti, si trovava illegalmente nel territorio nazionale;
che nell’ambito del medesimo giudizio, con ordinanza del 19 maggio 2009, il rimettente aveva già sollevato una questione analoga di legittimità costituzionale;
che, nelle more del giudizio di costituzionalità, erano intervenute alcune varianti nel quadro normativo di riferimento, ed in particolare una disposizione interpretativa volta ad escludere l’applicazione della circostanza aggravante ai cittadini di Paesi dell’Unione europea (art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2009, n. 94, recante «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica»), nonché la nuova figura criminosa di «ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato» (art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, recante «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero», introdotto dall’art. 1, comma 16, della citata legge n. 94 del 2009);
che la Corte costituzionale, in base agli indicati mutamenti del quadro normativo, con l’ordinanza n. 66 del 2010, aveva disposto la restituzione degli atti al rimettente, al fine di una nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione sollevata;
che lo stesso rimettente, tanto premesso, osserva come la questione indicata non avrebbe perso il necessario carattere di rilevanza;
che infatti, essendo provate tanto la condotta illecita dell’imputato quanto la sua condizione di soggiorno irregolare, lo stesso imputato dovrebbe essere condannato ad una pena aumentata ex art. 61, n. 11-bis, cod. pen.;
che tale conclusione non sarebbe incisa dalla sopravvenuta introduzione dell’art. 10-bis del T.u. in materia di immigrazione, perché, alla luce del divieto di applicazione retroattiva, la nuova fattispecie non potrebbe essere contestata all’interessato, e d’altro canto la punizione del reato di soggiorno irregolare non influirebbe sull’aumento di pena dovuto, in ragione della previsione circostanziale, riguardo a fatti che non attengano alla disciplina penale dell’immigrazione;
che, in punto di non manifesta infondatezza, il Tribunale ribadisce come la norma censurata contrasti, in primo luogo, con il principio di necessaria offensività del fatto penalmente rilevante (principio ricavabile dagli artt. 25 e 27 Cost.);
che la violazione delle regole sul soggiorno costituirebbe, nell’economia della previsione aggravante, un mero antecedente cronologico del diverso reato commesso dallo straniero, senza alcun necessario incremento del pericolo o della lesione per l’interesse protetto dalla relativa fattispecie incriminatrice;
che una presunzione di pericolosità fondata sulla violazione delle norme concernenti i flussi migratori sarebbe priva di legittimazione, anche dopo l’autonomo significato penale assunto dalla relativa condotta, e non avrebbe comunque attinenza alla lesione tipica del diverso reato commesso dallo straniero;
che infatti l’introduzione del nuovo art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 andrebbe letta, alla luce del principio di offensività, come risposta sanzionatoria ad una condotta concretamente lesiva dell’interesse al controllo dei flussi migratori, e non quale riconoscimento di uno status di pericolosità connesso alla condizione di soggiorno irregolare;
che la previsione di un aggravamento di pena senza connessione all’offesa tipica del corrispondente reato implica, secondo il rimettente, anche una violazione dell’art. 3 Cost., non trovando giustificazione la differenza di trattamento sanzionatorio istituita, per un identico illecito, tra lo straniero in condizione di soggiorno irregolare ed il cittadino italiano o lo straniero regolarmente presente sul territorio nazionale;
che la conclusione, a parere del Tribunale, è avvalorata dall’anomalia della previsione censurata rispetto ad altre aggravanti che pure si fondano su comportamenti antecedenti al reato;
che infatti le relative previsioni – a differenza dell’art. 61, numero 11-bis, cod. pen. – consentirebbero sempre una valutazione del giudice circa la concreta incidenza sul disvalore del fatto successivo, o sulla connessa manifestazione di pericolosità dell’agente;
che in particolare, per l’applicazione della recidiva (art. 99 cod. pen.), occorre che il reato pregresso sia stato accertato con sentenza irrevocabile, e che lo stesso reato sia consistito in un delitto non colposo (mentre il soggiorno irregolare, a fini di applicazione dell’aggravante, viene accertato incidentalmente, e consiste in una mera contravvenzione); occorre inoltre (fuori dai casi indicati al quinto comma dell’art. 99 cod. pen.) che il giudice accerti in concreto la rilevanza del precedente quale espressione di una accentuata colpevolezza e di una maggior pericolosità (mentre l’aggravante in considerazione andrebbe applicata senza alcuna discrezionalità);
che la fattispecie della latitanza (art. 61, numero 6, cod. pen.) presuppone una valutazione giudiziale, non presuntiva, circa la ricorrenza di gravi indizi della responsabilità per un precedente delitto e circa la concreta pericolosità dell’interessato, mentre la previsione censurata si riferisce ad una mera violazione contravvenzionale, verificata incidentalmente e non connessa ad un provvedimento specifico né, comunque, ad una valutazione individualizzata di pericolosità;
che la scelta di latitanza, inoltre, legittimerebbe per se stessa un certo allarme, mentre la circostanza in questione si applica indipendentemente da qualsiasi tentativo dell’interessato di sottrarsi alle conseguenze del proprio reato contravvenzionale;
che il rimettente sviluppa analoghe considerazioni comparando la norma censurata all’art. 7 della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere), la cui previsione aggravante si applica solo per determinate classi di reati, nei confronti di persone assoggettate a misura di prevenzione ed entro un certo termine dalla cessazione del relativo trattamento;
che le comparazioni effettuate renderebbero evidente, secondo il Tribunale, come l’ordinamento ammetta la previsione di aggravanti fondate su uno status personale solo a condizione che sia formulabile, nel caso concreto, un giudizio di particolare pericolosità dell’agente o di maggior riprovazione per il fatto commesso, fondato sulla specifica correlazione tra condotta antecedente e nuova manifestazione criminosa;
che tale condizione farebbe difetto nella previsione censurata, poiché la stessa collega la (maggior) sanzione ad un mero fatto di disobbedienza, oppure ad uno status privo di qualunque connessione con il fatto illecito, così violando i principi di offensività e di uguaglianza;
che il Tribunale di Agrigento in composizione monocratica, con ordinanza del 3 marzo 2010 (r.o. n. 211 del 2010), ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, primo e terzo comma, Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 61, numero 11-bis, cod. pen.;
che il rimettente procede con rito abbreviato nei confronti di un cittadino straniero accusato dei delitti di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 cod. pen.) e di lesioni personali (artt. 582 e 585 cod. pen.), oltre che del reato di «indebito trattenimento» nel territorio dello Stato (art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998), e che per i primi due, tra i delitti elencati, è contestata l’aggravante del fatto commesso da straniero in condizione di soggiorno irregolare;
che nell’ambito del medesimo giudizio, con ordinanza dell’8 luglio 2009, il rimettente aveva già sollevato un’analoga questione di legittimità costituzionale, avuto riguardo alla previsione circostanziale introdotta dalla lettera f) del comma 1 dell’art. 1 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica);
che, nelle more del giudizio di legittimità costituzionale, erano intervenute alcune modifiche testuali della disposizione censurata (art. 1, comma 1, della legge di conversione 24 luglio 2008, n. 125) ed alcune varianti nel quadro normativo di riferimento: in particolare, una disposizione interpretativa volta ad escludere l’applicazione della circostanza aggravante ai cittadini di Paesi dell’Unione europea (art. 1, comma 1, della legge n. 94 del 2009), ed una nuova figura criminosa di «ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato» (art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, introdotto dall’art. 1, comma 16, della citata legge n. 94 del 2009);
che in base agli indicati mutamenti del quadro normativo – prosegue il rimettente – la Corte costituzionale, con l’ordinanza n. 66 del 2010, aveva disposto la restituzione degli atti al fine di una nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione sollevata;
che lo stesso rimettente, tanto premesso, osserva come la questione indicata non avrebbe perso il necessario carattere di rilevanza;
che infatti, essendo provate tanto le condotte illecite dell’imputato che la sua condizione di soggiorno irregolare, dovrebbe essere irrogata una pena con aumento a norma dell’art. 61, n. 11-bis, cod. pen.;
che tale conclusione non sarebbe incisa dalle modifiche al testo della disposizione censurata, di carattere asseritamente formale, né dalla sopravvenuta introduzione dell’art. 10-bis del T.u. in materia di immigrazione, perché, alla luce del divieto di applicazione retroattiva, la nuova fattispecie non potrebbe essere contestata all’interessato, e, d’altro canto, la punizione quale reato del soggiorno irregolare non influirebbe sull’aumento di pena dovuto, in ragione della previsione circostanziale, riguardo a fatti che non attengano alla disciplina penale dell’immigrazione;
che, in punto di non manifesta infondatezza, il Tribunale svolge considerazioni in tutto analoghe a quelle proposte con l’ordinanza r.o. n. 210 del 2010, già sopra illustrate;
che il Tribunale di Latina in composizione monocratica, con ordinanza del 27 aprile 2010 (r.o. n. 216 del 2010), ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 10, primo comma, 13, 25, secondo comma, 27, primo e terzo comma, Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 61, numero 11-bis, cod. pen.;
che il rimettente procede con rito abbreviato nei confronti di tre stranieri di nazionalità extracomunitaria, imputati del delitto di violazione di domicilio (art. 614, primo e quarto comma, cod. pen.), con l’aggravante del fatto commesso da persona in condizione di soggiorno irregolare (contestata nella versione introdotta con il decreto-legge n. 92 del 2008);
che nell’ambito del medesimo giudizio, con ordinanza del 1° luglio 2008, il rimettente aveva già sollevato una prima questione di legittimità costituzionale riguardo all’art. 61, n. 11-bis, cod. pen., evocando i parametri di cui agli artt. 3, 13, 25, secondo comma, 27, primo e terzo comma, Cost.;
che – prosegue il Tribunale – gli atti erano stati restituiti dalla Corte costituzionale per una nuova valutazione di rilevanza e non manifesta infondatezza delle questioni sollevate, alla luce di modifiche del quadro normativo intervenute in pendenza del giudizio di legittimità costituzionale (ordinanza n. 277 del 2009);
che per altro, a parere del rimettente, i dubbi circa la compatibilità costituzionale della previsione aggravante non sarebbero superati, ed anzi investirebbero l’ulteriore parametro di cui all’art. 10, primo comma, Cost.;
che le valutazioni originarie in punto di rilevanza (gli imputati, rei confessi, risultano privi di un titolo per il soggiorno sul territorio nazionale) non sarebbero superate alla luce delle modifiche normative che hanno indotto la Corte costituzionale alla restituzione degli atti;
che, infatti, la variazione testuale operata in sede di conversione non avrebbe influito sul contenuto precettivo della disposizione introdotta con il decreto-legge, vigente al tempo dei fatti contestati nel giudizio principale;
che la seconda innovazione, a seguito della quale la norma censurata deve essere interpretata nel senso che non riguarda i cittadini di Paesi dell’Unione europea (art. 1, comma 1, della legge n. 94 del 2009), sarebbe priva di influenza nel caso di specie, che concerne solo cittadini extracomunitari;
che, infine, non vi sarebbero interferenze tra la previsione censurata ed il reato di «ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato» (art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998), almeno con riguardo a fatti antecedenti alla relativa incriminazione, posto il divieto di applicazione retroattiva e considerato, di conseguenza, che mancherebbero le condizioni per un ipotetico «assorbimento» della fattispecie circostanziale nella nuova ipotesi contravvenzionale (o viceversa);
che la norma censurata contrasterebbe, anzitutto, con i principi di ragionevolezza, uguaglianza e proporzionalità, come desumibili dall’art. 3 Cost., in ragione della carenza di connessione tra l’aggravamento di pena ed il fatto di volta in volta ascritto allo straniero;
che mancherebbe, nella specie, una caratteristica tipica di alcune circostanze fondate su una qualifica personale dell’agente, e cioè l’abuso di tale qualifica per la commissione o la facilitazione del reato (sono citate le previsioni di cui ai numeri 9 e 11 dell’art. 61 cod. pen.);
che ulteriori circostanze a carattere soggettivo – prosegue il rimettente – si fondano sulla condizione del reo, la quale però è conseguenza di un provvedimento giudiziale che accerta una pericolosità qualificata dell’agente, e palesa il reato da lui commesso quale concreta manifestazione di un «antagonismo» più spiccato (sono menzionate l’aggravante cosiddetta della latitanza – art. 61, n. 6, e art. 576, comma 1, n. 3, cod. pen. – e le fattispecie che presuppongono l’appartenenza a pericolose organizzazioni criminali o l’intervenuta applicazione di misure di prevenzione: art. 576, comma 1, n. 4, art. 628, comma 3, n. 3, art. 629, comma 2, cod. pen., nonché art. 7 della legge n. 575 del 1965);
che la fattispecie censurata non potrebbe essere comparata, ad avviso del giudice a quo, neanche alla recidiva, la quale pure non risponde ad una logica di necessaria e concreta relazione con la tipologia del reato contestato;
che la recidiva si fonda, infatti, sulla responsabilità per un precedente illecito penale, definitivamente stabilita dal giudice, ed è applicabile, nella generalità dei casi, solo in base ad una concreta relazione tra i precedenti del reo e la gravità dello specifico fatto in contestazione;
che, sul piano della razionalità del sistema, il rimettente osserva come la rilevanza penale generalizzata delle violazioni di norme concernenti l’ingresso ed il soggiorno nel territorio dello Stato comporti una moltiplicazione ingiustificata del trattamento punitivo, a titolo di sanzione per i reati specifici e di aggravamento della pena per l’ulteriore illecito commesso dallo straniero;
che la previsione censurata opererebbe «una indiscriminata generalizzazione su base soggettiva», incidente «sulla pari dignità umana e sulla libertà personale», e dunque non potrebbe superare lo scrutinio di ragionevolezza, che «deve essere tanto più intenso e più rigoroso quanto è più rilevante, come nella specie, il diritto su cui incide» (è citata, in questa prospettiva, la sentenza della Corte costituzionale n. 519 del 1995);
che la violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza troverebbe conferma, a parere del Tribunale, nella norma di «interpretazione autentica» introdotta dal comma 1 dell’art. 1 della legge n. 94 del 2009, in base al quale l’aggravante in questione non è applicabile nei confronti dei cittadini di Paesi dell’Unione europea;
che infatti, data la possibilità che anche i cittadini «comunitari» si trovino in condizione di soggiorno irregolare, vi sarebbe anzitutto una discriminazione ingiustificata tra cittadini stranieri nell’identica condizione, cioè «a parità di illegale presenza»;
che la norma interpretativa comprometterebbe, più in generale, la ratio invocata a sostegno del maggior sanzionamento degli stranieri in condizione di soggiorno irregolare, cioè l’esigenza di assicurare il controllo dei flussi migratori, posto che l’immunità accordata ad una parte di quegli stranieri renderebbe «quel fine apparente o inidoneo»;
che il principio di non discriminazione, sancito dall’art. 3 Cost., sarebbe ormai inserito in un «sistema multilivello» di garanzia (è citata, in proposito, la sentenza della Corte costituzionale n. 317 del 2009), del quale fanno parte l’art. 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, l’art. 1 del relativo XII protocollo addizionale (pure non ratificato dall’Italia), gli artt. 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea;
che la Corte europea dei diritti dell’uomo – ricorda il rimettente – ha riconosciuto come l’art. 14 della Convenzione ponga il divieto di «un trattamento discriminatorio basato, o motivato, su una caratteristica personale (“situazione”) attraverso la quale delle persone o gruppi di persone si distinguono gli uni dagli altri» (è citata la sentenza 1° dicembre 2009, G.n. ed altri contro Italia);
che, sempre a parere del Tribunale, la previsione di cui al n. 11-bis dell’art. 61 cod. pen. contrasterebbe con il principio di ragionevolezza anche nella prospettiva dell’art. 13 Cost., norma la quale, attenendo ad un diritto inviolabile della persona, riguarda senza distinzione i cittadini e gli stranieri (è citata la sentenza della Corte costituzionale n. 62 del 1994);
che, infatti, le privazioni della libertà personale non potrebbero legittimamente fondarsi su arbitrarie presunzioni di pericolosità (sono citate la sentenza della Corte costituzionale n. 58 del 1995 e, per altro verso, la sentenza n. 148 del 2008);
che anche nei suoi profili applicativi, secondo il giudice a quo, la norma censurata darebbe luogo a molteplici situazioni di «evidente irragionevolezza»;
che, infatti, alla luce della giurisprudenza in materia di successione nel tempo di leggi concernenti l’immigrazione (è citata la sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite penali, n. 2451 del 2008), l’aggravante dovrebbe essere applicata anche nei confronti dello straniero che, dopo il fatto, abbia conseguito un valido titolo di soggiorno, con conseguente eliminazione della «ragione presuntiva della sua pericolosità»;
che lo straniero il quale, dopo l’ingresso illegale in Italia, abbia chiesto l’asilo politico o lo status di rifugiato potrebbe essere definitivamente condannato con pena aumentata ex art. 61, numero 11-bis, cod. pen., per quanto, nel caso di successivo accoglimento della sua domanda, il suo soggiorno dovrebbe essere considerato regolare fin dall’inizio (in tal senso è citato l’art. 31 della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 24 luglio 1954, n. 722);
che il divieto di espulsione degli stranieri minorenni – in conseguenza della Convenzione sui diritti del fanciullo, stipulata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176 – potrebbe dar luogo all’ulteriore paradosso di minori condannati ad una pena aggravata nonostante il loro «diritto a soggiornare», sempre che la previsione censurata non si ritenga inapplicabile, appunto, nei confronti dei minorenni;
che la norma oggetto di censura violerebbe anche il principio di offensività, assurto a rango costituzionale con la previsione del secondo comma dell’art. 25 Cost., e valevole anche con riguardo alle previsioni circostanziali (sono citate in proposito le sentenze della Corte costituzionale n. 409 del 1989, n. 519 del 2000 e n. 265 del 2005);
che infatti l’aumento di pena in essa previsto dovrebbe essere applicato a prescindere da una verifica di effettiva incidenza del fatto circostanziale sulla gravità del reato;
che la violazione del principio di necessaria corrispondenza tra risposta sanzionatoria e carica offensiva del fatto sarebbe particolarmente evidente, ad esempio, nei reati colposi, e comunque in tutti i casi in cui manchi connessione tra contenuto lesivo della condotta e condizione di soggiorno irregolare (è citata, in questa prospettiva, la sentenza della Corte costituzionale n. 354 del 2002);
che la valorizzazione dello status di soggiornante irregolare, in definitiva, esprimerebbe la logica del diritto penale d’autore, logica che il sistema costituzionale rifiuta nella prospettiva combinata dell’offensività e della pari dignità tra le persone (sono citate le sentenze della Corte costituzionale n. 14 del 1971 e n. 370 del 1996);
che il rimettente prospetta, ancora, una violazione dell’art. 27 Cost., «sotto il profilo del principio della personalità della responsabilità penale, del principio di proporzionalità della pena, del principio rieducativo della pena»;
che, per quanto attiene al primo comma dell’art. 27 Cost., la norma censurata esprimerebbe un rimprovero con riguardo non ad una qualificata attitudine delinquenziale, ma ad una condizione personale del reo, senza alcuna considerazione, oltretutto, per il «grado di partecipazione psichica» dell’agente rispetto alla propria condizione di «illegalità» nel soggiorno, data anche l’irrilevanza del «giustificato motivo» che potrebbe sottendere alla violazione delle regole in materia di immigrazione;
che il difetto di proporzionalità della pena inflitta, almeno riguardo all’aumento previsto dalla norma censurata per un fatto sostanzialmente stabile nei suoi profili offensivi, determinerebbe inoltre, a parere del rimettente, la violazione del terzo comma dell’art. 27 Cost., poiché la funzionalità rieducativa della sanzione è condizionata, appunto, dalla sua proporzionalità (sono citate le sentenze della Corte costituzionale n. 72 del 1980 e n. 103 del 1982);
che l’indifferenza della previsione aggravante rispetto alle ragioni ed alla stessa tipologia della violazione di norme pertinenti all’immigrazione comporterebbe, oltre che un nuovo ed autonomo profilo di contrasto con il principio di uguaglianza, riflessi negativi sul piano della valenza risocializzatrice della pena;
che un’analoga portata lesiva dei principi costituzionali – osserva per inciso il Tribunale – caratterizzerebbe il testo novellato dell’art. 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale, laddove esclude la possibilità di sospensione dell’esecuzione di pene detentive nei casi in cui ricorra l’aggravante di cui all’art. 61, numero 11-bis, cod. pen.;
che la discriminazione fondata sulla cittadinanza del reo violerebbe, infine, le «norme di diritto internazionale consuetudinario», e si porrebbe dunque in contrasto con l’art. 10, primo comma, Cost.;
che il divieto di un siffatto trattamento differenziale costituirebbe «un principio divenuto patrimonio riconosciuto ed irrinunciabile della comunità internazionale», come dovrebbe desumersi dall’art. 2, comma 1, e dall’art. 14, comma 1, del Patto internazionale sui diritti civili e politici (adottato a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo in Italia con legge 25 ottobre 1977, n. 881), nonché dall’art. 2, comma 1 e dall’art. 7 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948;
che, se anche le disposizioni evocate non fossero considerate vincolanti, la loro pertinenza a diritti fondamentali della persona le renderebbe essenziali, a parere del Tribunale, nell’opera di interpretazione ed applicazione della nostra Carta costituzionale, la quale dunque potrebbe consentire difformità di trattamento in base all’appartenenza nazionale solo al fine di assicurare interessi concomitanti di rango analogo, che nella specie non sussistono.
Considerato che il Tribunale di Agrigento, con due ordinanze di contenuto analogo (r.o. numeri 210 e 211 del 2010), ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, primo e terzo comma, della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 61, numero 11-bis, del codice penale;
che molteplici questioni sono state sollevate anche dal Tribunale di Latina (r.o. n. 216 del 2010), riguardo alla stessa norma, per l’asserito contrasto con gli artt. 3, 10, primo comma, 13, 25, secondo comma, 27, primo e terzo comma, Cost.;
che la disposizione censurata, prevedendo una circostanza aggravante comune per i fatti commessi dal colpevole mentre si trova illegalmente sul territorio nazionale, e dunque disponendo un aumento della pena in base ad una mera condizione soggettiva del reo, violerebbe secondo il Tribunale di Agrigento l’art. 3 Cost., dato che fatti di identica natura sarebbero puniti in misura differente a seconda che il reo si trovi o non regolarmente nel territorio dello Stato;
che inoltre, a parere del Tribunale di Latina, violerebbe l’art. 3 Cost. la previsione che fatti di identica natura siano puniti in misura differente a seconda che il reo in condizione di soggiorno irregolare sia o non cittadino di uno Stato dell’Unione europea;
che, secondo i rimettenti, non potrebbe giustificarsi la sostanziale assimilazione, attraverso l’istituzione di un’aggravante comune e di automatica applicazione, fra il trattamento di soggetti che abbiano solo violato una norma contravvenzionale priva di pertinenza al reato contestato e quello di soggetti che, nel commettere l’analogo reato, abbiano abusato della propria funzione o qualità personale (art. 61, numeri 9 e 11, cod. pen.), o abbiano già commesso reati in precedenza (artt. 70, ultimo comma, e 99 cod. pen.), o siano stati già individuati come pericolosi mediante un provvedimento giudiziale (art. 61, n. 6, art. 576, comma 1, nn. 3 e 4, art. 628, comma 3, n. 3, art. 629, comma 2, cod. pen.; art. 7 legge 31 maggio 1965, n. 575, recante «Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere»);
che la presunzione di maggior pericolosità collegata alla mera assenza di un titolo di legittimo soggiorno nel territorio dello Stato, senza alcuna necessaria correlazione tra la condizione del reo e la gravità del reato, e senza alcuna distinzione tra le varie possibili violazioni della normativa in materia di immigrazione, sarebbe priva di intrinseca ragionevolezza;
che altrettanto dovrebbe dirsi, secondo il Tribunale di Latina, considerando che l’aggravamento di pena previsto dalla norma censurata dovrebbe applicarsi anche nel caso di sopravvenuta regolarizzazione del soggiorno, o nel caso (concernente i minorenni) che sia vietata l’espulsione nonostante l’irregolarità del soggiorno medesimo;
che nella specie, sempre a parere del Tribunale di Latina, sarebbe violato anche l’art. 10, primo comma, Cost., per il contrasto tra la norma censurata ed il principio, generalmente riconosciuto nel diritto internazionale, di non discriminazione tra le persone in ragione della loro nazionalità o cittadinanza;
che lo stesso rimettente prospetta una concomitante violazione dell’art. 13 Cost., poiché il diritto alla libertà personale, inviolabile e come tale riferibile in pari misura al cittadino ed allo straniero, sarebbe sacrificato senza alcun ragionevole bilanciamento con la tutela di beni di analogo rango costituzionale;
che sarebbero ulteriormente violati gli artt. 25, secondo comma, e 27, primo comma, Cost., per il difetto di pertinenza del maggior trattamento punitivo al fatto di reato, e per la sua esclusiva inerenza ad uno «status personale del reo», con elusione del principio di offensività e secondo la logica del «diritto penale d’autore»;
che il principio di colpevolezza, secondo il Tribunale di Latina, sarebbe vulnerato, in particolare, per il difetto di proporzione tra la pena ed il grado della responsabilità personalmente riferibile al reo, anche in ragione dell’irrilevanza di un eventuale «giustificato motivo» per la violazione delle norme in materia di immigrazione;
che la norma censurata, infine, contrasterebbe con il terzo comma dell’art. 27 Cost., perché la sproporzione per eccesso della sanzione rispetto alla gravità del fatto varrebbe ad escludere la finalizzazione rieducativa della pena;
che le questioni indicate, per l’analogia del loro oggetto, possono essere definite congiuntamente;
che nelle more del presente giudizio, con la sentenza n. 249 del 2010, questa Corte ha già dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 61, numero 11-bis, cod. pen., dichiarando altresì, in via consequenziale, l’illegittimità dell’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica) e dell’art. 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale, limitatamente alle parole «e per i delitti in cui ricorre l’aggravante di cui all’art. 61, primo comma, numero 11-bis), del medesimo codice,»;
che dunque le questioni sollevate sono divenute prive di oggetto, e per tale ragione vanno dichiarate manifestamente inammissibili, posto che, in ragione dell’efficacia ex tunc con la quale la norma censurata è stata rimossa dall’ordinamento, i giudici rimettenti non potrebbero essere utilmente chiamati ad una nuova valutazione di rilevanza delle questioni medesime (tra le molte, ordinanze nn. 306 e 78 del 2010 e n. 327 del 2009).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALEriuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 61, n. 11-bis, del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 10, primo comma, 13, 25, secondo comma, 27, primo e terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Agrigento e dal Tribunale di Latina, in composizione monocratica, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 febbraio 2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 febbraio 2011.