Sentenza n. 103 del 1982
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SENTENZA N. 103

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 186, u.c., e 189, comma 1, del codice penale militare di pace (insubordinazione); dell'art. 12 del r.d.l. 26 gennaio 1931, n. 122, conv. in legge 18 giugno 1931, n. 919; dell'art. 78 del r.d. 22 dicembre 1872, n. 1210 sexies; dell'art. 29 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 2903; dell'art. 16 del r.d. 19 ottobre 1923, n. 2316 e degli artt. 9, comma 2, e 50, comma 2, del r.d. 9 settembre 1941, n. 1022 (ordinamento giudiziario militare di pace - dipendenza del magistrato relatore dagli organi requirenti); giudizi promossi con ordinanze emesse dai Tribunali militari territoriali di Padova il 31 ottobre 1979, il 22 febbraio e il 5 marzo 1980, di Torino l'11 novembre 1980, di Padova il 9 ottobre 1980, di Torino l'11 dicembre 1980, il 27 e il 28 gennaio, il 18, il 19 e il 24 febbraio 1981, di Verona il 19 dicembre 1980 e di Torino il 25 e il 26 febbraio, il 5, il 10, l'11 e il 18 marzo, il 1 aprile e il 6 maggio 1981,rispettivamente iscritte ai numeri 15, 338, 339 888 e 900 del registro ordinanze 1980 ed ai numeri 140, 196, 208, 209, 215,235, 247, 256, 257, 283, 284, 352, 353, 517 e 518 del registro ordinanze 1981 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 71, 180 e 194 del 1980 e nn. 63, 70, 151, 186, 193, 221, 248, 255 e 318 del 1981.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 24 marzo 1982 il Giudice relatore Francesco Saja;

udito l'avvocato dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza del 9 ottobre 1980 (in G.U. n. 70 dell'11 marzo 1981) emessa nel procedimento penale a carico di Bortolami Gian Carlo, imputato di insubordinazione con ingiuria e minaccia verso superiore non ufficiale, il Tribunale militare territoriale di Padova sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 50 dell'ordinamento giudiziario militare di pace, approvato con r.d. 9 settembre 1941 n. 1022, che, stabilendo la dipendenza del magistrato relatore dagli organi requirenti, sembrava contrastare con il principio di indipendenza della magistratura, di cui agli artt. 102 e 108 della Costituzione.

La dipendenza del giudice relatore dal procuratore generale militare trovava poi specificazione negli artt. 12 r.d.l. 26 gennaio 1931, n. 122, convertito in l. 18 giugno 1931 n. 919, 78 r.d. 22 dicembre 1872 n. 1210 sexies, 29 r.d. 30 dicembre 1923 n. 2903 e 16 r.d. 19 ottobre 1923 n. 2316, in materie di assegnazione alla funzione ed alla sede, di promozione e disciplinare. Anche queste norme venivano denunciate per prospettabile contrasto con gli artt. 102 e 108 Cost.

Il Tribunale sollevava ancora questione di legittimità costituzionale dell'art. 9 r.d. n. 1022 del 1941 cit., in materia di durata in carica dei giudici militari (del collegio faceva parte un ufficiale riconfermato per un biennio), sempre per contrasto con l'art. 108 Cost., che comporta la rigida predeterminazione per legge della durata dell'ufficio e la previsione delle cause di incompatibilità e di decadenza.

É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri.

2. - Nel corso di un procedimento penale a carico di Falcinelli Stefano, imputato di insubordinazione con ingiuria e violenza verso superiore ufficiale, il Tribunale militare territoriale di Torino, con ordinanza del 19 febbraio 1981 (in G.U. n. 193 del 15 luglio 1981) sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 186, ultimo comma, prima ipotesi, c.p.m.p., nella parte in cui esso prevede la reclusione militare non inferiore a cinque anni per il reato di insubordinazione con violenza, consistente in lesioni lievi o percosse, verso il superiore ufficiale. La norma contrasterebbe con gli artt. 3 e 27 Cost., giacché, per effetto della sentenza della Corte costituzionale 24 maggio 1979 n. 26, il reato, più grave, di insubordinazione con lesione grave verso il superiore ufficiale viene punito con la più lieve pena della reclusione da tre a sette anni.

La medesima questione viene sollevata dallo stesso Tribunale con ordinanza 18 febbraio 1981 (in G.U. n. 248 del 9 settembre 1981), Volpe, imputato di insubordinazione aggravata con percosse verso superiore ufficiale.

3. - Con ordinanza 19 dicembre 1980 (in G.U. n. 255 del 16 settembre 1981), Francesconi, imputato di insubordinazione con violenza commessa da militare in congedo, a causa del servizio anteriormente prestato, il Tribunale militare territoriale di Verona sollevava questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 186, ultimo comma, prima ipotesi, c.p.m.p. (insubordinazione con lesioni lievi contro superiore ufficiale); in essa si richiama la sentenza di questa Corte n. 26 del 1979, denunciando così l'assoluta arbitrarietà e irragionevolezza della comminatoria ivi contenuta (contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost.), anche in relazione ad analoghe fattispecie di diritto penale comune, ed ipotizzando altresì un contrasto della citata norma con l'art. 52 Cost., in quanto la gravità della detta pena non troverebbe giustificazione nei principi della disciplina militare risultanti dalla legge 11 luglio 1978 n. 382, tenuto conto che la pena stessa si applica anche ai militari in congedo, nei limiti di cui all'art. 238 c.p.m.p.

4. - Con ordinanza 31 ottobre 1979 (in G.U. n. 71 del 12 marzo 1980), Tricomi, imputato di insubordinazione con ingiuria, minaccia e violenza verso un superiore non ufficiale, con la continuazione, il Tribunale militare territoriale di Padova sollevava questione di legittimità costituzionale dell'articolo 186, ultimo comma, seconda ipotesi, del codice penale militare di pace, nella parte in cui esso prevede la reclusione militare da tre a dodici anni per il reato di insubordinazione con violenza, consistente in lesioni personali lievi e lievissime o in percosse o in maltrattamenti, verso il superiore non ufficiale. La norma contrasterebbe con l'art. 3 Cost., giacché, per effetto della sentenza della Corte costituzionale 24 maggio 1979 n. 26, il reato, più grave, di insubordinazione con lesione grave nei confronti di superiore ufficiale, viene punito con la più lieve pena della reclusione militare da tre a sette anni.

La medesima questione viene sollevata dal Tribunale militare territoriale di Torino: con ordinanze 24 febbraio 1981, Giannò; 10 marzo 1981, Marchetti; 18 marzo 1981, Montalenti (tutte in G.U. n. 248 del 9 settembre 1981); 11 marzo 1981, Dell'Orco (in G.U. n. 255 del 16 settembre 1981); 1 aprile 1981, Cominetto; 6 maggio 1981, Cepale (entrambe in G.U. n. 318 del 18 novembre 1981).

5. - Con ordinanza 22 febbraio 1980 (in G.U. n. 180 del 2 luglio 1980), Montefusco, imputato di insubordinazione aggravata con ingiuria e minaccia verso superiore ufficiale, il Tribunale militare territoriale di Padova sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 189, primo comma, prima ipotesi, c.p.m.p., nella parte in cui esso prevede la reclusione militare da tre a sette anni per il reato di insubordinazione con ingiuria o minaccia contro un superiore ufficiale. La norma contrasterebbe con l'art. 3 Cost., giacché, per effetto della sentenza della Corte costituzionale 24 maggio 1979 n. 26, il reato, più grave, di insubordinazione con lesione grave verso il superiore ufficiale viene punito con identica pena.

La medesima questione viene sollevata dallo stesso Tribunale con ordinanza 5 marzo 1980 (in G.U. 194 del 16 luglio 1980), Di Cintio, nonché dal Tribunale militare territoriale di Torino con ordinanze 5 marzo 1981 (in G.U. n. 193 del 15 luglio 1981), Bianchetti, 11 novembre 1980 (in G.U. n. 63 del 4 marzo 1981), Novellini, imputati, come il Di Cintio, di insubordinazione aggravata con minaccia verso superiore ufficiale; 11 dicembre 1980 (in G.U. n. 151 del 3 giugno 1981), Maiorano, imputato di insubordinazione con ingiuria verso superiore ufficiale; - 27 gennaio 1981 (in G.U. n. 186 dell'8 luglio 1981), Caruso, e 28 gennaio 1981 (in G.U. n. 193 del 15 luglio 1981), Pelle, entrambi imputati di insubordinazione con ingiurie e minacce verso superiore ufficiale; 19 febbraio1981, Falcinelli, cit.; 18 febbraio 1981, Volpe cit.; 25 febbraio 1981 (in G.U. n. 221 del 2 agosto 1981), Oregioni, e 26 febbraio 1981, Manigrasso (in G.U. n. 221 del 12 agosto 1981), entrambi imputati di insubordinazione con ingiuria verso superiore ufficiale.

In queste ordinanze si prospetta anche, ma senza motivare specificamente, un contrasto della detta norma con l'art. 27 Cost. (finalizzazione della pena alla rieducazione del condannato).

6. - Con la già citata ordinanza 9 ottobre 1980, Bortolami, il Tribunale militare territoriale di Padova sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 189, primo comma, seconda ipotesi, c.p.m.p., nella parte in cui esso prevede la reclusione militare da uno a cinque anni per il reato di insubordinazione con ingiuria o minaccia verso superiore non ufficiale. La norma - che, con la presenza delle aggravanti contestate nella specie, potrebbe comportare la reclusione da un minimo di anni due, mesi quattro e giorni quindici ad un massimo di anni otto, mesi dieci e giorni dieci - contrasterebbe con l'art. 3 Cost., giacché, per effetto della sentenza della Corte costituzionale 24 maggio 1979 n. 26, il reato, più grave, di insubordinazione con lesione grave contro superiore ufficiale é punito con la più lieve pena della reclusione da tre a sette anni.

La norma denunciata contrasterebbe anche con l'art. 27,terzo comma, Cost., per essere la pena sproporzionata alla gravità del fatto e perciò inidonea alla propria funzione rieducativa.

La Presidenza del Consiglio dei ministri, nel suo atto d'intervento, si richiama alla discrezionalità del legislatore nella comminatoria delle pene e, quanto all'art. 27 Cost., alla sentenza 22 novembre 1974 n. 264, con cui la Corte costituzionale ritenne la legittimità dell'ergastolo.

 

Considerato in diritto

 

1. - Tutte le ordinanze di rimessione sottopongono alla Corte questioni identiche o connesse, relative al reato militare di insubordinazione, e pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2. - Una delle predette ordinanze (n. 900/80 Bortolami)solleva, oltre al su indicato problema di carattere sostanziale da quella più grave, relativa alla insubordinazione con lesioni gravissime o gravi in danno di superiore ufficiale.

5. - Come ricordano le ordinanze di rimessione, il testo originario dell'art. 186 risulta ora modificato per effetto della cit. sentenza n. 26 del 1979, non soltanto nei casi in cui la violenza consiste nell'omicidio tentato o preterintenzionale, ma, ed é ciò che qui interessa, anche in quello, sopra ricordato, nel quale la violenza consiste in una lesione grave o gravissima in danno del superiore che sia ufficiale. Precisamente, in tale ultimo caso, per effetto della su indicata sentenza sono divenute applicabili, in luogo dell'ergastolo, le sanzioni stabilite dal codice penale comune per le lesioni gravi o gravissime (art. 583 primo o secondo comma).

Conseguentemente, risulta alterata la coerenza logica del trattamento sanzionatorio stabilito in relazione alle ulteriori ipotesi, in misura decrescente, come si é detto, dalle disposizioni suddette, le quali appunto per questa ragione sono state denunziate dai giudici a quibus.

6. - Ciò detto, osserva la Corte che, in tema di sanzioni penali, il principio di eguaglianza, quale specifica applicazione della regola generale sancita nell'art. 3 della Costituzione, esige che la pena sia proporzionata al fatto commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia, nel contempo, alla funzione di difesa sociale e a quella di tutela delle posizioni individuali. Le valutazioni all'uopo necessarie rientrano senza dubbio nell'ambito del potere discrezionale del legislatore, il cui esercizio può essere censurato sotto il profilo della legittimità costituzionale soltanto nei casi in cui non sia stato rispettato il limite della ragionevolezza, di talché la sanzione comminata risulti irrazionale ed arbitraria (cfr., tra le numerose decisioni, la sent. n. 72 del 1980).

7. - La Corte, con la richiamata sentenza n. 26/1979,avvertì come, in dipendenza degli effetti che da essa scaturivano, il limite della ragionevolezza era da ritenere superato, in particolare nella ipotesi di insubordinazione con lesioni gravissime o gravi in danno di superiore non ufficiale; e ciò in quanto tale (minore) fattispecie criminosa restava sanzionata più severamente di quella (maggiore) di insubordinazione con lesioni gravissime o gravi in danno di superiore ufficiale. Nondimeno, l'ambito della pronuncia venne deliberatamente limitato, ma si aggiunse l'auspicio di un tempestivo intervento del legislatore, il quale, ovviamente, doveva essere diretto a realizzare, sulla scorta della sentenza predetta, la necessaria revisione e la organica regolamentazione del trattamento sanzionatorio di tutte le diverse ipotesi del delitto di insubordinazione.

Ciò non si é verificato, e la disarmonia, a suo tempo indetti sensi rilevata dalla Corte, viene ora denunziata con le ordinanze di rimessione relativamente alle due ipotesi considerate nell'ultimo comma dell'art. 186, nonché rispetto alle altre ipotesi di insubordinazione previste dal primo comma dell'art. 189: ipotesi, tutte, nelle quali risultano in definitiva comminate, per fatti meno gravi, sanzioni più severe di quelle previste per violazioni considerate dalla stessa legge di maggiore gravità.

Il che trasmoda di certo nell'irragionevolezza e impone pertanto alla Corte di intervenire al fine di eliminare una situazione normativa, il cui perdurare non é costituzionalmente consentito. Invero - una volta sostituita relativamente ad una delle varie ipotesi di insubordinazione (quella, cioè, con lesioni gravissime o gravi in danno di superiore ufficiale, la quale costituisce il perno del trattamento sanzionatorio in materia) la pena originariamente prevista dal cod. pen. mil. di pace con quelle stabilite dal codice penale comune, non sussiste altra alternativa, onde ripristinare la ragionevolezza e la coerenza della disciplina, se non quella di eliminare, mediante la pronuncia di incostituzionalità, le pene estremamente più severe previste dal cod. pen. mil. di pace, siccome divenute logicamente incompatibili con quelle applicabili, secondo il codice penale comune, per effetto della più volte richiamata sentenza di questa Corte. E ciò con la conseguenza armonica e unitaria che, per tutte le fattispecie di insubordinazione, vanno applicate le sanzioni previste dalla legge penale comune.

Va avvertito che, a tale fine, la dichiarazione di illegittimità costituzionale non può essere circoscritta alle norme impugnate, ma deve essere estesa, in base all'art. 27 legge 11 marzo 1953 n. 87, anche alla residuale ipotesi normativa, la quale concerne l'insubordinazione con lesioni gravissime o gravi in danno di superiore non ufficiale. E evidente, infatti, come, nel quadro normativo che ne risulta, non possa trovare posto una disposizione che fissa la misura della pena in base a un criterio attualmente privo di razionale giustificazione.

Infine, considerato che il diverso assetto sanzionatorio relativo alle varie ipotesi di insubordinazione, conseguente alla presente pronuncia, é suscettibile di compromettere (in tutto o in parte) anche la coerenza della disciplina delle pene comminate dal cod. pen. mil. di pace per altri reati, ritiene questa Corte di rivolgere al legislatore l'ulteriore esortazione ad intervenire appropriatamente e tempestivamente così da assicurare all'intera materia del trattamento punitivo previsto nello stesso codice un'armonica disciplina.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

a) Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 186 ultimo comma c.p.m.p. limitatamente alle parole "con la reclusione militare non inferiore a cinque anni se il superiore é un ufficiale e con la stessa pena da tre a dodici anni se il superiore non é un ufficiale".

b) Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 189 primo comma c.p.m.p. limitatamente alle parole "con la reclusione militare da tre a sette anni, se il superiore é un ufficiale, e da uno a cinque anni, se il superiore non é un ufficiale".

c) Dichiara, in applicazione dell'art. 27 legge 11 marzo 1953 n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 186 secondo comma c.p.m.p. limitatamente alle parole "e la reclusione da sette a quindici anni, se il superiore non é un ufficiale".

d) Ordina la restituzione degli atti al Tribunale militare territoriale di Padova per il riesame, secondo la sopravvenuta legge 7 maggio 1981 n. 180, delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 9 e 50, ord. giud. mil. pace, 78 r.d.22 dicembre 1872 n. 1210 sexies, 12 r.d.l. 26 gennaio 1931 n. 122, convertito nella l. 18 giugno 1931 n. 919, 16 r.d. 19 ottobre 1923 n. 2316 e 29 r.d. 30 dicembre 1923 n. 2903, sollevate con l'ordinanza in epigrafe n. 90 del 1980.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 maggio 1982.

 

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Brunetto  - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Antonio LA PERGOLA - MACCARONE - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giuseppe CONSO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 27 maggio 1982.