Ordinanza n. 338 del 2010

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ORDINANZA N. 338

ANNO 2010

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Ugo                 DE SIERVO                          Presidente

-           Paolo               MADDALENA                     Giudice

-           Alfio               FINOCCHIARO                       ”

-           Alfonso           QUARANTA                            ”

-           Franco             GALLO                                     ”

-           Luigi               MAZZELLA                             ”

-           Sabino             CASSESE                                  ”

-           Maria Rita       SAULLE                                   ”

-           Giuseppe         TESAURO                                ”

-           Paolo Maria    NAPOLITANO                         ”

-           Giuseppe         FRIGO                                       ”

-           Alessandro      CRISCUOLO                            ”

-           Paolo               GROSSI                                    ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 7-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come introdotto dall’art. 21 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), promosso dal Tribunale amministrativo regionale della Puglia nel procedimento vertente tra G. C. e la Questura di Bari ed altro con ordinanza del 19 dicembre 2009, iscritta al n. 115 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 2010.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 20 ottobre 2010 il Giudice relatore Maria Rita Saulle.

Ritenuto che il Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 26, comma 7-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), per violazione degli «artt. 2 e 3 della Costituzione in combinato disposto con gli artt. 29, 30, 35 e 41, nonché degli artt. 13 e 27 della Costituzione stessa»;

che il giudizio a quo ha ad oggetto il ricorso avverso il provvedimento del Questore di Bari del 16 settembre 2008, con il quale è stata respinta l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per «motivi commerciali/1avoro autonomo» avanzata da C. G.;

che, in particolare, il TAR rimettente specifica che «il diniego è motivato con esclusivo riferimento alla sentenza di condanna emessa il 17 gennaio 2007 dal Tribunale di Bari in composizione monocratica, divenuta irrevocabile il 13 aprile 2007, con la quale il ricorrente stesso è stato condannato ad anni 1 e mesi 6 di reclusione oltre €. 500,00 di multa per i reati di cui agli artt. 648 e 474 c.p.»;

che, quanto alla rilevanza, il Tribunale a quo si limita ad affermare che la questione sollevata è «indubbiamente rilevante ai fini della risoluzione della controversia in esame posto che il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno è stato adottato – in via esclusiva – come effetto automatico della sentenza irrevocabile di condanna […] in diretta applicazione dell’art. 26, comma 7-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998»;

che, infatti, osserva al riguardo il TAR della Puglia, l’art. 26, comma 7-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, come introdotto dall’art. 21 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), prevede, «in ipotesi di condanna con provvedimento irrevocabile per alcuno dei reati previsti dalle disposizioni del titolo III, capo III, sezione II della legge 22 aprile 1941 n. 633 e successive modificazioni, relativi alla tutela del diritto di autore e dagli artt. 473 e 474 del codice penale, la revoca del permesso di soggiorno rilasciato allo straniero e l’espulsione del medesimo con accompagnamento coatto alla frontiera a mezzo della forza pubblica»;

che, inoltre, il rimettente ritiene che, tenuto conto del suo «tenore letterale», la norma censurata non risulterebbe «suscettibile di un’interpretazione adeguatrice»;

che, in secondo luogo, sempre ad avviso del TAR della Puglia, la questione sarebbe anche non manifestamente infondata in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione in combinato disposto con gli artt. 29, 30, 35 e 41, nonché agli artt. 13 e 27 della Costituzione stessa;

che, in particolare, il rimettente osserva che «l’automatismo di cui alla norma censurata» determinerebbe una «presunzione – iuris et de iure – di pericolosità sociale di un soggetto condannato per i reati ivi richiamati in relazione alla mera condizione di straniero, senza alcuna considerazione né della personalità dello stesso, né dei suoi eventuali futuri legami familiari, né della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale e della relativa condotta», ponendo sullo stesso piano «lo straniero al primo ingresso» rispetto allo straniero «che con il Paese ha rapporti radicati»;

che, inoltre, sempre secondo il giudice a quo, l’automatismo in parola determinerebbe sia «ingiustificati ostacoli alla libertà personale e alle possibilità di sviluppo della personalità del condannato», mortificando il fine rieducativo della pena, sia un’«irragionevole disparità di trattamento rispetto ai condannati che, essendo cittadini italiani, non sono esposti ad un simile giudizio di disvalore, tenuto conto dello scarso allarme sociale che ai reati di cui all’art. 26 in esame si collega»;

che, prosegue ancora il rimettente, dalla norma censurata deriverebbe anche una «disparità di trattamento rispetto a condannati per reati più gravi, che determinano un ben diverso allarme sociale, quali quelli di cui all’art. 380 c.p.p., posto che in tali casi l’espulsione “può” essere disposta dal giudice “sempre che risulti socialmente pericoloso” il condannato»,  così come disposto dall’art.15 dello stesso d.lgs. n. 286 del 1998;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente inammissibile o, comunque, infondata;

che, in primo luogo, l’Avvocatura osserva che la disposizione censurata non sarebbe applicabile al caso di specie – relativa ad un’ipotesi di «mancato rinnovo del permesso» – dal momento che essa si limiterebbe a «prevedere una figura di revoca ex lege del permesso di soggiorno» e considerato che «la materia del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo» sarebbe disciplinata dall’art. 5 del d.lgs. n. 286 del 1998;

che, in secondo luogo, l’Avvocatura generale dello Stato eccepisce un ulteriore profilo di manifesta inammissibilità della questione sollevata, rilevando che anche nell’odierno giudizio, così come ritenuto dalla Corte in quello deciso con la ordinanza n. 219 del 2009, il rimettente avrebbe fornito una carente descrizione della fattispecie, omettendo di precisare elementi di fatto essenziali per la valutazione della rilevanza della questione sollevata;

che, in particolare, secondo la difesa erariale, tali elementi sarebbero quelli relativi alle «condizioni di permanenza del ricorrente del giudizio a quo nel territorio dello Stato», alla «data di scadenza del permesso già ottenuto», nonché alla sua «posizione familiare», con riguardo alla sussistenza o meno dei presupposti per la richiesta del ricongiungimento con familiari già residenti sul territorio italiano;

che, in via subordinata, ad avviso dell’Avvocatura la questione sarebbe nel merito infondata, trattandosi di materia che risulta «comunque riservata alla discrezionalità del legislatore, e ancorata alle contingenze della delicata gestione dei flussi migratori e delle relative necessarie sanzioni, ove l’allarme sociale da ricondursi a determinate violazioni della legge da parte del cittadino straniero sconta una scelta insindacabile dal punto di vista costituzionale».

Considerato che il Tribunale amministrativo regionale della Puglia dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione, in combinato disposto con gli artt. 29, 30, 35 e 41, nonché agli artt. 13 e 27 della Costituzione stessa,  dell’art. 26, comma 7-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero);

che, in particolare, a parere del giudice a quo, la disposizione censurata violerebbe i citati parametri costituzionali nella parte in cui prevede l’automatica revoca del permesso di soggiorno del cittadino straniero, condannato con provvedimento irrevocabile per alcuno dei reati previsti dalle disposizioni del titolo III, capo III, sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, e dagli artt. 473 e 474 del codice penale;

che, tuttavia, il rimettente ha fornito una carente descrizione della fattispecie sottoposta al suo esame: in particolare ha omesso di specificare se il ricorrente sia o meno in possesso dei requisiti prescritti per il rilascio del «permesso CE per soggiornanti di lungo periodo», nonché se il ricorrente abbia o no esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero se sia un familiare ricongiunto;

che tali elementi, come più volte sottolineato da questa Corte (sentenza n. 148 del 2008, nonché ordinanze n. 165 del 2010, n. 219 del 2009 e n. 378 del 2008), assumono grande rilievo nella disciplina del rilascio e del rinnovo del permesso di soggiorno per effetto del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3 (Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo), e del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 5 (Attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare);

che, pertanto, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’insufficiente descrizione della fattispecie, poiché impedisce di vagliare l’effettiva applicabilità della norma al caso dedotto, si risolve in carenza della motivazione sulla rilevanza della questione, determinandone la manifesta inammissibilità.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 7-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sollevata, in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione in combinato disposto con gli artt. 29, 30, 35 e 41, nonché agli artt. 13 e 27 della Costituzione stessa, dal Tribunale amministrativo regionale della Puglia, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 novembre 2010.

F.to:

Ugo DE SIERVO, Presidente

Maria Rita SAULLE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 novembre 2010.