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ORDINANZA N. 165
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Ugo DE SIERVO Presidente
- Paolo MADDALENA Giudice
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 7-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 aggiunto dall’art. 21 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto nel procedimento vertente tra G. C. e il Ministero dell’interno con ordinanza dell’11 giugno 2009, iscritta al n. 265 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2009.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 marzo 2010 il Giudice relatore Maria Rita Saulle.
Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 7-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero);
che, in particolare, la norma censurata violerebbe il suddetto parametro costituzionale «nella parte in cui prevede che la condanna, con provvedimento irrevocabile, per alcuno dei reati previsti dalle disposizionidel Titolo III, Capo III, Sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, relativi alla tutela del diritto di autore, e dagli articoli 473 e 474 del codice penale, comporta in via automatica la revoca del permesso di soggiorno (e quindi, implicitamente ma in modo inequivoco, il diniego del suo rinnovo alla scadenza)»;
che il giudizio a quo ha ad oggetto il ricorso avverso il provvedimento del Questore di Rovigo in data 5 gennaio 2009 di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno richiesto, per motivi di lavoro autonomo, da un cittadino senegalese che afferma di «vivere in Italia dal 1989 e di aver conseguito il primo permesso di soggiorno nel 1990»;
che il rimettente specifica che il provvedimento impugnato, nonostante richiami nelle premesse altri «cinque deferimenti all’autorità giudiziaria […] per lo più per violazioni di norme in materia di tutela del diritto d’autore e per commercio di prodotti con segni falsi», si fonderebbe esclusivamente «sul fatto che lo straniero, il 13 gennaio 2003, è stato condannato, con decreto emesso dal GIP del Tribunale di Rovigo, divenuto esecutivo il 4 febbraio 2005, alla pena di due mesi e otto giorni di reclusione, oltre alla multa, per il reato di violazione delle norme sul diritto d’autore continuato»;
che, pertanto, il provvedimento impugnato sarebbe frutto dell’«automatismo di cui al citato comma 7-bis dell’art. 26 del d.lgs. n. 286 del 1998»;
che, inoltre, secondo il giudice a quo, risulterebbe ininfluente la circostanza dedotta con il ricorso per la quale lo straniero avrebbe maturato da «tempo i requisiti per chiedere il rilascio di un permesso […] per soggiornanti di lungo periodo ex art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998», giacché «nella specie» il ricorrente avrebbe chiesto un «semplice rinnovo del permesso»;
che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il TAR del Veneto dubita «che la disciplina introdotta con il citato art. 26, comma 7-bis, sia coerente con i principi di uguaglianza e di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione»;
che, in particolare, secondo il giudice a quo, la disposizione denunciata, «ove raffrontata con la disposizione, omogenea, di cui all’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998, applicata in correlazione con il successivo art. 5, comma 5, […]» opererebbe una «irragionevole equiparazione», sotto il profilo degli effetti di natura amministrativa, di «fattispecie delittuose tra loro assai eterogenee in termini di gravità della condotta commessa e della pena prevista»;
che, infatti, con la disposizione censurata, sarebbero state irragionevolmente equiparate, «ai fini dell’automatismo nel disporre la revoca del permesso di soggiorno o nel rifiutarne il rinnovo […], situazioni caratterizzate dalla accertata commissione di fatti-reato particolarmente gravi (come nel caso dell’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998 che richiama le ipotesi di reato disciplinate dall’art. 380, commi 1 e 2, c.p.p.), ad altre situazioni contraddistinte, invece, dall’accertato compimento di reati di lieve entità, di scarso rilievo o, in ogni caso, non gravi (come nel caso degli artt. 171-171-quinquies della legge n. 633 del 1941)»;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente inammissibile o, comunque, manifestamente infondata;
che, in particolare, in una successiva memoria, la difesa erariale deduce che il giudice rimettente avrebbe trascurato una «serie di decisivi elementi»;
che, in primo luogo, «l’automatismo di cui all’art. 26, comma 7-bis, presuppone una condanna irrevocabile, mentre invece, per l’applicazione del meccanismo di cui al combinato disposto degli artt. 4 comma 3 e 5 comma 5, è sufficiente, almeno sul piano del diritto vivente, una sentenza di condanna in primo grado, anche a seguito di patteggiamento»;
che, in secondo luogo, sempre ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, il rimettente non considera che «anche reati più lievi possono essere assunti a sintomo della pericolosità sociale rilevante in ambiti amministrativi miranti alla tutela preventiva dell’ordine pubblico, quando si tratti di fattispecie particolarmente diffuse, o che possano determinare complessivamente, e non singolarmente considerati, danni significativi al tessuto economico e sociale interessato», come, appunto, nel caso delle fattispecie penali poste a presidio del diritto d’autore;
che, inoltre, la difesa erariale contesta la appropriatezza della scelta, quale tertium comparationis della questione di legittimità sollevata in riferimento all’art. 3 della Costituzione, di «reati ritenuti maggiormente gravi», riferendo ad essi la «soglia al di sotto della quale la scelta del legislatore diverrebbe irragionevole», dal momento che il riferimento legislativo ad alcuni reati più gravi non escluderebbe la rilevanza, ai fini del giudizio operato dalla norma impugnata, di «altri reati» sebbene sanzionati «con più lieve pena edittale».
Considerato che il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto dubita, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 7-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero);
che, in particolare, a parere del giudice a quo, la disposizione censurata violerebbe il citato parametro costituzionale nella parte in cui prevede l’automatica revoca del permesso di soggiorno del cittadino straniero, condannato con provvedimento irrevocabile per alcuno dei reati previsti dalle disposizioni del titolo III, capo III, sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, e dagli artt. 473 e 474 del codice penale;
che, tuttavia, il rimettente ha fornito una carente descrizione della fattispecie sottoposta al suo esame: in particolare ha omesso di specificare se risulti o meno fondata la circostanza dedotta dal ricorrente concernente l’asserito possesso dei requisiti prescritti per il rilascio del «permesso CE per soggiornanti di lungo periodo», nonché se il ricorrente abbia o meno esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero se sia un familiare ricongiunto;
che tali elementi, come più volte sottolineato da questa Corte (sentenza n. 148 del 2008, nonché ordinanze n. 219 del 2009 e n. 378 del 2008), assumono grande rilievo nella disciplina del rilascio e del rinnovo del permesso di soggiorno per effetto del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3 (Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo), e del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 5 (Attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare);
che, pertanto, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’insufficiente descrizione della fattispecie, poiché impedisce di vagliare l’effettiva applicabilità della norma al caso dedotto, si risolve in carenza della motivazione sulla rilevanza della questione, determinandone la manifesta inammissibilità.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 7-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 aprile 2010.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Maria Rita SAULLE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 6 maggio 2010.