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SENTENZA N. 183
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 28, primo comma, della legge 2 febbraio 1973, n. 12 (Natura e compiti dell'Ente nazionale di assistenza per gli agenti e rappresentanti di commercio e riordinamento del trattamento pensionistico integrativo a favore degli agenti e rappresentanti di commercio), promosso dal Tribunale ordinario di Treviso nel procedimento vertente tra Crescente Zeno e De Marchi Licio con ordinanza del 29 ottobre 2007, iscritta al n. 433 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell'anno 2009.
Udito nella camera di consiglio del 6 maggio 2009 il Giudice relatore Paolo Grossi.
Ritenuto in fatto
Nel corso di un giudizio di opposizione all'esecuzione presso terzi – proposto dal debitore esecutato, sull'assunto della impignorabilità della pensione erogatagli dall'ENASARCO –, il Tribunale ordinario di Treviso, con ordinanza emessa il 29 ottobre 2007 (pervenuta alla Corte costituzionale il 17 dicembre 2008), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 28, primo comma, della legge 2 febbraio 1973, n. 12 (Natura e compiti dell'Ente nazionale di assistenza per gli agenti e rappresentanti di commercio e riordinamento del trattamento pensionistico integrativo a favore degli agenti e rappresentanti di commercio), secondo cui «i crediti degli iscritti verso l'ENASARCO non sono cedibili, né sequestrabili, né pignorabili».
Affermata la perdurante vigenza della norma impugnata (non abrogata, né espressamente né implicitamente, a seguito della intervenuta privatizzazione dell'Ente), nonché la rilevanza della questione nel giudizio a quo (non definibile se non attraverso l'applicazione della norma medesima), il rimettente osserva come tale disposizione si ponga in contrasto con l'art. 3, primo comma, della Costituzione e, comunque, con il principio di ragionevolezza «nella parte in cui esclude la pignorabilità [recte: nella parte in cui non prevede la impignorabilità], nei limiti di un quinto, o, con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte della pensione necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità, nei limiti del quinto, della residua parte della pensione erogata dall'ENASARCO».
E ciò, secondo il rimettente, a differenza di quanto dispongono: a) l'art. 545, quarto comma, del codice di procedura civile con riguardo alle retribuzioni; b) l'art. 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale), come dichiarato incostituzionale dalla sentenza n. 506 del 2002, con riferimento alle pensioni, agli assegni ed alle indennità erogati dall'INPS; c) gli artt. 1 e 2, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950, n. 180 (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni), come dichiarati incostituzionali dalla medesima sentenza n. 506 del 2002, con riferimento alle pensioni, alle indennità che ne tengono luogo ed agli altri assegni di quiescenza erogati ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni; d) l'art. 12 del regio decreto-legge 27 maggio 1923, n. 1324 (Modificazioni al regio decreto-legge 9 novembre 1919, n. 2239), come dichiarato incostituzionale dalla sentenza n. 444 del 2005, relativamente alle pensioni dei notai; e) l'art. 1 della legge 9 novembre 1955, n. 1122 (Disposizioni varie per la previdenza e assistenza sociale attuate dall'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani «Giovanni Amendola»), come dichiarato incostituzionale dalla sentenza n. 256 del 2006
, con riferimento alle pensioni dei giornalisti.
Il rimettente rileva che l'impignorabilità delle pensioni erogate in favore di agenti del commercio determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento se confrontata con il regime di generale pignorabilità, con le limitazioni di legge, delle retribuzioni nonché delle pensioni, assegni ed indennità, conseguente anche ai citati interventi di questa Corte. Ritiene infatti il Tribunale che – essendo stato chiarito nella sentenza n. 506 del 2002 che «il presidio costituzionale (art. 38) del diritto dei pensionati a godere di “mezzi adeguati alle loro esigenze di vita” non è tale da comportare, quale suo ineludibile corollario, l'impignorabilità, in linea di principio, della pensione, ma soltanto l'impignorabilità assoluta di quella parte di essa che vale, appunto, ad assicurare al pensionato quei mezzi adeguati alle esigenze di vita» – non sembrano sussistere altri valori che possano giustificare il persistente regime di favore per le pensioni erogate dall'ENASARCO.
Considerato in diritto
1. - Il Tribunale ordinario di Treviso dubita – in riferimento all'art. 3 della Costituzione – della legittimità costituzionale dell'art. 28, primo comma, della legge 2 febbraio 1973, n. 12 (Natura e compiti dell'Ente nazionale di assistenza per gli agenti e rappresentanti di commercio e riordinamento del trattamento pensionistico integrativo a favore degli agenti e rappresentanti di commercio), in virtù della quale «i crediti degli iscritti verso l'ENASARCO non sono cedibili, né sequestrabili, né pignorabili».
Secondo il rimettente, l'esclusione della pignorabilità della pensione ENASARCO lede l'evocato parametro costituzionale (sotto il duplice profilo della disparità di trattamento e della irragionevolezza) in quanto tale previsione si pone in contrasto con quanto disposto: a) dall'art. 545, quarto comma, del codice di procedura civile con riguardo alle retribuzioni; b) dall'art. 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale), come dichiarato incostituzionale dalla sentenza n. 506 del 2002, con riferimento alle pensioni, agli assegni ed alle indennità erogati dall'INPS; c) dagli artt. 1 e 2, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950, n. 180 (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni), come dichiarati incostituzionali dalla citata sentenza n. 506 del 2002, con riferimento alle pensioni, alle indennità che ne tengono luogo ed agli altri assegni di quiescenza erogati ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni dai soggetti di cui all'art. 1 dello stesso d.P.R.; d) dall'art.12 del regio decreto-legge 27 maggio 1923, n. 1324 (Modificazioni al regio decreto-legge 9 novembre 1919, n. 2239), come dichiarato incostituzionale dalla sentenza n. 444 del 2005, con riferimento alle pensioni dei notai; e) dall'art. 1 della legge 9 novembre 1955, n. 1122 (Disposizioni varie per la previdenza e assistenza sociale attuate dall'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani «Giovanni Amendola»), come dichiarato incostituzionale dalla sentenza n. 256 del 2006, con riferimento alle pensioni dei giornalisti.
2. - La questione è fondata.
2.1. - Con la sentenza n. 506 del 2002, questa Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, «nella parte in cui esclude la pignorabilità per ogni credito dell'intero ammontare di pensioni, assegni ed indennità erogati dall'INPS, anziché prevedere l'impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte della pensione, assegno o indennità necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte».
Nella medesima decisione, la declaratoria di illegittimità costituzionale è stata estesa in via consequenziale anche agli artt. 1 e 2, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950, n. 180, «nella parte in cui escludono la pignorabilità per ogni credito dell'intero ammontare di pensioni, indennità che ne tengono luogo ed altri assegni di quiescenza erogati ai dipendenti dai soggetti individuati dall'art. 1, anziché prevedere l'impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte delle pensioni, indennità o altri assegni di quiescenza necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte».
Rilevato, in detta sede, che il pubblico interesse – in cui si traduce il criterio di solidarietà sociale (posto a fondamento della tutela di cui all'art. 38 Cost.) – a che il pensionato goda di un trattamento «adeguato alle esigenze di vita» può, ed anzi deve, comportare anche una compressione del diritto di terzi di soddisfare le proprie ragioni creditorie sul bene-pensione, questa Corte ha nel contempo affermato che, tuttavia, siffatta compressione non può essere totale ed indiscriminata (così da comportare quale suo ineludibile corollario, l'impignorabilità, in linea di principio, della pensione), «bensì deve rispondere a criteri di ragionevolezza che valgano, da un lato, ad assicurare in ogni caso (e, quindi, anche con sacrificio delle ragioni di terzi) al pensionato mezzi adeguati alle sue esigenze di vita e, dall'altro lato, a non imporre ai terzi, oltre un ragionevole limite, un sacrificio dei loro crediti, negando alla intera pensione la qualità di bene sul quale possano soddisfarsi». Ed ha, di conseguenza, ritenuto che il doveroso bilanciamento fra i due valori costituzionalmente rilevanti non può rendere impignorabile anche la parte di pensione che eccede quanto necessario alle esigenze di vita del pensionato; «di modo che, soddisfatta integralmente l'esigenza sottesa al disposto dell'art. 38, comma secondo, Cost., detta parte eccedente deve ritenersi (nei limiti e secondo le regole fissati dall'art. 545 cod. proc. civ.) assoggettabile al regime generale della responsabilità patrimoniale (art. 2740 cod. civ.)».
2.2. - Successivamente, questa Corte è intervenuta su analoghe norme che prevedevano l'assoluta impignorabilità, per i crediti comuni, delle pensioni e degli assegni corrisposte ai notai ed ai giornalisti (sentenze n. 444 del 2005 e n. 256 del 2006), dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'art. 12 del regio decreto-legge 27 maggio 1923, n. 1324, e dell'art. 1 della legge 9 novembre 1955, n. 1122, nella parte in cui escludono la pignorabilità per ogni credito dell'intero ammontare delle pensioni erogate rispettivamente dalla Cassa nazionale del notariato e dall'INPGI, «anziché prevedere l'impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte della pensione necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte».
2.3. - Le medesime argomentazioni svolte a sostegno delle citate pronunce di illegittimità costituzionale portano a ritenere ingiustificato ed irragionevole il permanere di un regime diversificato e di favore per le pensioni erogate dall'ENASARCO.
Peraltro, la circostanza che tale Ente – ancorché con i controlli e limiti derivanti dalla persistente natura pubblica della sua attività istituzionale – abbia acquisito natura privatistica (Fondazione), per effetto del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 (Attuazione della delega conferita dall'articolo 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza), non costituisce certamente ragione idonea a giustificare (come già sottolineato riguardo all'INPGI nella sentenza n. 256 del 2006, in riferimento ad analoga situazione) il peculiare trattamento disposto dalla norma censurata rispetto a quanto previsto per le pensioni dei dipendenti, sia pubblici che privati, dei notai e dei giornalisti. Va, infatti, ribadito che, poiché «l'impignorabilità si risolve in una limitazione della garanzia patrimoniale (art. 2740 del codice civile) e in una compressione del diritto dei creditori, nessuna differenza sussiste tra le pensioni spettanti a ciascuna categoria di beneficiari sotto il profilo – l'unico rilevante nel presente giudizio – della loro assoggettabilità ad esecuzione forzata» (sentenze n. 444 del 2005 e n. 256 del 2006).
Pertanto – in armonia con quanto questa Corte ha statuito nelle richiamate pronunce – deve dichiararsi l'illegittimità costituzionale della norma censurata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui esclude la pignorabilità per ogni credito dell'intero ammontare delle pensioni erogate dell'Ente nazionale di assistenza per gli agenti e rappresentanti di commercio, anziché prevedere l'impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte della pensione necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del qui
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 28, primo comma, della legge 2 febbraio 1973, n. 12 (Natura e compiti dell'Ente nazionale di assistenza per gli agenti e rappresentanti di commercio e riordinamento del trattamento pensionistico integrativo a favore degli agenti e rappresentanti di commercio), nella parte in cui esclude la pignorabilità per ogni credito dell'intero ammontare delle pensioni erogate dell'Ente nazionale di assistenza per gli agenti e rappresentanti del quinto della residua parte.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 giugno 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 26 giugno 2009.