ORDINANZA N. 72
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come novellato dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), e dell’art. 10 della medesima legge, promossi con ordinanze dell’8 agosto 2006 dalla Corte d’appello di Trieste, nel procedimento penale a carico di Q. B. L. A. ed altra, e del 24 novembre 2006 dalla Corte d’appello di Perugia, nel procedimento penale a carico di I. S. G., iscritte ai nn. 208 e 336 del registro ordinanze 2008 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 28 e 45, prima serie speciale, dell’anno 2008.
Udito nella camera di consiglio dell’11 febbraio 2009 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.
Ritenuto che la Corte d’appello di Trieste, con ordinanza dell’8 agosto 2006, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, e la Corte d’appello di Perugia, con ordinanza del 24 novembre 2006, in riferimento agli artt. 3, 97, 111 e 112 della Costituzione, hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come novellato dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), nella parte in cui limita l’appello del pubblico ministero contro le sentenze di proscioglimento alle ipotesi di cui all’art. 603, comma 2, cod. proc. pen., e dell’art. 10 della medesima legge, nella parte in cui prevede che gli appelli proposti prima della sua entrata in vigore devono essere dichiarati inammissibili con ordinanza non impugnabile;
che, ai fini della rilevanza della questione, le Corti rimettenti precisano di essere investite di appelli proposti dal pubblico ministero avverso sentenze di proscioglimento e di doverli dichiarare inammissibili in applicazione delle norme censurate;
che la Corte d’appello di Trieste ritiene la disciplina censurata, in quanto introduce una limitazione dei poteri del pubblico ministero priva di idonee ragioni giustificative, in contrasto con gli artt. 3 e 111 Cost.;
che la non manifesta infondatezza della questione è argomentata anche in riferimento al principio della ragionevole durata del processo, in quanto l’eliminazione dell'appello avverso le sentenze di proscioglimento e il rinvio al giudice di primo grado in caso di annullamento da parte della Corte di Cassazione potrebbero determinare un aumento dei gradi di giudizio con dilatazione dei tempi processuali e con diretta incidenza anche sulla prescrizione dei reati;
che tale allungamento dei tempi risulterebbe ancora più evidente in relazione alla disciplina transitoria contenuta nell’art. 10 della legge n. 46 del 2006, in quanto la previsione di una «indiscriminata declaratoria di inammissibilità» degli appelli proposti prima dell’entrata in vigore della legge, «derogando al principio tempus regit actum che governa la materia processuale, non solo sacrifica ineludibilmente un atto di gravame tempestivamente proposto, costringendo la parte interessata a presentarne un altro, ma comporta l’inevitabile differimento della presentazione di esso all’eseguita notifica del provvedimento di inammissibilità e, pertanto, ad un termine futuro ed incerto»;
che, a sua volta, la Corte d’appello di Perugia evidenzia come la disciplina censurata sacrifichi «in maniera del tutto ingiustificata ed irrazionale la parità delle parti nel processo e la stessa funzione del processo di pervenire comunque (o di avvicinarsi tendenzialmente) alla verità storica, inibendo un controllo giurisdizionale su eventuali errori di merito», in violazione degli artt. 3 e 111 Cost.;
che, prosegue quest’ultima remittente, l’irragionevolezza dell’incisiva limitazione dei poteri del pubblico ministero, introdotta con la legge in esame, non troverebbe alcuna giustificazione né nell’esigenza di salvaguardare il principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., che anzi sarebbe seriamente compromesso dall’aumento dei gradi di giudizio e dall’allungamento inevitabile dei tempi processuali, né in quella di garantire il principio di oralità e immediatezza nel giudizio di secondo grado;
che si determinerebbe anche una irragionevole disparità di trattamento in quanto paradossalmente, all'interno del processo penale viene sottratta al P.M. una facoltà confermata in capo alla parte civile;
che la Corte d’appello di Perugia censura le norme in esame anche in relazione alla ragionevole durata del processo perché ne conseguirebbe una dilatazione dei tempi processuali, e, in relazione all’obbligatorietà dell’azione penale perché, in applicazione della disciplina transitoria, si determinerebbe una sostanziale vanificazione della pretesa punitiva dello Stato;
che, infine, risulterebbe violato anche l’art. 97 Cost. «per la concreta ingestibilità del processo», soprattutto con riferimento al regime transitorio.
Considerato che la Corte d’appello di Trieste, con ordinanza dell’8 agosto 2006, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, e la Corte d’appello di Perugia, con ordinanza del 24 novembre 2006, in riferimento agli artt. 3, 97, 111 e 112 della Costituzione, hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come novellato dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), nella parte in cui limita l’appello del pubblico ministero contro le sentenze di proscioglimento alle ipotesi di cui all’art. 603, comma 2, cod. proc. pen., e dell’art. 10 della medesima legge, nella parte in cui prevede che gli appelli proposti prima della sua entrata in vigore devono essere dichiarati inammissibili con ordinanza non impugnabile;
che, stante l'identità delle questioni proposte, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica pronuncia;
che, successivamente alle ordinanze di rimessione, questa Corte, con la sentenza n. 26 del 2007, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della citata legge n. 46 del 2006, «nella parte in cui, sostituendo l'art. 593 del codice di procedura penale, esclude che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall'art. 603, comma 2, del medesimo codice, se la nuova prova è decisiva», e dell'art. 10, comma 2, della stessa legge, «nella parte in cui prevede che l’appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della medesima legge è dichiarato inammissibile»;
che, per effetto di tale sentenza, le questioni di costituzionalità delle medesime disposizioni sono divenute manifestamente inammissibili in quanto prive di oggetto;
che, invero, secondo l’indirizzo recentemente seguito da questa Corte, l’efficacia ex tunc della citata dichiarazione d'incostituzionalità preclude al giudice a quo una nuova valutazione della perdurante rilevanza delle sollevate questioni, valutazione che sola potrebbe giustificare la restituzione degli atti al giudice rimettente (ex multis, ordinanze n. 449, n. 415 e n. 269 del 2008).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come novellato dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), e dell'art. 10, comma 2, della medesima legge, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 97, 111 e 112 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Trieste e dalla Corte d’appello di Perugia con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 marzo 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 13 marzo 2009.