ORDINANZA N. 282
ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall’art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), come modificato dall’art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2003, n. 214, e dell’articolo 180, comma, 8 del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992, promosso con ordinanza del 9 febbraio 2007 dal Giudice di pace di Pisa nel procedimento civile vertente tra la S.R. Termotecnica s.n.c. ed il Comune di Crespina, iscritta al n. 32 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2008.
Udito nella camera di consiglio del 9 luglio 2008 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.
Ritenuto che il Giudice di pace di Pisa ha sollevato – in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale del testo originario dell’articolo 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall’art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), come modificato dall’art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2003, n. 214, nonché dell’articolo 180, comma 8, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992;
che il giudice a quo premette di avere già sollevato analogo incidente di costituzionalità, definito dalla Corte costituzionale con ordinanza – la n. 23 del 2007 – di restituzione degli atti ad esso rimettente, in ragione delle modifiche apportate al testo del censurato art. 126-bis, comma 2, dall’art. 2, comma 164, lettera b), del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), introdotto dall’art. 1, comma 1, della relativa legge di conversione 24 novembre 2006, n. 286;
che il Giudice di pace di Pisa illustra, nuovamente, le ragioni che deporrebbero per l’illegittimità costituzionale delle norme censurate;
che esso, nel rilevare che la giurisprudenza costituzionale «ha da tempo riconosciuto la propria competenza a sindacare la “ragionevolezza” di disposizioni normative» (è menzionata la sentenza n. 200 del 1972), osserva che, nel caso di specie, «il difetto di ragionevolezza» – e dunque la violazione dell’art. 3 Cost. – deriverebbe dal fatto che la disciplina in contestazione configurerebbe, in sostanza, «un obbligo di denuncia di violazioni di tipo amministrativo posto a carico della generalità dei cittadini»;
che a denotare l’irragionevolezza della scelta legislativa rileverebbe, secondo il remittente, la circostanza che «un obbligo di denuncia di tutti i reati, e quindi di fatti quantomeno in astratto configurabili come illeciti di natura più grave rispetto agli illeciti di tipo amministrativo, risulta previsto esclusivamente per i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio», visto che al cittadino si fa unicamente carico – sanzionando penalmente soltanto tale omissione – di provvedere alla «denuncia di un delitto contro la personalità dello Stato per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo», e non anche di fattispecie criminose «particolarmente gravi» come «l’omicidio volontario, lo stupro, la partecipazione ad associazioni di tipo mafioso, lo spaccio di sostanze stupefacenti»;
che, pertanto, prosegue il remittente, se «l’omessa denuncia di tali reati, anche gravissimi, non comporta conseguenze per il comune cittadino», del tutto irragionevole è la scelta legislativa consistente nella «previsione di sanzioni per l’omessa denuncia di fatti costituenti semplici illeciti amministrativi»;
che, inoltre, ove «la norma contestata venga interpretata non tanto come obbligo di denuncia (essendo l’autorità già a conoscenza del fatto, del quale è però sconosciuto l’autore) quanto come un obbligo di rendere testimonianza», essa presenterebbe «un secondo profilo di incostituzionalità», in riferimento all’art. 24, secondo comma, Cost.;
che, difatti, se è innegabile l’esistenza di un generale obbligo di rendere testimonianza, «è anche vero che nessuno può essere chiamato non solo a testimoniare contro se stesso, ma neppure a rendere dichiarazioni dalle quali potrebbe scaturire un procedimento sanzionatorio a suo carico, e ciò in relazione al principio fondamentale “nemo tenetur se detegere”, riconosciuto in giurisprudenza anche in ambito extrapenale»;
che nella specie, invece, si verrebbe «a configurare un vero e proprio obbligo di testimoniare contro se stessi in tutte le ipotesi in cui il proprietario del veicolo sia stato anche l’effettivo conducente dello stesso al momento del rilievo dell’infrazione», donde l’ipotizzata violazione dell’art. 24, secondo comma, Cost.;
che, ciò premesso, il Giudice di pace di Pisa ribadisce che la Corte costituzionale, con la citata ordinanza n. 23 del 2007, nel dare atto delle modifiche apportate dal citato ius superveniens alla prima delle norme anche oggi censurate da esso remittente, gli ha restituito gli atti per una rinnovata valutazione della questione sollevata;
che il giudice a quo sottolinea, tuttavia, di dover applicare la norma censurata nella sua originaria formulazione, donde la perdurante rilevanza del dubbio di costituzionalità;
che difatti, in forza di quanto stabilito dall’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), la nuova formulazione dell’art. 126-bis, comma 2, del codice della strada non risulta applicabile al caso di specie, giacché in materia di illecito amministrativo vige la regola dell’assoggettamento «della condotta considerata alla legge del tempo del suo verificarsi»;
che, pertanto, alla violazione amministrativa oggetto del giudizio principale continua ad applicarsi – sottolinea il giudice a quo – il combinato disposto del vecchio testo dell’art. 126-bis, comma 2, e dell’art. 180, comma 8, del codice della strada.
Considerato che il Giudice di pace di Pisa ha sollevato – in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale del testo originario dell’articolo 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall’art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), come modificato dall’art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2003, n. 214, nonché dell’articolo 180, comma 8, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992;
che, in via preliminare, deve notarsi come il remittente – nel riproporre questione di costituzionalità analoga a quella già decisa da questa Corte con l’ordinanza n. 23 del 2007 (ordinanza di restituzione degli atti al giudice a quo in ragione di ius superveniens) – censuri la prima di tali norme nel suo testo originario, anteriore a quello modificato dall’art. 2, comma 164, lettera b), del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), comma aggiunto dall’art. 1, comma 1, della relativa legge di conversione 24 novembre 2006, n. 286;
che la questione è rilevante, atteso che il giudice a quo muove dal corretto (ed adeguatamente motivato) presupposto di dover decidere la controversia devoluta al suo esame facendo applicazione dell’art. 126-bis, comma 2, del codice della strada nel suo testo originario, attesa la vigenza, in materia di illecito amministrativo, della regola dell’assoggettamento «della condotta considerata alla legge del tempo del suo verificarsi»;
che la questione è manifestamente infondata;
che in merito, infatti, alla dedotta violazione dell’art. 3 Cost. il remittente effettua un paragone tra la scelta del legislatore di reprimere penalmente l’omissione, da parte del cittadino, dell’obbligo di denuncia soltanto di certi reati, e quella di sanzionare, sul piano amministrativo, l’omessa comunicazione di dati idonei a consentire l’identificazione del soggetto responsabile di talune infrazioni stradali;
che il giudizio di comparazione tra le due situazioni si rivela impraticabile, attesa la loro eterogeneità (in tal senso, ex multis, ordinanze n. 335 e n. 249 del 2007);
che, del pari, deve escludersi la violazione dell’art. 24 Cost., ipotizzata sotto il profilo del contrasto con il «principio fondamentale “nemo tenetur se detegere”, riconosciuto in giurisprudenza anche in ambito extrapenale»;
che, sul punto, è sufficiente richiamare quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 165 del 2008;
che tale pronuncia, oltre a ribadire che il diritto al silenzio «si esplica in ogni procedimento secondo le regole proprie di questo (ordinanza n. 33 del 2002)», ha sottolineato «come la previsione dell’obbligo di comunicazione», risultante dal combinato disposto delle due norme oggi censurate, «risulti chiaramente diretta a provocare – allorché la persona del conducente, autore dell’infrazione stradale, coincida con quella del proprietario del veicolo – una dichiarazione di natura confessoria da parte di un soggetto che risulta legittimato, in ciascuna delle suddette qualità, a proporre opposizione ex art. 204-bis del codice della strada avverso il verbale con cui si è contestata la commessa infrazione»;
che, pertanto, la citata sentenza n. 165 del 2008 ha sottolineato che «la sola esigenza che viene in rilievo nel presente caso è quella già sottolineata dalla Corte nel comparare “la posizione dell’imputato nel processo penale e la situazione della parte e del legittimato all’intervento nel processo civile”, e cioè che “una cosa è: nemo testis in causa propria cui s’ispira l’art. 246 c.p.c., e altra cosa è: nemo tenetur edere contra se” cui si ispira, invece, il codice di rito penale (sentenza n. 85 del 1983)»;
che la questione è, dunque, manifestamente infondata anche in relazione a tale profilo.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall’art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), come modificato dall’art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2003, n. 214, nonché dell’articolo 180, comma 8, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992, sollevata – in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione – dal Giudice di pace di Pisa, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Alfonso QUARANTA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2008.