ORDINANZA N. 23
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Romano VACCARELLA ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall’art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all’esito delle modifiche apportate dall’art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 214, nonché dell’art. 180, comma 8, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992, promossi con ordinanze del 22 novembre dal Giudice di pace di Pisa nel procedimento civile vertente tra S.r. Termotecnica s.n.c. e il Comune di Crespina e del 23 febbraio 2006 dal Giudice di pace di Asola nel procedimento civile vertente tra Artmarmo di Gelati Ulisse & C. s.n.c. e la Polizia municipale del Comune di Casaloldo, iscritte ai nn. 63 e 185 del registro ordinanze 2006 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 11 e 25, prima serie speciale, dell’anno 2006.
Udito nella camera di consiglio del 10 gennaio 2007 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.
Ritenuto che il Giudice di pace di Pisa, con ordinanza del 22 novembre 2005, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall’art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all’esito delle modifiche apportate dall’art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 214, nonché dell’art. 180, comma 8, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992;
che il rimettente deduce, in via preliminare, di dover giudicare del ricorso presentato da una persona giuridica alla quale era stata contestata la violazione dell’art. 180, comma 8, del d.lgs. n. 285 del 1992, per avere, il suo legale rappresentante, omesso «di fornire i dati personali e della patente del conducente» (come invece prescritto dall’art. 126-bis del codice della strada), essendo stata riscontrata, a carico di vettura aziendale, l’avvenuta violazione dell’art. 142, comma 8, del medesimo codice;
che riferisce, inoltre, il giudice a quo che la ricorrente ha «prontamente adempiuto al pagamento della sanzione pecuniaria» (prevista per l’infrazione commessa mediante l’utilizzazione del veicolo di sua proprietà), nonché «tempestivamente comunicato alla autorità amministrativa procedente l’impossibilità a fornire i dati di chi si trovasse alla guida della vettura», essendo il veicolo in questione impiegato «dai dipendenti nello svolgimento delle loro mansioni»;
che, ciò premesso, il rimettente assume l’esistenza di «giustificati motivi» per ritenere «il combinato disposto» dell’art. 126-bis, comma 2, e 180, comma 8, del codice della strada «viziato da illegittimità costituzionale», segnatamente «nella parte in cui detti articoli prevedono quale fattispecie di violazione amministrativa l’omissione da parte del proprietario del veicolo della comunicazione dei dati del conducente non immediatamente identificato al momento della violazione commessa ed accertata»;
che, quanto alla rilevanza, il giudice a quo evidenzia che la stessa emergerebbe «da quanto già descritto», atteso che, «laddove si ritenga ingiustificata la mancata comunicazione dei dati del conducente da parte del proprietario del veicolo (ed incombendo sul proprietario stesso l’onere della prova della incolpevole impossibilità di effettuare tale comunicazione)», dovrebbe «trovare applicazione la norma qui contestata, non risultando peraltro possibilità di interpretazione adeguatrice della stessa»;
che, in ordine alla non manifesta infondatezza, il rimettente ipotizza, in primo luogo, «il difetto di ragionevolezza» delle disposizioni censurate, in quanto l’art. 126-bis, comma 2, del codice della strada configura, in sostanza, «un obbligo di denuncia di violazioni di tipo amministrativo posto a carico della generalità dei cittadini»;
che, in particolare, l’irragionevolezza della scelta legislativa emergerebbe dalla circostanza che «un obbligo di denuncia di tutti i reati, e quindi di fatti quantomeno in astratto configurabili come illeciti di natura più grave rispetto agli illeciti di tipo amministrativo, risulta previsto esclusivamente per i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio», visto che al cittadino si fa unicamente carico – sanzionandosi penalmente soltanto tale omissione – di provvedere alla «denuncia di un delitto contro la personalità dello Stato per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo», con esclusione, invece, di fattispecie criminose «particolarmente gravi»;
che, inoltre, ove «la norma contestata venga interpretata non tanto come obbligo di denuncia (essendo l’autorità già a conoscenza del fatto, del quale è però sconosciuto l’autore) quanto come un obbligo di rendere testimonianza», essa presenterebbe «un secondo profilo di incostituzionalità», in riferimento all’art. 24, secondo comma, della Costituzione;
che, infatti, se indubbiamente sussiste – osserva il rimettente – un obbligo di rendere testimonianza, «è anche vero che nessuno può essere chiamato non solo a testimoniare contro se stesso, ma neppure a rendere dichiarazioni dalle quali potrebbe scaturire un procedimento sanzionatorio a suo carico, e ciò in relazione al principio fondamentale “nemo tenetur se detegere”, riconosciuto in giurisprudenza anche in ambito extrapenale»;
che infine, ad escludere la fondatezza della questione non potrebbe valere la sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 2005, essendosi la stessa «limitata ad esaminare la questione di costituzionalità della decurtazione a carico del proprietario persona fisica dei punti della patente, quale sanzione accessoria ad altra violazione, mentre nel caso di specie viene sottoposto alla Corte il giudizio sulla legittimità costituzionale della omessa comunicazione quale autonoma fattispecie di violazione»;
che il Giudice di pace di Asola, con ordinanza del 23 febbraio 2006, ha sollevato – sempre in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale del solo art. 126-bis, comma 2, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992;
che il rimettente premette di dover conoscere dell’opposizione proposta da una persona giuridica avverso un verbale elevato dalla polizia municipale del Comune di Casaloldo, «a seguito della violazione dell’art. 180, comma 8» del codice della strada;
che, difatti, evidenzia il giudice a quo, il legale rappresentante dell’opponente, sebbene invitato «a fornire informazioni in merito al conducente del veicolo» a carico del quale risultava accertata la «violazione di cui all’art. 142, comma 8» di detto codice, «comunicava di non essere in grado di fornire tali informazioni», sicché veniva raggiunto da un nuovo verbale, con il quale si contestava l’avvenuta violazione dell’art. 180, comma 8, del d.lgs. n. 285 del 1992;
che, così ricostruita la vicenda sottoposta al suo vaglio, il rimettente assume che l’art. 126-bis del codice della strada darebbe luogo «ad una palese disparità di trattamento tra i cittadini destinatari del provvedimento» da esso contemplato, presentandosi tale norma in «contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.»;
che la norma denunciata, in particolare, per il «caso di mancata identificazione del conducente» al momento dell’accertata infrazione, stabilisce «che la segnalazione» prevista «al fine della decurtazione del punteggio attribuito alla patente di guida» vada effettuata «a carico del proprietario del veicolo, salvo che lo stesso non comunichi entro trenta giorni i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione», sanzionando, inoltre, «la mancata comunicazione dei dati» con l’applicazione della sanzione di cui all’art. 180 del codice della strada;
che, dunque, la censurata disposizione – assume il rimettente – «crea nella pratica corrente una ingiustificata disparità di trattamento», sia «tra coloro che sono privi di patente di guida ed i proprietari dei veicoli sanzionati che ne sono muniti, risultando solo gli ultimi di fatto punibili con la decurtazione del punteggio», sia, inoltre, «tra i cittadini che collaborano» con l’organo accertatore e provvedono «diligentemente alle comunicazioni» (seppure «solo al fine di informarlo dell’oggettiva impossibilità di fornire i dati richiesti») e «coloro invece che omettano qualsiasi tipo di comunicazione rendendosi colpevoli di un comportamento volutamente omissivo»;
che il giudice a quo deduce, inoltre, «la manifesta ingiustizia» della norma denunciata, «in quanto per mezzo di essa il proprietario del veicolo per la stessa violazione subisce una doppia sanzione»: la prima, «in quanto responsabile in solido» dell’accertata infrazione stradale, la seconda, «per non aver comunicato i dati del conducente», e ciò «quando non sussiste alcun obbligo di delazione normativamente imposto» e, comunque, «nessun obbligo di registrazione dei dati» relativi all’utilizzazione dei propri autoveicoli;
che, pertanto, la descritta evenienza integrerebbe, simultaneamente, «la violazione del principio costituzionalmente garantito del diritto di difesa», e del principio, «giuridicamente rilevante, di eguaglianza e pari trattamento».
Considerato che i giudici di pace di Pisa e di Asola hanno sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale, il primo, del combinato disposto dell’art. 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall’art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all’esito delle modifiche apportate dall’art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 214, e dell’art. 180, comma 8, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992, il secondo esclusivamente della prima delle due disposizioni sopra menzionate;
che, data la connessione esistente tra i due giudizi, se ne impone la riunione ai fini di una unica pronuncia;
che, successivamente all’emissione delle due ordinanze di rimessione, il comma 164 dell’art. 2 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), inserito dalla relativa legge di conversione 24 novembre 2006, n. 286, ha modificato il testo dell’art. 126-bis, comma 2, del codice della strada, vale a dire la disposizione censurata da entrambi i giudici rimettenti;
che, in forza di tale ius superveniens, le conseguenze della mancata comunicazione dei «dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione» risultano oggetto di una nuova disciplina, atteso che in base al novellato testo dell’art. 126-bis, comma 2, del codice della strada il «proprietario del veicolo, ovvero altro obbligato in solido ai sensi dell’articolo 196, sia esso persona fisica o giuridica, che omette, senza giustificato e documentato motivo, di fornirli è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 250 a euro 1.000»;
che, pertanto, alla luce di tale sopravvenienza normativa si impone la restituzione degli atti ai giudici rimettenti, per una rinnovata valutazione della rilevanza delle questioni dagli stessi sollevate.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
ordina la restituzione degli atti al Giudice di pace di Pisa ed al Giudice di pace di Asola.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 gennaio 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Alfonso QUARANTA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 2 febbraio 2007.