ORDINANZA N. 273
ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione), promossi con ordinanze del 21 febbraio, del 7 marzo, del 2 e del 4 aprile (nn. 10 ordinanze) 2007 dal Tribunale di Firenze, del 6 luglio 2007 dal Tribunale di Roma e del 28 febbraio 2007 dal Tribunale di Firenze, rispettivamente iscritte ai nn. da 588 a 595, da 682 a 686, 726 e 846 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 35, 39 e 42, prima serie speciale, dell’anno 2007 e n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2008.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 25 giugno 2008 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.
Ritenuto che il Tribunale di Firenze in composizione monocratica, con quattordici ordinanze di identico tenore, deliberate rispettivamente il 21 febbraio 2007 (r.o. n. 588 del 2007), il 7 marzo 2007 (r.o. n. 589 del 2007), il 2 aprile 2007 (r.o. n. 590 del 2007), il 4 aprile 2007 (r.o. numeri 591, 592, 593, 594, 595, 682, 683, 684, 685 e 686 del 2007) ed il 28 febbraio 2007 (r.o. n. 846 del 2007), ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) – come sostituito dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione) – nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis;
che il rimettente – il quale procede in tutti i giudizi a quibus, sia pure con riti diversi, nei confronti di persone di nazionalità straniera, accusate di non avere ottemperato all’ordine di lasciare il territorio nazionale – dubita che la previsione edittale, entro i cui limiti dovrebbe fissare le pene nel caso di condanna degli imputati, sia stata introdotta secondo un criterio di proporzionalità rispetto alle caratteristiche del fatto incriminato;
che l’incongruenza del trattamento sanzionatorio sarebbe manifesta alla luce della vicenda evolutiva che ha segnato la materia, posto che le pene per l’indebito trattenimento sarebbero state fortemente inasprite, per specie e quantità, ad appena due anni dall’introduzione della fattispecie incriminatrice, senza alcuna corrispondenza con una modificazione sostanziale del fenomeno regolato;
che del resto, a parere del rimettente, il legislatore avrebbe reso manifesta la ratio diversa ed effettiva del proprio intervento, mirato a contrastare gli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2004 – con cui era stata dichiarata l’illegittimità dell’art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui prescriveva l’arresto obbligatorio per il reato previsto dal precedente comma 5-ter – ed a consentire, in particolare, il ripristino della previsione di arresto per lo straniero illegalmente trattenutosi nel territorio nazionale;
che la «trasposizione di un’esigenza processuale nel diritto penale sostanziale», secondo il giudice a quo, sarebbe sintomo evidente della rottura del rapporto di proporzionalità tra fatto e pena;
che una violazione del principio di uguaglianza emergerebbe anche in esito al raffronto del trattamento previsto per l’indebito trattenimento con quello riservato ad altre ipotesi criminose – quali l’inosservanza di un provvedimento legalmente dato per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico o di igiene (art. 650 del codice penale) e la contravvenzione al foglio di via obbligatorio (art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, recante «Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità») – che sarebbero comparabili al predetto reato in quanto consistenti, a loro volta, nella disobbedienza ad un ordine impartito dall’autorità amministrativa a fini di tutela dell’ordine pubblico;
che pertanto, secondo il rimettente, la norma censurata contrasterebbe con il principio di uguaglianza sia in rapporto alle sanzioni previste per la medesima fattispecie soltanto due anni prima della sua introduzione, sia in esito al raffronto con le pene comminate per comportamenti illeciti della stessa natura;
che dal difetto di proporzionalità scaturirebbe anche un contrasto della norma censurata con l’art. 27, terzo comma, Cost., posto che solo una pena corrispondente alla gravità del fatto può esplicare una vera funzione rieducativa;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto, con atti di identico tenore, in tutti i quattordici giudizi indicati, concludendo per la manifesta inammissibilità e comunque per la non fondatezza delle questioni sollevate;
che in primo luogo il rimettente avrebbe omesso, in ciascuna delle proprie ordinanze, un’adeguata motivazione in punto di rilevanza della questione nel giudizio a quo;
che, nel merito, l’evoluzione del quadro sanzionatorio per effetto della legge n. 271 del 2004 non risulterebbe affatto irragionevole, posto che il reato di indebito trattenimento era già in precedenza considerato grave (tanto da prevedersi per esso l’obbligatorietà dell’arresto), e che residua, pur dopo la riforma, un’opportuna articolazione tra forme di responsabilità contravvenzionale, per l’ipotesi più lieve dell’inottemperanza ad un ordine di espulsione per mancato rinnovo del permesso di soggiorno, e più gravi fattispecie a carattere delittuoso, che riguardano l’ingresso clandestino nel territorio dello Stato oppure l’omessa richiesta del permesso di soggiorno nei termini prescritti, o infine la revoca del permesso medesimo;
che il Tribunale di Roma in composizione monocratica, con ordinanza del 6 luglio 2007 (r.o. n. 726 del 2007), ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis;
che il rimettente, chiamato a celebrare giudizio direttissimo nei confronti di un cittadino straniero accusato di indebito trattenimento, formula il dubbio che i valori edittali della sanzione siano sproporzionati, per eccesso, rispetto alle caratteristiche del fatto per cui si procede;
che il Tribunale evidenzia, in via preliminare, l’evoluzione della disciplina in materia di inosservanza dell’ordine di allontanamento dal territorio nazionale, segnata dalla trasformazione dell’originaria previsione di illecito contravvenzionale in fattispecie a carattere delittuoso, con rinnovata previsione dell’arresto obbligatorio, dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2004;
che il rimettente, posta tale premessa, richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 368 del 1995, con la quale erano state valutate le censure mosse alla previsione edittale per il reato di estorsione (art. 629 cod. pen.), fortemente inasprita, qualche anno prima, in esito ad un intervento di riforma;
che l’illegittimità della novella sarebbe stata esclusa, nell’occasione, solo in ragione dell’obiettivo mutamento di rilevanza sociale dei fatti regolati, e del rilievo per cui, comunque, il legislatore non avrebbe introdotto «macroscopiche differenze» nel trattamento sanzionatorio;
che, nel caso dell’indebito trattenimento dello straniero, l’intervento riformatore mancherebbe di siffatte condizioni di «legittimazione», sia perché l’attuato incremento delle sanzioni risulterebbe «macroscopico», sia perché, nei circa due anni trascorsi tra l’introduzione della figura criminosa e l’intervento legislativo, il fenomeno della immigrazione clandestina non avrebbe registrato variazioni tali da giustificare un inasprimento tanto elevato del trattamento sanzionatorio;
che le circostanze indicate dimostrerebbero, secondo il rimettente, come il legislatore intendesse in realtà legittimare la reintroduzione dell’arresto, dopo la citata sentenza n. 223 del 2004, e che però, sempre a parere del giudice a quo, la «trasposizione di un’esigenza processuale nel diritto penale non integra il criterio della ragionevolezza»;
che una violazione del principio di uguaglianza emergerebbe anche in esito al raffronto del trattamento previsto per l’indebito trattenimento con quello riservato ad altre ipotesi criminose – quali l’inosservanza di un provvedimento legalmente dato per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico o di igiene (art. 650 cod. pen.) e la contravvenzione al foglio di via obbligatorio (art. 2 della legge n. 1423 del 1956) – che sarebbero comparabili al predetto reato in quanto consistenti, a loro volta, nella disobbedienza ad un ordine impartito dall’autorità amministrativa a fini di tutela dell’ordine pubblico;
che, in senso contrario, non varrebbe obiettare come proprio la normativa in materia di misure di prevenzione preveda una fattispecie delittuosa assimilabile, nei profili sanzionatori, alla norma censurata (art. 9, comma 2, della citata legge n. 1423 del 1956, che punisce con la pena della reclusione da uno a cinque anni colui che contravvenga agli obblighi ed alle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno), posto che tale fattispecie concerne un soggetto la cui pericolosità è già stata accertata in concreto, con un provvedimento giudiziale e non semplicemente amministrativo, e sanziona una condotta di attiva violazione del precetto, consistente, a seconda dei casi, nell’allontanarsi o nel portarsi in un certo luogo;
che in definitiva, secondo il giudice a quo, la norma censurata contrasterebbe con il principio di uguaglianza sia in esito al raffronto con le sanzioni previste per la medesima fattispecie appena due anni prima della sua introduzione, sia in esito al raffronto con le pene comminate per comportamenti illeciti della stessa natura;
che dal difetto di proporzionalità scaturirebbe anche un contrasto della norma censurata con l’art. 27, terzo comma, Cost., posto che solo una pena corrispondente alla gravità del fatto può esplicare una vera funzione rieducativa;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con atto depositato il 20 novembre 2007, concludendo per la manifesta infondatezza della questione;
che infatti, secondo la difesa erariale, il fatto di inottemperanza sarebbe stato valutato severamente anche prima del censurato intervento di riforma, tanto che per esso era prescritto l’arresto obbligatorio, e, comunque, il trattamento sanzionatorio sarebbe stato opportunamente graduato a seconda delle ragioni sottese al provvedimento espulsivo cui si connette l’ordine di allontanamento impartito dal questore.
Considerato che, con le ordinanze fin qui descritte, i Tribunali di Firenze e Roma, in composizione monocratica, sollevano – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) – come sostituito dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione) – nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis;
che i giudici a quibus, dopo aver ricordato che la sanzione originariamente prevista per il reato di indebito trattenimento consisteva nell’arresto da sei mesi ad un anno, e che, a seguito delle modifiche recate dalla legge n. 271 del 2004, la medesima condotta è oggi punita con la reclusione da uno a quattro anni, rilevano che l’inasprimento sarebbe stato attuato per finalità di carattere processuale (la legittimazione di una nuova previsione di arresto obbligatorio), senza alcuna sostanziale modifica del fenomeno criminoso sottostante, e per ciò stesso in violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità della pena;
che le sanzioni comminate dalla norma censurata sarebbero palesemente sproporzionate per eccesso rispetto alla gravità effettiva del fatto incriminato;
che, inoltre, i rimettenti pongono in comparazione il trattamento sanzionatorio dell’indebito trattenimento con quello, assai più mite, previsto da disposizioni ritenute assimilabili, perché concernenti a loro volta condotte di inottemperanza a provvedimenti adottati dall’autorità per ragioni di sicurezza e di ordine pubblico;
che a tale proposito vengono evocati, in particolare, l’art. 650 del codice penale (recante la rubrica «Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità»), che prevede l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino ad euro 206, e l’art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza), relativo alla contravvenzione al foglio di via obbligatorio, punita con l’arresto da uno a sei mesi;
che le ordinanze di rimessione prospettano anche un contrasto tra la norma censurata ed il terzo comma dell’art. 27 Cost., in quanto la relativa previsione sanzionatoria, essendo priva di proporzionalità rispetto al fatto incriminato, non potrebbe assolvere alla necessaria funzione rieducativa della pena;
che, data la pertinenza di tutte le questioni sollevate al trattamento sanzionatorio del reato previsto dall’art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del d.lgs. n. 286 del 1998, può essere disposta la riunione dei relativi giudizi;
che dette questioni sono sostanzialmente analoghe ad altre, che questa Corte ha già dichiarato inammissibili con la sentenza n. 22 del 2007, e manifestamente inammissibili con le ordinanze numeri 167 e 354 del 2007, e n. 52 del 2008;
che i provvedimenti di rimessione, per quanto deliberati successivamente alla pubblicazione della citata sentenza n. 22 del 2007, non prospettano alcun nuovo elemento di valutazione che possa indurre questa Corte a discostarsi dalle conclusioni raggiunte, e più volte ribadite;
che dunque, anche nella specie, deve dichiararsi la manifesta inammissibilità delle questioni sollevate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALEriuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione), nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dai Tribunali di Firenze e Roma, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2008.