ORDINANZA N. 52
ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione), promossi con ordinanze del 24 gennaio (n. 2 ordinanze) e del 10 maggio 2006 dal Tribunale di Castrovillari, del 22 agosto 2005 e del 26 luglio 2006 dal Tribunale di Firenze, del 14 ottobre 2005 dal Tribunale di Genova, del 18 agosto 2006 dal Tribunale di Trieste, del 13 aprile e del 2 novembre 2006 (n. 2 ordinanze) dal Tribunale di Torino, del 18 luglio 2006 dal Tribunale di Gorizia, rispettivamente iscritte ai nn. 145 e 146 del registro ordinanze 2006 e al n. 8 del registro ordinanze 2007; al n. 193 del registro ordinanze 2006 e al n. 120 del registro ordinanze 2007; al n. 602 del registro ordinanze 2006; al n. 134 del registro ordinanze 2007; ai nn. 203, 247 e 248 del registro ordinanze 2007; al n. 221 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 21 e 26, prima serie speciale, dell’anno 2006, nn. 2, 7, 12, 13, 15, 16, prima serie speciale, dell’anno 2007 e nella edizione straordinaria del 26 aprile 2007.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 30 gennaio 2008 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.
Ritenuto che il Tribunale di Castrovillari in composizione monocratica, con tre ordinanze di tenore analogo, deliberate rispettivamente il 24 gennaio 2006 (r.o. nn. 145 e 146 del 2006) e il 10 maggio 2006 (r.o. n. 8 del 2007), ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione), nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis;
che il rimettente – il quale procede in tutti i giudizi a quibus, sia pure con riti diversi, nei confronti di persone di nazionalità straniera, accusate di non avere ottemperato all’ordine di lasciare il territorio nazionale – dubita che la previsione edittale, entro i cui limiti dovrebbe fissare le pene nel caso di condanna degli imputati, sia stata introdotta in armonia con i precetti costituzionali;
che per un verso, secondo il giudice a quo, l’inasprimento sanzionatorio attuato con la legge n. 271 del 2004 non trova corrispondenza nella «effettiva offensività della condotta», ma risponde al solo scopo di «ripristinare l’arresto obbligatorio», dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2004 (dichiarativa della illegittimità dell’art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui prescriveva l’arresto per il reato di cui al precedente comma 5-ter, all’epoca delineato in forma contravvenzionale);
che, per altro verso, l’attuale entità della sanzione applicabile per i reati contestati darebbe luogo ad una ingiustificata disparità di trattamento rispetto a fattispecie che pure riguarderebbero condotte analoghe, perché relative all’inosservanza di provvedimenti espulsivi e dunque lesive degli identici interessi;
che il rimettente richiama, a tale proposito, sia l’inadempienza conseguente all’espulsione disposta dal Ministro dell’interno a norma del comma 1 dell’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998, che sarebbe addirittura immune da sanzione penale, sia l’inottemperanza dello straniero espulso per non aver rinnovato il permesso di soggiorno, punita con la pena dell’arresto da sei mesi ad un anno;
che il principio di uguaglianza risulterebbe violato anche in esito al raffronto tra la previsione sanzionatoria per l’indebito trattenimento e le pene comminate per condotte che sarebbero ad esso comparabili, come l’inosservanza dei provvedimenti dell’autorità di cui all’art. 650 del codice penale e la disobbedienza all’ordine di rimpatrio prevista dall’art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza);
che dal difetto di proporzione scaturirebbe, secondo il giudice a quo, anche un contrasto con la prescrizione del terzo comma dell’art. 27 Cost., posto che solo una pena corrispondente alla gravità del fatto può esplicare una vera funzione rieducativa;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in ciascuno dei tre giudizi, con atti depositati rispettivamente il 13 giugno 2006 (r.o. nn. 145 e 146 del 2006) ed il 6 marzo 2007 (r.o. n. 8 del 2007);
che la difesa erariale, con i primi due tra gli atti sopra citati, ha chiesto che la questione di legittimità sia dichiarata manifestamente infondata;
che infatti, secondo l’Avvocatura generale, rientra appieno nell’esercizio della discrezionalità legislativa la determinazione di «un trattamento sanzionatorio che, nel rispetto dei principi di legalità, miri ad assicurare un ordinato flusso migratorio», e dunque costituisca adempimento dell’obbligo, per lo Stato ineludibile, di presidiare le proprie frontiere;
che la stessa difesa erariale, con l’atto di intervento nel giudizio r.o. n. 8 del 2007, ha chiesto che la questione sia dichiarata manifestamente inammissibile o manifestamente infondata;
che il rimettente, infatti, avrebbe omesso un’adeguata indicazione in punto di rilevanza della questione sollevata nel giudizio da lui condotto;
che l’evoluzione del quadro sanzionatorio per effetto della legge n. 271 del 2004, d’altro canto, non sarebbe affatto irragionevole, posto che il reato di indebito trattenimento era già in precedenza considerato grave (tanto da prevedersi per esso l’obbligatorietà dell’arresto), e che residua, pur dopo la riforma, un’opportuna articolazione tra forme di responsabilità contravvenzionale, per l’ipotesi più lieve dell’inottemperanza ad un ordine di espulsione per mancato rinnovo del permesso di soggiorno, e più gravi fattispecie a carattere delittuoso, che riguardano l’ingresso clandestino nel territorio dello Stato oppure l’omessa richiesta del permesso di soggiorno nei termini prescritti, o infine la revoca del permesso medesimo;
che il Tribunale di Firenze in composizione monocratica, con due ordinanze di tenore analogo, deliberate rispettivamente il 22 agosto 2005 (r.o. n. 193 del 2006) e il 26 luglio 2006 (r.o. n. 120 del 2007), ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis;
che il rimettente – il quale procede nei giudizi a quibus, sia pure con riti diversi, nei confronti di persone accusate del reato di indebito trattenimento – dubita che i limiti edittali della sanzione, cui dovrebbe far riferimento in caso di applicazione della pena su richiesta o di condanna degli imputati, siano stati fissati in armonia con i precetti costituzionali;
che l’incongruenza del trattamento sanzionatorio sarebbe manifesta alla luce della vicenda evolutiva che ha segnato la materia, posto che le pene per l’indebito trattenimento sarebbero state «macroscopicamente» inasprite, per specie e quantità, ad appena due anni dall’introduzione della fattispecie incriminatrice, senza alcuna corrispondenza con una modificazione sostanziale del fenomeno regolato;
che del resto, a parere del rimettente, il legislatore avrebbe reso manifesta la ratio diversa ed effettiva del proprio intervento, mirato a contrastare gli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2004 – con cui era stata dichiarata l’illegittimità dell’art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui stabiliva che, per il reato previsto dal precedente comma 5-ter, fosse obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto – ed a consentire, in particolare, il ripristino della previsione di arresto per lo straniero illegalmente trattenutosi nel territorio nazionale;
che la «trasposizione di un’esigenza processuale nel diritto penale sostanziale», secondo il giudice a quo, sarebbe sintomo evidente della rottura del rapporto di proporzionalità tra fatto e pena;
che una violazione del principio di uguaglianza emergerebbe anche in esito al raffronto del trattamento previsto per l’indebito trattenimento con quello riservato ad altre ipotesi criminose – quali l’inosservanza di un provvedimento legalmente dato per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico o di igiene (art. 650 cod. pen.) e la contravvenzione al foglio di via obbligatorio (art. 2 della legge n. 1423 del 1956) – che sarebbero ad esso comparabili in quanto consistenti, a loro volta, nella disobbedienza ad un ordine impartito dall’autorità amministrativa a fini di tutela dell’ordine pubblico;
che pertanto, secondo il rimettente, la norma censurata contrasterebbe con il principio di uguaglianza sia in rapporto alle sanzioni previste per la medesima fattispecie soltanto due anni prima della sua introduzione, sia in esito al raffronto con le pene comminate per comportamenti illeciti della stessa natura;
che dal difetto di proporzionalità scaturirebbe anche un contrasto della norma censurata con l’art. 27, terzo comma, Cost., posto che solo una pena corrispondente alla gravità del fatto può esplicare una vera funzione rieducativa;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel solo giudizio r.o. n. 193 del 2006, con atto depositato il 18 luglio 2006, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata;
che infatti, secondo la difesa erariale, rientra appieno nell’esercizio della discrezionalità legislativa la determinazione di «un trattamento sanzionatorio che, nel rispetto dei principi di legalità, miri ad assicurare un ordinato flusso migratorio», e dunque costituisca adempimento dell’obbligo, per lo Stato ineludibile, di presidiare le proprie frontiere;
che il Tribunale di Genova in composizione monocratica, con ordinanza del 14 ottobre 2005 (r.o. n. 602 del 2006), ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis;
che il rimettente, il quale procede con rito abbreviato nei confronti di uno straniero accusato del reato di indebito trattenimento, ritiene che i valori edittali della sanzione, entro i quali dovrebbe essere fissata la pena da irrogare per il caso di condanna, siano irragionevolmente alti, comportando una violazione del principio di uguaglianza e di necessaria funzionalità rieducativa della pena;
che anzitutto, secondo il giudice a quo, l’inasprimento sanzionatorio attuato con la legge n. 271 del 2004 non troverebbe corrispondenza in un concreto aggravamento del fenomeno criminoso regolato, ed avrebbe avuto il solo scopo di legittimare una nuova previsione di arresto dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2004, la quale aveva stabilito l’illegittimità della misura in riferimento alla natura contravvenzionale che all’epoca caratterizzava il reato di indebito trattenimento;
che d’altra parte gli attuali livelli della sanzione, ed in particolare quello minimo, risulterebbero eccessivi sia considerando fattispecie punite in modo sostanzialmente analogo, ma pertinenti a fatti di maggiore gravità, sia considerando fattispecie sanzionate in termini assai più blandi, per quanto pertinenti a comportamenti sostanzialmente analoghi a quello in considerazione;
che il rimettente evoca, nella prima prospettiva, il delitto di cui all’art. 14, comma 5-quater, dello stesso d.lgs. n. 286 del 1998, consistente nell’indebito reingresso nel territorio nazionale di persona già espulsa: fattispecie più grave di quella cui si riferisce la norma censurata, e come tale trattata dal legislatore fino alla riforma introdotta con la legge n. 271 del 2004, che avrebbe invece irragionevolmente equiparato (salvo che per una lieve differenza nel massimo) il trattamento sanzionatorio delle due ipotesi di reato;
che l’indebito trattenimento sarebbe, invece, comparabile per gravità ad altre figure criminose – sanzionate con pene assai più lievi per specie e quantità – quali l’inosservanza di un provvedimento dell’autorità, di cui all’art. 650 cod. pen., e la contravvenzione al foglio di via obbligatorio, di cui all’art. 2 della legge n. 1423 del 1956;
che secondo il rimettente la deroga al principio di proporzionalità, oltre che integrare una violazione del criterio di uguaglianza, priverebbe la pena della necessaria funzione rieducativa, con conseguente lesione del principio di cui al terzo comma dell’art. 27 Cost.;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con atto depositato il 30 gennaio 2007, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata;
che la riforma attuata con la legge n. 271 del 2004 avrebbe riguardato un reato già considerato grave, vista l’originaria previsione dell’arresto, e comunque avrebbe opportunamente distinto tra le varie ipotesi di condotta conseguenti all’espulsione, conservando la forma contravvenzionale per le fattispecie meno gravi e realizzando, di conseguenza, una ragionevole ed articolata dosimetria della pena;
che il Tribunale di Trieste in composizione monocratica, con ordinanza del 18 agosto 2006 (r.o. n. 134 del 2007), ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine impartitogli dal questore ai sensi del precedente comma 5-bis;
che il rimettente è chiamato a deliberare sentenza, in esito a giudizio abbreviato, nei confronti di uno straniero imputato del reato di indebito trattenimento, per il quale il pubblico ministero ha formulato richiesta di irrogazione della minima pena consentita dalla legge, e ritiene che i valori edittali della sanzione, entro i quali dovrebbe essere fissata la pena per il caso di condanna, siano irragionevolmente elevati;
che il giudice a quo – nel richiamarsi alla giurisprudenza costituzionale che avrebbe prospettato l’illegittimità di previsioni concernenti sanzioni irragionevoli o sproporzionate, alla luce del principio di uguaglianza ed anche di quello di necessaria finalizzazione rieducativa della pena – concentra la propria attenzione, in particolare, sulla pronuncia con la quale è stata dichiarata manifestamente infondata una questione concernente la pena minima edittale per il delitto di estorsione, che il legislatore aveva aumentato dal valore originario (tre anni) fino alla soglia dei cinque anni (ordinanza n. 368 del 1995);
che l’illegittimità della disposizione era stata esclusa, nella specie, in quanto l’inasprimento della pena non aveva determinato «macroscopiche differenze» rispetto al trattamento sanzionatorio della rapina, fattispecie giudicata per altro «non del tutto assimilabile» a quella dell’estorsione, ed era stato attuato anche per indurre una risposta repressiva più determinata ad un fenomeno criminale in piena evoluzione;
che il rimettente deduce dalla pronuncia evocata, a contrario, che una «macroscopica differenza» nel trattamento sanzionatorio, non giustificata da mutamenti del fenomeno criminale sottostante, darebbe luogo ad un contrasto con i parametri costituzionali dell’uguaglianza e della finalizzazione rieducativa della pena;
che, nella specie, una «differenza» risolutiva – a fini dimostrativi dell’illegittimità della riforma attuata con la legge n. 271 del 2004 – risulterebbe evidente comparando la relativa previsione sanzionatoria con quella introdotta appena due anni prima, e constatando come il fenomeno regolato non avesse subito modificazioni sostanziali;
che la sproporzione per eccesso della pena per l’indebito trattenimento sarebbe documentata, inoltre, dal raffronto con altre previsioni concernenti fattispecie di inottemperanza ad un ordine dato dall’autorità per ragioni di sicurezza ed ordine pubblico (sono citati l’art. 650 cod. pen. e l’art. 2 della legge n. 1423 del 1956);
che la previsione sanzionatoria sarebbe assimilabile, d’altro canto, a quella concernente la contravvenzione agli obblighi ed alle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno (art. 9, comma 2, della citata legge n. 1423 del 1956), cioè una condotta assai più grave, in quanto riferibile a soggetto dalla pericolosità già accertata con un provvedimento giudiziale, e caratterizzata dall’attiva violazione del precetto, consistente, a seconda dei casi, nell’allontanarsi da un certo luogo o nel raggiungere un certo luogo;
che, in definitiva, la previsione oggetto della censura, risultando sproporzionata sia rispetto ai valori di pena precedentemente fissati per il medesimo reato, sia rispetto alle sanzioni previste per fattispecie analoghe, implicherebbe un sacrificio non giustificato del bene della libertà personale, che per lo straniero trova tutela in tutto corrispondente a quella assicurata per il cittadino;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con atto depositato il 17 aprile 2007, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata per ragioni analoghe a quelle già illustrate con l’atto di intervento nel giudizio r.o. n. 602 del 2006;
che il Tribunale di Torino in composizione monocratica, con tre ordinanze di tenore analogo, deliberate rispettivamente il 13 aprile 2006 (r.o. n. 203 del 2007) e il 2 novembre 2006 (r.o. nn. 247 e 248 del 2007), ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis;
che il rimettente – il quale procede nei giudizi a quibus, sia pure con riti diversi, nei confronti di persone accusate del reato di indebito trattenimento – assume che la previsione concernente i limiti edittali della sanzione, cui dovrebbe far riferimento in caso di applicazione della pena su richiesta o di condanna degli imputati, sarebbe irrazionale, e comunque discriminatoria, per il trattamento più severo previsto rispetto a quello concernente altre condotte, del tutto assimilabili eppure sanzionate in misura assai minore, o addirittura immuni da conseguenze penali;
che il giudice a quo richiama in proposito norme contenute nello stesso d.lgs. n. 286 del 1998, che riguardano ulteriori condotte di inottemperanza all’ordine di lasciare il territorio dello Stato, punite solo con la pena dell’arresto da sei mesi ad un anno (in caso di espulsione conseguente alla mancata richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno), o addirittura penalmente irrilevanti (come nel caso dell’espulsione disposta dal Ministro dell’interno a norma del comma 1 dell’art. 13 del citato d.lgs. n. 286 del 1998);
che, secondo il rimettente, il legislatore non avrebbe potuto differenziare il trattamento penale delle varie condotte di inottemperanza in ragione della causa del provvedimento di espulsione rimasto ineseguito, posto che la lesione del bene giuridico sarebbe per tutte identica, e per tutte si realizzerebbe con l’inutile scadenza del termine per l’abbandono del territorio nazionale;
che piuttosto lo stesso legislatore, in osservanza del criterio di proporzionalità, avrebbe dovuto assimilare il trattamento della condotta in esame a quello di comportamenti previsti da altre norme poste a tutela dell’ordine pubblico, come l’art. 650 cod. pen. e l’art. 2 della legge n. 1423 del 1956;
che in particolare, a parere del rimettente, la piena comunanza di struttura e di oggetto giuridico tra le previsioni appena citate e quella censurata comproverebbe che il più severo trattamento dipende, nella specie, dalla cittadinanza straniera dell’autore della violazione, e quindi introduce una discriminazione inammissibile, se riferita ad un diritto fondamentale qual è la libertà della persona;
che l’incongruenza del trattamento sanzionatorio rispetto alle caratteristiche offensive della condotta sarebbe documentata, secondo il giudice a quo, anche dall’evidente finalismo dell’opzione compiuta con la legge n. 271 del 2004, volta a fissare una pena che consentisse, a mente dell’art. 280 del codice di procedura penale, l’applicazione di una misura cautelare carceraria e dunque, pur dopo la sentenza n. 223 del 2004 della Corte costituzionale, la previsione dell’arresto obbligatorio;
che, infine, la sproporzione per eccesso della previsione sanzionatoria determinerebbe anche la violazione del terzo comma dell’art. 27 Cost., atteso che la finalità rieducativa della pena deve essere assicurata non solo con riguardo alla fase esecutiva, ma anche in sede di astratta comminazione, e che detta finalità sarebbe vanificata da una punizione manifestamente eccessiva dell’interessato;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in ciascuno dei tre giudizi, con atti depositati rispettivamente il 30 aprile 2007 (r.o. n. 203 del 2007) e il 16 maggio 2007 (r.o. nn. 247 e 248 del 2007), chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata;
che l’intervento di riforma attuato con la legge n. 271 del 2004 avrebbe riguardato un reato già considerato grave, vista l’originaria previsione dell’arresto per il responsabile, e comunque avrebbe opportunamente distinto tra le varie ipotesi di condotta conseguenti all’espulsione, conservando la forma contravvenzionale per le fattispecie meno gravi e realizzando, di conseguenza, una ragionevole ed articolata dosimetria della pena;
che il Tribunale di Gorizia in composizione monocratica, con ordinanza del 18 luglio 2006 (r.o. n. 221 del 2007), ha sollevato – in riferimento agli artt. 2, 3, 10 e 27, terzo comma, Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede il limite edittale minimo di un anno di reclusione per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis;
che il rimettente – chiamato a deliberare sentenza, in esito a giudizio abbreviato, nei confronti di uno straniero imputato del reato di indebito trattenimento – dubita della legittimità della previsione che fissa il minimo edittale della pena in un anno di reclusione, previsione che dovrebbe in concreto applicare, nel caso di condanna, dato tra l’altro che l’imputato è immune da precedenti;
che secondo il rimettente, alla luce della giurisprudenza costituzionale, le scelte del legislatore nella determinazione delle pene, discrezionali solo entro il limite della ragionevolezza, non potrebbero risolversi nella comminatoria di sanzioni sproporzionate al disvalore del fatto criminoso (è citata qui, soprattutto, la sentenza n. 341 del 1994), e non potrebbero implicare, senza pregiudizio per la funzionalità rieducativa del trattamento, una palese eccedenza del sacrificio della libertà personale in rapporto all’offesa recata dalla condotta punibile (sentenze n. 313 del 1990 e n. 343 del 1993);
che l’esame dei lavori preparatori della legge n. 271 del 2004 – svelando la strumentalità delle modificazioni introdotte per la fattispecie sostanziale al ripristino dell’arresto obbligatorio dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2004 – porrebbe in luce come la discrezionalità legislativa non sia stata esercitata, nella specie, in aderenza ai principi sopra indicati;
che in particolare, secondo il rimettente, la definizione di un istituto del diritto penale sostanziale alla luce di un’esigenza di carattere processuale varrebbe per se stessa a determinare una lesione dei «principi di ragionevolezza e proporzionalità della pena rispetto alla offensività della condotta»;
che, comunque, l’elevata quantificazione del minimo edittale non sarebbe giustificata neppure dall’intento di legittimare la rinnovata prescrizione dell’arresto obbligatorio, posto che l’art. 280 cod. proc. pen., per individuare i fatti suscettibili di dar luogo all’arresto del responsabile, assegna rilevanza esclusiva al massimo della pena prevista dalla disposizione sostanziale;
che la disciplina censurata, sempre secondo il Tribunale, sarebbe ingiustamente discriminatoria con riguardo agli stranieri extracomunitari, posto che i cittadini comunitari, per condotte ritenute assimilabili, sarebbero assoggettati ad un trattamento assai meno severo, come avviene per i reati di cui all’art. 650 cod. pen. ed all’art. 2 della legge n. 1423 del 1956;
che la previsione oggetto di censura sarebbe in contrasto anche con gli artt. 2 e 3 Cost. «in relazione» al successivo art. 10, posto che tra i diritti inviolabili dell’uomo sarebbe naturalmente compreso anche quello alla libertà personale, rispetto al quale le norme di tutela, appunto «in ragione dell’art. 10 della Costituzione», spiegano «piena vigenza anche nei confronti degli stranieri presenti sul territorio della Repubblica»;
che secondo il rimettente, infine, la norma in questione contrasta con il principio di necessaria finalizzazione rieducativa della pena, sia perché riferita a persone non pericolose, e dunque prive di «soggettività criminale da rieducare», sia perché uno scopo di reinserimento sociale non sarebbe configurabile per stranieri non legittimati a restare nel territorio italiano o dell’Unione europea;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con atto depositato l’8 maggio 2007, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata per ragioni analoghe a quelle già illustrate con l’atto di intervento nel giudizio r.o. n. 602 del 2006.
Considerato che tutte le ordinanze fin qui descritte sollevano questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione), nella parte in cui determina i limiti edittali della pena per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis;
che i Tribunali di Castrovillari, Firenze, Genova, Trieste e Torino censurano la norma indicata con riguardo ai valori asseritamente troppo elevati della previsione edittale (reclusione da uno a quattro anni), e con riferimento generalizzato agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione;
che il Tribunale di Gorizia censura la medesima norma nella parte in cui prevede la pena minima della reclusione per un anno, con riferimento, oltre che agli artt. 3 e 27, terzo comma, anche agli artt. 2 e 10 Cost.;
che nel complesso i giudici a quibus, dopo aver ricordato che la sanzione originariamente prevista per il reato di indebito trattenimento consisteva nell’arresto da sei mesi ad un anno, e che, a seguito delle modifiche recate dalla legge n. 271 del 2004, la medesima condotta è oggi punita con la reclusione da uno a quattro anni, rilevano che l’inasprimento sarebbe stato attuato per finalità di carattere processuale (la legittimazione di una nuova previsione di arresto obbligatorio), senza alcuna sostanziale modifica del fenomeno criminoso sottostante, e per ciò stesso in violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità della pena;
che le sanzioni comminate dalla norma censurata sarebbero palesemente sproporzionate per eccesso rispetto alla gravità effettiva del fatto incriminato;
che, nel complesso, i rimettenti pongono in comparazione il trattamento sanzionatorio dell’indebito trattenimento con quello, assai più mite, previsto da disposizioni ritenute assimilabili, perché concernenti a loro volta condotte di inottemperanza a provvedimenti adottati dall’autorità amministrativa per ragioni di sicurezza e di ordine pubblico;
che a tale proposito vengono evocati, in particolare, l’art. 650 del codice penale (recante la rubrica «Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità»), che prevede l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino ad euro 206; l’art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza), relativo alla contravvenzione al foglio di via obbligatorio, punita con l’arresto da uno a sei mesi; l’art. 14, comma 5-ter, seconda parte, dello stesso d.lgs. n. 286 del 1998, che punisce con l’arresto da sei mesi ad un anno lo straniero che non ottemperi all’ordine di allontanamento dopo essere stato espulso per non aver chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno in precedenza ottenuto;
che il Tribunale di Genova, inoltre, istituisce una comparazione tra la norma censurata e l’art. 14, comma 5-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998, che prevede pene di analoga portata per condotte di gravità asseritamente maggiore, in quanto riferibili, nel complesso, ad uno straniero già espulso dal territorio dello Stato e nondimeno sorpreso sul territorio nazionale in violazione delle norme sull’immigrazione;
che una comparazione di senso analogo è istituita, dal Tribunale di Trieste, con riguardo alla contravvenzione agli obblighi ed alle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno (art. 9, comma 2, della citata legge n. 1423 del 1956), cioè ad una condotta ritenuta assai più grave dell’indebito trattenimento, e però sanzionata in misura equivalente;
che tutte le ordinanze di rimessione prospettano il contrasto tra la norma censurata ed il terzo comma dell’art. 27 Cost., in quanto la relativa previsione sanzionatoria, essendo priva di proporzionalità rispetto al fatto incriminato, non potrebbe assolvere alla necessaria funzione rieducativa della pena;
che inoltre, secondo il Tribunale di Gorizia, non potrebbe configurarsi un fine di reinserimento sociale per pene inflitte a stranieri comunque destinati all’espulsione dal territorio dello Stato e da quello dei Paesi dell’Unione europea;
che, sempre a parere del Tribunale di Gorizia, la norma censurata comporterebbe anche una violazione degli artt. 2 e 3 Cost., in relazione al successivo art. 10, posto che sarebbe compresso il diritto inviolabile alla libertà personale, cui deve assicurarsi tutela anche per quanto concerne gli stranieri presenti nel territorio della Repubblica;
che, data la pertinenza di tutte le questioni sollevate al trattamento sanzionatorio del reato previsto dall’art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del d.lgs. n. 286 del 1998, può essere disposta la riunione dei relativi giudizi;
che dette questioni sono sostanzialmente identiche ad altre, che questa Corte ha già dichiarato inammissibili con la sentenza n. 22 del 2007 e manifestamente inammissibili con le ordinanze nn. 167 e 354 del 2007;
che, non sussistendo ragioni per discostarsi dalle valutazioni recentemente compiute, deve dichiararsi la manifesta inammissibilità anche delle questioni in esame.
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALEriuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione), nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dai Tribunali di Castrovillari, Firenze, Genova, Trieste e Torino con le ordinanze indicate in epigrafe;
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede la pena minima di un anno di reclusione per lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 10 e 27, terzo comma, Cost., dal Tribunale di Gorizia con l’ordinanza indicata in epigrafe;
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 febbraio 2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2008.