Ordinanza n. 157 del 2008

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ORDINANZA N. 157

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

- Franco                                 BILE                                Presidente

- Giovanni Maria                      FLICK                               Giudice

- Francesco                             AMIRANTE                             "

- Ugo                                     DE SIERVO                             "

- Paolo                                   MADDALENA                         "

- Alfio                                    FINOCCHIARO                       "

- Alfonso                                QUARANTA                            "

- Franco                                 GALLO                                   "

- Luigi                                    MAZZELLA                             "

- Gaetano                               SILVESTRI                              "

- Sabino                                 CASSESE                                "

- Maria Rita                            SAULLE                                  "

- Giuseppe                                                            TESAURO   "

- Paolo Maria                          NAPOLITANO                         "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 26-quinquies, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), introdotto dalla legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248, promosso con ordinanza del 4 giugno 2007 dalla Commissione tributaria provinciale di Latina sul ricorso proposto da Matrullo Giuseppe contro la Gerit s.p.a., iscritta al n. 715 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 16 aprile 2008 il Giudice relatore Paolo Maddalena.

Ritenuto che la Commissione tributaria provinciale di Latina, con ordinanza emessa il 4 giugno 2007, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 26-quinquies, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale), introdotto dalla legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248, nella parte in cui omette di integrare l’art. 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nel senso dell’espressa devoluzione al giudice tributario delle controversie in materia di fermo di autoveicoli dovuto al mancato pagamento di cartella notificata per violazioni del codice della strada;

che la Commissione rimettente – premesso di essere stata investita dell’impugnazione del preavviso di fermo di un autoveicolo emesso dall’agente della riscossione per il mancato pagamento dell’importo scaduto e non pagato relativo a cartelle di pagamento per contravvenzioni stradali –, nell’esaminare l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla parte convenuta, osserva che «dal dato normativo non emerge ictu oculi il difetto di giurisdizione delle commissioni tributarie con riferimento al fermo concernente sanzioni previste dal codice della strada, né d'altra parte vi è un indirizzo giurisprudenziale univoco in tal senso», tanto più in presenza di un favore legislativo verso l’allargamento e l’autonomia della giurisdizione tributaria a scapito di quella ordinaria ed amministrativa, sicuramente legato alla speditezza del processo tributario;

che, secondo il rimettente, con l’innovazione legislativa introdotta con la legge di conversione del decreto-legge n. 223 del 2006 è stato individuato un giudice generalmente competente per il fermo quale atto della riscossione coattiva delle entrate non solo tributarie e non solo erariali: il giudice tributario sarebbe così legittimato a giudicare per tutti i fermi amministrativi e per qualunque credito, apparendo «conforme a diritto interpretare la norma di cui al novellato art. 19 del contenzioso tributario nel senso di ritenere che il legislatore abbia inteso assegnare comunque ed in ogni caso la competenza esclusiva per materia, in tema di fermo, al giudice tributario»;

che, su queste premesse, la Commissione tributaria respinge l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dall’agente della riscossione;

che, tuttavia, la stessa Commissione tributaria rileva che «l’eccepito vuoto legislativo concorre a giustificare il dubbio in questione, dubbio che deve essere risolto prima di emettere la sentenza»;

che, a tale riguardo, il rimettente si pone l’interrogativo a quale autorità  giudiziaria, senza correre il rischio che sia eccepito il difetto di giurisdizione, si deve rivolgere per la tutela dei suoi diritti il soggetto che ha subito il fermo a seguito di omesso pagamento della cartella per violazioni del codice della strada;

che, secondo il giudice a quo, «allo stato della legislazione sembra che sia il giudice ordinario sia il giudice tributario possono dichiararsi competenti a giudicare sul fermo di autoveicoli»: di qui «la violazione di principi costituzionali», «perché la decisione non dipende dalla legge, ma dall'interpretazione del giudice adito cui il difensore ha ritenuto di rivolgere la domanda giudiziale»;

che, ad avviso del rimettente, l’art. 35, comma 26-quinquies, del decreto-legge n. 223 del 2006 determinerebbe una violazione dei principi: di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, perché il contenuto ambiguo della legge non permetterebbe di trattare in modo uguale il fermo nelle complesse situazioni che si presentano nella realtà; del giudice naturale precostituito per legge, in quanto la norma denunciata non consentirebbe al cittadino di conoscere a priori quale sarà il giudice competente a decidere; del diritto di difesa, inteso come diritto inviolabile di agire in giudizio e di difendersi a tutela dei propri diritti e interessi in ogni stato e grado del procedimento;

che, nel giudizio dinanzi alla Corte, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso nel senso dell’inammissibilità o, comunque, dell’infondatezza della questione;

che la questione sarebbe inammissibile per irrilevanza, giacché la Commissione tributaria ha già respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione, sicché il dubbio di costituzionalità non può rivestire alcuna influenza sul giudizio;

che, inoltre, il legame con gli invocati precetti costituzionali è sviluppato nell’ordinanza di rimessione con riferimento alle difficoltà che può incontrare il cittadino nella individuazione del giudice competente, senza considerare l’ausilio della difesa tecnica della quale il cittadino si avvale, anche per le vertenze di cui è causa;

che, ad avviso della difesa erariale, il giudice a quo avrebbe omesso di verificare se siano consentite interpretazioni diverse della norma sottoposta a censura, tali da consentirne una lettura conforme ai principi costituzionali evocati; in particolare, la Commissione tributaria non avrebbe accertato se il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e tributario possa operare in relazione al diritto sottostante fatto valere e non all’oggetto del ricorso, così da limitare l’attribuzione alle commissioni tributarie della cognizione delle sole questioni connesse alla riscossione di uno dei tributi riservati a quella giurisdizione;

che, nel merito, l’Avvocatura ricorda che il legislatore gode di ampia discrezionalità nel definire la disciplina del processo e dei relativi istituti, le cui scelte sono censurabili sotto un profilo costituzionale solo ove si manifestino irragionevoli ed arbitrarie, e che non vi è un principio costituzionalmente rilevante di necessaria uniformità delle regole processuali dei vari tipi di processo.

Considerato che la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione, investe l'art. 35, comma 26-quinquies, del decreto-legge 4 luglio  2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), introdotto dalla legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248, nella parte in cui omette di integrare l’art. 2 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nel senso dell’espressa devoluzione al giudice tributario delle controversie in materia di fermo di autoveicoli dovuto al mancato pagamento di cartella notificata per violazioni del codice della strada;

         che nel giudizio principale, avente ad oggetto l’annullamento di un preavviso di fermo emesso dall’agente della riscossione per l’omesso pagamento di importi relativi a contravvenzioni stradali e indicati nelle cartelle di pagamento notificate al ricorrente, la parte resistente ha eccepito, in via preliminare, il difetto di giurisdizione del giudice tributario adito, e la Commissione tributaria espressamente ha respinto la suddetta eccezione, ampiamente spiegando perché l’art. 35, comma 26-quinquies, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, debba essere interpretato nel senso di ritenere che il legislatore abbia inteso assegnare comunque ed in ogni caso la competenza  esclusiva  per  materia, in tema di fermo, al giudice tributario;

che la prospettazione della questione di legittimità costituzionale, seguendo la declaratoria da parte del giudice a quo della propria giurisdizione sulla controversia di cui egli è investito, ha ad oggetto una disposizione della quale lo stesso rimettente ha già fatto applicazione;

che, inoltre, nel motivare la non manifesta infondatezza, lo stesso giudice rimettente dà atto che l’esigenza di adire la Corte costituzionale sorge per dissolvere un dubbio interpretativo, perché la decisione su quale sia il giudice fornito di giurisdizione in materia «non dipende dalla legge, ma dall’interpretazione del giudice adito»;

che, pertanto, la questione di legittimità costituzionale deve essere dichiarata manifestamente inammissibile: sia per difetto di rilevanza, in relazione alla già avvenuta applicazione della norma denunciata da parte del rimettente (ordinanze n. 416 e n. 112 del 2007); sia perché impropriamente sollevata per ottenere un avallo a favore di una determinata interpretazione della norma stessa (ordinanze n. 292 e n. 85 del 2007).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 26-quinquies, del decreto-legge 4 luglio  2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale), introdotto dalla legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Latina con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Paolo MADDALENA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 16 maggio 2008.