ORDINANZA N. 411
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6 (recte: dell’art. 1, comma 6), lettera a), numero 13, della legge 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), e dell’art. 142 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), come sostituito dall’art. 128 del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’art. 1, comma 5, della L. 14 maggio 2005, n. 80), promosso con ordinanza del 20 dicembre 2006 dal Tribunale ordinario di Bolzano sui ricorsi proposti da Cembran Donatello ed altri, iscritta al n. 425 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 novembre 2007 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.
Ritenuto che il Tribunale ordinario di Bolzano, con ordinanza del 20 dicembre 2006, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 (recte: dell’art. 1, comma 6), lettera a), numero 13, della legge 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), e dell’art. 142 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), come sostituito dall’art. 128 del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’art. 1, comma 5, della L. 14 maggio 2005, n. 80), «nella parte in cui, in modo irrazionale, introduce l’istituto dell’esdebitazione e, in subordine, limita l’istituto dell’esdebitazione al soggetto imprenditore fallito e ai fallimenti chiusi dopo l’entrata in vigore della legge»;
che il rimettente premette di sollevare la questione nel corso di procedure volte a decidere sulla domanda di esdebitazione, in base al nuovo art. 142 della legge fallimentare, come sostituito dall’art. 128 del d. lgs. n. 5 del 2006, proposta da alcuni imprenditori, il cui fallimento è stato dichiarato chiuso prima dell’entrata in vigore della norma suddetta;
che il giudice a quo rileva che, nei casi di specie, esisterebbero tutti i requisiti richiesti sia dalla legge delega n. 80 del 2005, sia dall’art. 142 della legge fallimentare, testo vigente, per potere applicare l’istituto della esdebitazione in favore degli attori, «salvo la circostanza che il loro fallimento è stato chiuso prima dell’entrata in vigore della nuova normativa»;
che, osserva ancora il rimettente, l’istituto dell’esdebitazione (ex art. 142 legge fallimentare, testo vigente) modifica, con norma eccezionale e solo per alcuni soggetti, il precedente sistema generale, in quanto – derogando «alla regola generale del nostro diritto civile per cui i debiti vanno pagati fino a che non vengano evangelicamente rimessi oppure fino a che non si prescrivano» – non consente la conservazione, una volta chiuso il fallimento, del diritto dei creditori di cercare di riscuotere i crediti insoluti sui beni futuri del debitore (guadagni, eredità, vincite, donazioni, ecc.);
che – prosegue il giudice a quo – «in linea di principio non vi è nessuna regola costituzionale espressa che osti alla cancellazione dei debiti», ma, proprio per la sua eccezionalità, una norma come quella censurata, che prevede la cancellazione dei debiti, deve essere sorretta da una razionalità assoluta che motivi adeguatamente la sua ragion d’essere, poichè essa viola di per sé il principio di eguaglianza, distinguendo, «dal grande “insieme” dei debitori […]», «un sottoinsieme» degli stessi, che fruisce di un trattamento di evidente miglior favore ed anzi «di privilegio»;
che il Tribunale rimettente, dopo essersi soffermato a comparare l’istituto dell’esdebitazione – così come introdotto dal legislatore italiano – con istituti stranieri analoghi (richiamando, in particolare, il diritto tedesco e francese), evidenzia gli effetti anomali che la difformità di disciplina dell’istituto in questione potrebbe creare in ambito comunitario, in ragione della disciplina regolamentare dell’Unione europea (regolamento CE n. 1346/2000);
che, nell’ordinanza di rimessione, si sottolinea come la norma impugnata potrebbe fare sorgere dubbi di legittimità costituzionale anche sotto il profilo del limite temporale, in quanto essa consente «l’esdebitazione solo per gli imprenditori il cui fallimento si è [chiuso] dopo l’entrata in vigore della legge e purché la domanda sia [stata] proposta entro un anno dalla chiusura», senza stabilire «nulla […] per il passato» e, infine, si sottolinea che «la natura eccezionale della norma [impedirebbe] di procedere ad interpretazione analogica»;
che, pertanto, il Tribunale di Bolzano ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 142 della legge fallimentare, nel testo in vigore dal 16 luglio 2006, in riferimento all’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’irragionevolezza e della disparità di trattamento, perché l’istituto dell’esdebitazione, così come formulato, finirebbe, illogicamente, per privilegiare solo i grossi imprenditori, ignorando i piccoli imprenditori ed i debitori non imprenditori, nonché in quanto, infine, creerebbe disparità di trattamento tra imprenditori secondo che la data di chiusura del loro fallimento sia anteriore o posteriore all’entrata in vigore della legge;
che, quanto alla rilevanza, il giudice a quo afferma che essa troverebbe la sua giustificazione nel fatto che al Collegio è stato chiesto di procedere all’applicazione delle norme censurate «a quattro fattispecie che sicuramente vi rientrano»; ma così facendo il Tribunale si troverebbe «a dover applicare necessariamente una norma che ritiene contraria alla Costituzione»;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la manifesta inammissibilità della questione o, comunque, per la sua infondatezza;
che, in particolare, rileva l’Avvocatura, la questione sarebbe inammissibile sia per difetto di rilevanza, poiché il rimettente non ritiene la norma denunciata applicabile al giudizio a quo; sia perché l’ordinanza di rimessione non «avrebbe un suo significato se interpretata come rivolta alla rimodulazione della norma nel senso di ricomprendervi anche gli imprenditori il cui fallimento si sia concluso prima della sua entrata in vigore»;
che, comunque, la questione sarebbe manifestamente infondata poichè «la qualità di imprenditore evoca situazioni di interesse generale (in termini di produzione, occupazione, etc.) che non si rinvengono nel caso di “ordinari” debitori».
Considerato che il Tribunale ordinario di Bolzano dubita, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, lettera a), numero 13, della legge 14 maggio 2005, n. 80 ( Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), e dell’art. 142 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), come sostituito dall’art. 128 del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’art. 1, comma 5, della L. 14 maggio 2005, n. 80), «nella parte in cui, in modo irrazionale, introduce l’istituto dell’esdebitazione e, in subordine, limita l’istituto dell’esdebitazione al soggetto imprenditore fallito e ai fallimenti chiusi dopo l’entrata in vigore della legge»;
che il rimettente dubita della legittimità costituzionale dell’istituto in questione, qualificato come «una fondamentale ingiustizia giuridica e morale», e, in subordine, censura le norme che lo disciplinano per l’asserita irragionevole disparità di trattamento che le stesse determinerebbero a seconda che i debitori siano o meno assoggettabili al fallimento, e, rispetto ai debitori falliti, in base alla circostanza che la chiusura del loro fallimento sia avvenuta prima o dopo l’entrata in vigore del d. lgs. n. 5 del 2006;
che il rimettente premette di essere chiamato a decidere sulla domanda di esdebitazione presentata da alcuni imprenditori il cui fallimento si è chiuso anteriormente all’entrata in vigore del citato d. lgs. n. 5 del 2006 e che pertanto – come lo stesso espressamente riconosce – alla fattispecie oggetto del giudizio principale non è applicabile, ratione temporis, la normativa censurata, poiché l’istituto dell’esdebitazione è applicabile ai soli fallimenti che si siano chiusi dopo l’entrata in vigore della citata normativa;
che, conseguentemente, come eccepito anche dalla difesa erariale, non risultando dall’ordinanza di rimessione l’applicabilità nel giudizio principale delle norme censurate, la questione, secondo giurisprudenza costituzionale costante, deve essere dichiarata manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza (sentenza n. 249 del 2007; ordinanze n. 49 e n. 43 del 2007);
che, in ogni caso, sempre in ordine alla rilevanza della questione, le argomentazioni addotte dal giudice a quo sono, come risulta dalla precedente esposizione, carenti e contraddittorie;
che, in particolare, appare contraddittorio, per un verso, dubitare della costituzionalità della normativa denunciandone l’irrazionalità e, per altro verso, – seppure in subordine – prospettare una disparità di trattamento relativa all’applicabilità ratione temporis della disciplina censurata che, ove accolta, comporterebbe un ampliamento della platea dei soggetti cui verrebbe applicata la normativa ritenuta incostituzionale, contraddittorietà aggravata dalla circostanza che il Tribunale rimettente ha altresì dichiarato che esso ritiene di sollevare la questione per non essere costretto «a dover applicare necessariamente una norma […] contraria alla Costituzione»;
che, dunque, secondo il consolidato orientamento della Corte, la questione va dichiarata manifestamente inammissibile anche perché prospettata in termini contraddittori (da ultimo, ordinanze n. 357e n. 307 del 2007).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, lettera a), numero 13, della legge 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), e dell’art. 142 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), come sostituito dall’art. 128 del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’art. 1, comma 5, della L. 14 maggio 2005, n. 80), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Bolzano con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 novembre 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 30 novembre 2007.