ORDINANZA N. 43
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 27, commi 1, 3, lettera d), e 4, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza del giudice di pace, a norma dell’art. 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), promosso con ordinanza del 14 marzo 2005 dal Giudice di pace di Roma nel procedimento penale a carico di D.R.G., iscritta al n. 350 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 10 gennaio 2007 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro.
Ritenuto che il Giudice di pace di Roma, con ordinanza del 14 marzo 2005, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, commi 1 e 2, lettera d) (recte: art. 27, commi 1 e 3, lettera d), del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza del giudice di pace, a norma dell’art. 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468); in subordine, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111, primo e secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, comma 1, del decreto legislativo n. 274 del 2000; inoltre, ha proposto questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, comma 4, del decreto legislativo n. 274 del 2000, in riferimento agli artt. 3, 24, 111, primo e terzo comma, della Costituzione;
che il giudice a quo, adito con ricorso immediato della persona offesa a norma dell’art. 21 del d. lgs. n. 274 del 2000, non condivide il parere contrario espresso dal pubblico ministero in ordine alla citazione a giudizio della persona cui il reato è attribuito ed assume, pertanto, di dover emettere il decreto di convocazione delle parti;
che, a suo avviso, l’art. 27, commi 1 e 3, lettera d), del citato decreto legislativo, stabilendo che il giudice, nel caso in cui il pubblico ministero sia rimasto inerte o abbia espresso parere contrario, recepisce nel decreto di convocazione delle parti l’addebito formulato dalla persona offesa, viola l’art. 3 della Costituzione, poiché determina una ingiustificata disparità di trattamento ai danni «dell’indagato che vede vagliata la sua posizione da una parte portatrice di interessi quale è quella ricorrente, rispetto all’imputato nei cui confronti viene emesso atto di citazione a giudizio della polizia giudiziaria dopo che il pubblico ministero, parte estranea a qualsiasi rapporto di natura personale, ha esercitato l’azione penale formulando l’imputazione»;
che, dunque, censura l’art. 27, commi 1 e 3, lettera d), nella parte in cui non stabilisce che l’imputazione da trascrivere nel decreto di convocazione delle parti sia quella «formulata dal pubblico ministero» e non permette al giudice di disporre con ordinanza «che entro dieci giorni il pubblico ministero formuli l’imputazione», in analogia con quanto prescritto dall’art. 17, comma 4, del d. lgs. n. 274 del 2000 per l’ipotesi del mancato accoglimento della richiesta di archiviazione;
che incidentalmente richiama l’orientamento della Corte di cassazione, in base al quale il giudice di pace deve trasmettere gli atti al pubblico ministero che ha espresso il diniego o è rimasto inerte affinché questi proceda nelle forme ordinarie (Cass., sez. IV pen., 5 agosto 2004, n. 33675), limitandosi ad osservare che esso «non risponde alla lettera dell’art. 21 e segg.»;
che, in subordine, il giudice a quo si duole che l’art. 27, comma 1, del d. lgs. n. 274 del 2000 non preveda l’incompatibilità a celebrare il dibattimento del giudice che ha emesso il decreto di convocazione, nonostante lo stesso giudice, recependo l’addebito formulato dalla persona offesa, si trovi a «valutare l’aderenza del fatto narrato con quello da contestare», con lesione delle garanzie di terzietà ed imparzialità dell’organo giurisdizionale e conseguente violazione degli artt. 3 e 111, primo e secondo comma, della Costituzione;
che, inoltre, il rimettente dubita, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111, primo e terzo comma, della Costituzione, della legittimità dell’art. 27, comma 4, del d. lgs. n. 274 del 2000, il quale dispone che il decreto di convocazione delle parti, unitamente al ricorso, è notificato, a cura del ricorrente, al pubblico ministero, alla persona citata in giudizio ed al suo difensore, nonché alle altre persone offese di cui conosca l’identità, almeno venti giorni prima dell’udienza;
che, dopo aver ricordato che per la citazione diretta a giudizio innanzi al tribunale in composizione monocratica «i termini sono di 60 giorni» e per la citazione a giudizio dinanzi al giudice di pace disposta dalla polizia giudiziaria «i termini sono di trenta giorni» (art. 20 del d. lgs. n. 274 del 2000, nel testo vigente anteriormente alle modifiche apportate dall’art. 17 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, recante «Misure urgenti per il contrasto del terrorismo», convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155), il giudice a quo assume che l’esiguità del termine di comparizione fissato dalla disposizione impugnata sia tale da impedire all’imputato l’esercizio del diritto alla prova in tempi congrui e da ostacolare l’accesso a condotte riparatorie;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, commi 1 e 3, lettera d), del d. lgs. n. 274 del 2000 e, comunque, per l’infondatezza di tutte le questioni di costituzionalità sollevate dal Giudice di pace di Roma.
Considerato che il Giudice di pace di Roma dubita, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 27, commi 1 e 3, lettera d), del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza del giudice di pace, a norma dell’art. 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), nella parte in cui non consente al giudice di ordinare la formulazione dell’imputazione al pubblico ministero che sia rimasto inerte o abbia espresso parere contrario alla citazione a giudizio della persona cui è attribuito l’addebito nel ricorso immediato; in via subordinata, censura, in riferimento agli artt. 3 e 111, primo e secondo comma, della Costituzione, l’art. 27, comma 1, del d. lgs. n. 274 del 2000, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità a celebrare il dibattimento del giudice che abbia adottato il decreto di convocazione delle parti nonostante l’inerzia o il parere contrario del pubblico ministero;
che, inoltre, denuncia, in relazione agli artt. 3, 24, 111, primo e terzo comma, della Costituzione, l’art. 27, comma 4, del d. lgs. n. 274 del 2000, nella parte in cui fissa un termine a comparire di soli venti giorni, ritenendo tale termine incongruo ai fini della predisposizione della difesa dell’imputato;
che il giudice a quo fonda le proprie censure sul presupposto che egli, non condividendo l’opposizione del pubblico ministero, debba emettere l’atto di vocatio in iudicium, ivi recependo l’addebito descritto dalla persona offesa nel ricorso immediato;
che il rimettente non tiene nel debito conto, tuttavia, che, come già rilevato da questa Corte (ordinanze n. 381 e n. 361 del 2005), il giudice di legittimità, per il caso indicato, ha prospettato, in via interpretativa, la diversa opzione, compatibile con i parametri costituzionali evocati, della trasmissione degli atti al pubblico ministero affinchè questi possa procedere nelle forme ordinarie (Cass., sez. IV pen., 27 maggio 2004, n. 33675; sez. V pen., 25 ottobre 2005, n. 12; sez. V pen., 17 gennaio 2006, n. 20559);
che, inoltre, non considera che l’art. 17, comma 4, del d. lgs. n. 274 del 2000 gli consente comunque di ordinare la formulazione dell’imputazione al pubblico ministero che, dopo la trasmissione degli atti da parte del giudice, abbia avanzato richiesta di archiviazione;
che, non essendosi il giudice a quo conformato al canone della sperimentazione dell’interpretazione secundum Constitutionem, le questioni aventi ad oggetto l’art. 27, commi 1 e 3, lettera d), del d. lgs. n. 274 del 2000 sono manifestamente inammissibili;
che la ragione dell’inammissibilità delle prime due questioni sollevate dal rimettente comporta altresì l’inammissibilità della terza, per difetto di motivazione in ordine all’applicabilità nel giudizio principale dell’art. 27, comma 4, del d. lgs. n. 274 del 2000 (ordinanza n. 346 del 2006);
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 27, commi 1, 3, lettera d), e 4, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Giudice di pace di Roma con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 febbraio 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 20 febbraio 2007.