Ordinanza n. 76 del 2007

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ORDINANZA N. 76

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Franco                           BILE                                           Presidente

-      Giovanni Maria             FLICK                                          Giudice

-      Francesco                      AMIRANTE                                      "

-      Ugo                               DE SIERVO                                      "

-      Romano                        VACCARELLA                               "

-      Paolo                             MADDALENA                                 "

-      Alfio                             FINOCCHIARO                               "

-      Alfonso                         QUARANTA                                    "

-      Franco                           GALLO                                             "

-      Luigi                             MAZZELLA                                     "

-      Gaetano                        SILVESTRI                                       "

-      Sabino                           CASSESE                                          "

-      Maria Rita                     SAULLE                                           "

-      Giuseppe                       TESAURO                                        "

-      Paolo Maria                   NAPOLITANO                                 "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 2 marzo 2005 dal Tribunale di Alessandria nel procedimento penale a carico di G.D., iscritta al n. 451 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2005.

       Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

       udito nella camera di consiglio del 7 febbraio il Giudice relatore Giuseppe Tesauro.

      Ritenuto che il Tribunale di Alessandria, con ordinanza del 2 marzo 2005, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, 27, secondo comma, 76 e 111, primo e secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità con la funzione di giudizio del giudice che, nella fase preliminare del dibattimento, «ha ritenuto inidonee le attività risarcitorie e riparatorie poste in essere dall’imputato ai fini della dichiarazione di estinzione del reato» di cui all’art. 35 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza del giudice di pace, a norma dell’art. 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468);

che il rimettente premette di essere investito, in virtù della disciplina transitoria di cui al combinato disposto dell’art. 64, comma 2, e dell’art. 63, comma 1, del d. lgs. n. 274 del 2000,  di un procedimento penale a carico di soggetto cui è ascritto un reato di competenza del giudice di pace, nel quale è applicabile l’istituto dell’estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie, introdotto dall’art. 35 dello stesso decreto;

che, prima dell’apertura del dibattimento, egli ha disposto la sospensione del processo per un periodo di tre mesi, a norma dell’art. 35, comma 3, del d. lgs. n. 274 del 2000, onde consentire all’imputato di provvedere alla riparazione del danno cagionato dal reato;

che, in seguito, il giudice a quo, valutata la congruità della somma offerta a titolo di risarcimento del danno alla persona offesa, già costituita parte civile, ha rigettato, con separata ordinanza, l’istanza di proscioglimento ai sensi dell’art. 35 del d. lgs. n. 274 del 2000;

che, secondo il rimettente, la decisione in merito alla rispondenza della condotta riparatoria dell’imputato ai requisiti stabiliti dal richiamato art. 35 si sostanzia inevitabilmente in una valutazione non formale, bensì di contenuto, circa l’idoneità degli atti a fondare un giudizio di responsabilità penale e, quindi, implica l’accertamento in ordine alla correttezza della qualificazione giuridica del fatto in imputazione, nonché all’insussistenza delle condizioni legittimanti il proscioglimento nel merito ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., costituendo, inoltre, anticipazione del convincimento del giudice in ordine alla domanda avanzata dalla parte civile;

che, in tale situazione, l’omessa previsione dell’incompatibilità del giudice si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., a causa della ingiustificata disparità di trattamento rispetto alle fattispecie analoghe ricomprese nell’ambito di applicazione dell’art. 34 cod. proc. pen.; con l’art. 24, secondo comma, 27, secondo comma, e 111, primo e secondo comma, Cost., in quanto sarebbero vulnerati il diritto di difesa dell’imputato, il principio della presunzione di non colpevolezza e la garanzia di un giusto processo «in cui il contraddittorio è rispettato in condizioni di parità tra le parti ed innanzi un giudice terzo ed imparziale»; infine, con l’art. 76 Cost., in relazione alle direttive n. 67 e n. 103 dell’art. 2 della legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale);

che nel presente giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’infondatezza della questione, sul rilievo che, alla stregua del costante insegnamento della Corte, l’incompatibilità si radica solo in conseguenza «di precedenti valutazioni sulla responsabilità penale dell’imputato manifestate dallo stesso giudice in altre fasi del medesimo processo».

Considerato che il Tribunale di Alessandria dubita della legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio il giudice che, prima dell’apertura del dibattimento, si sia pronunciato in ordine all’idoneità della condotta riparatoria dedotta dall’imputato ai fini del proscioglimento per estinzione del reato, ai sensi dell’art. 35 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza del giudice di pace, a norma dell’art. 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468);

che la declaratoria di estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie costituisce modalità di definizione alternativa del procedimento penale davanti al giudice di pace, applicabile, in virtù dell’art. 63, comma 1, del d. lgs. n. 274 del 2000, anche nei casi in cui le fattispecie criminose indicate nell’art. 4, commi 1 e 2, siano giudicate da un giudice diverso dal giudice di pace;

che il proscioglimento per estinzione del reato, in forza dell’art. 35 del citato decreto, presuppone che il giudice, sentite le parti e la persona offesa, accerti – qualora a tal fine, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, non occorra procedere oltre – l’intervenuta riparazione del danno e l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, nonché valuti positivamente l’idoneità delle attività riparatorie e risarcitorie dedotte dall’imputato a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione;

che, ad avviso del rimettente, il provvedimento con cui il giudice, all’esito delle anzidette verifiche, si pronuncia sull’istanza dell’imputato, rigettandola, esprime un giudizio sul fondamento dell’accusa, che condiziona, nella prosecuzione del procedimento, l’esercizio obiettivo della funzione;

che, tuttavia, in base ad un principio più volte ribadito da questa Corte, alcuna menomazione dell’imparzialità del giudice può essere configurata in relazione a valutazioni, anche di merito, compiute all’interno della medesima fase del procedimento (ordinanze n. 123 e 90 del 2004, n. 370 del 2000, n. 232 del 1999, n. 131 e n. 24 del 1996);

che, diversamente, si attribuirebbe all’imputato la potestà di determinare l’incompatibilità del giudice correttamente investito del giudizio, in contrasto con il principio del giudice naturale precostituito per legge, dando luogo, al contempo, ad un’irragionevole frammentazione della serie procedimentale;

che, dunque, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, 27, secondo comma, 76 e 111, primo e secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Alessandria con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giuseppe TESAURO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 9 marzo 2007.