ORDINANZA N. 68 ANNO 2007
Commento alla decisione di
Massimo Perin
(per gentile concessione della rivista telematica Lexitalia.it)
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Franco BILE Presidente
- Francesco AMIRANTE Giudice
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 14 del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti, approvato con r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, promosso, con ordinanza del 4 febbraio 2005, dalla Corte dei conti, terza sezione giurisdizionale centrale, sul ricorso proposto da Ruta Nunzio ed altri contro il Procuratore Regionale presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Molise ed altro, iscritta al n. 273 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21 , prima serie speciale, dell’anno 2005.
Visto l’atto di costituzione di Ruta Nunzio, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 6 febbraio 2007 il Giudice relatore Paolo Maddalena;
udito l’avvocato dello Stato Antonio Palatiello per il presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che la Corte dei conti, terza sezione giurisdizionale centrale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 del regolamento di procedura per i giudizi innanzi la Corte dei conti, approvato con regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038, «nella parte in cui consente al giudice di “ordinare al procuratore generale” (ora anche regionale) anche di (secondo il diritto in atto vivente) “integrare l’atto di citazione con riferimento ad alcuni profili della domanda riguardanti anche l’elemento oggettivo del danno ed il nesso di causalità”»;
che il giudizio a quo ha per oggetto l’impugnazione della sentenza emessa il 12 marzo 2003 dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Molise, con la quale gli attuali appellanti sono stati condannati, in qualità di componenti del Comitato di gestione della USL n. 5 di Campobasso (ed uno di essi quale funzionario dipendente della medesima USL), al risarcimento del danno per il pregiudizio arrecato all’erario «in relazione all’affidamento e alla gestione dei contratti per la manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti e delle opere civili dell’ospedale Cardarelli di Campobasso»;
che, come espone il rimettente, nel corso del giudizio di primo grado, i convenuti avevano eccepito, tra l’altro, «l’inammissibilità dell’atto di citazione per l’assoluta indeterminatezza del petitum e della causa petendi» e il giudice, proprio in riferimento a siffatta eccezione, pur dando atto che «non si ravvisavano, nel caso di specie, i presupposti di cui all’art. 164 c.p.c. in relazione all’art. 163, terzo comma, n. 3 dello stesso c.p.c.», aveva ordinato al procuratore regionale di provvedere «all’integrazione dell’atto di citazione con riferimento ad alcuni profili della domanda riguardanti gli elementi della responsabilità amministrativa contestata agli odierni convenuti, e segnatamente l’elemento oggettivo del danno e il nesso di causalità fra le singole partite di danno e i soggetti al cui comportamento omissivo o commissivo le stesse sarebbero imputabili»;
che, rammenta ancora il giudice a quo, successivamente alla riassunzione del giudizio da parte del procuratore regionale, le parti convenute avevano insistito nell’eccezione di nullità dell’atto di citazione, assumendo che «risultavano ancora del tutto indeterminati l’oggetto della domanda attrice e i comportamenti ascritti agli odierni convenuti con riferimento alle singole voci di danno di cui alla pretesa risarcitoria attorea» e, malgrado ciò, il giudice di primo grado, «ritenuto di poter disattendere le argomentazioni difensive è pervenuto alla condanna (seppur per importi inferiori per aver disconosciuto alcune partite di danno e ridotte altre per parziale prescrizione) di tutti i soggetti convenuti»;
che, evidenzia infine il rimettente, la sentenza emessa dalla sezione giurisdizionale per la Regione Molise era stata, quindi, appellata da tutti i condannati, i quali, tra l’altro, avevano riproposto l’eccezione di nullità e di inammissibilità della citazione introduttiva, deducendo altresì la «violazione dell'art. 111 della Costituzione in relazione all’art. 132 c.p.c.», nonché la «violazione dei principi di cui all’art. 112, 163 e 164 c.p.c.»;
che, tanto premesso, il giudice a quo osserva che l’ordine di integrare l’atto di citazione dato al procuratore regionale troverebbe, come peraltro asserito dallo stesso giudice di primo grado, sostegno nell’art. 14 del r.d. n. 1038 del 1933, il quale «indica i poteri del giudice contabile in quella che può chiamarsi la fase istruttoria» e che «ha trovato, da tempo ormai immemorabile, costante (e quasi incontrastata) applicazione (anche e soprattutto) nel giudizio di responsabilità amministrativa»;
che, tuttavia, il denunciato art. 14 «dopo l’entrata in vigore del nuovo art. 111 della Costituzione e comunque ai sensi dell'art. 24 della stessa Costituzione, potrebbe apparire, almeno sotto l’aspetto che interessa, costituzionalmente illegittimo»;
che difatti, secondo il rimettente, la norma censurata, «demandando al giudice la possibilità di ordinare al procuratore regionale (che è pur sempre una parte di un processo paritetico) di integrare l’atto di citazione (che è pur sempre l’atto che non solo dispone la chiamata in giudizio del soggetto ritenuto responsabile, ma anche, per quel che più conta, delimita ovvero dovrebbe delimitare fin dalla notificazione alla controparte gli essenziali elementi del petitum e della causa petendi)», verrebbe «a collidere tanto con il dettato costituzionale (art. 111) che ha previsto che il processo, definito “giusto”, si svolge “nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale”, quanto con il principio (art. 24) secondo il quale la difesa è un diritto inviolabile “in ogni stato e grado del procedimento”»;
che il contrasto con gli evocati parametri sarebbe «sufficientemente evidente» – argomenta ancora il giudice a quo – «una volta che il soggetto convenuto in giudizio si vede “mutare”, nel corso del giudizio, i presupposti con riferimento ai quali aveva improntato la sua difesa (violazione dell'art. 24 della Costituzione) e, soprattutto si vede mutare detti presupposti su iniziativa del giudice come tale, di sicuro, non terzo ed imparziale (violazione dell'art. 111 della Costituzione)»;
che peraltro, ad avviso del rimettente, non sarebbe possibile «una mera disapplicazione dell’articolo in questione (in quanto non in linea con la costante giurisprudenza al riguardo) ovvero una diversa lettura dello stesso che possa consentire, di per se sola, di far ritenere non necessario l’intervento del Giudice delle leggi»;
che, infine, il giudice a quo evidenzia, in punto di rilevanza, «che l’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 14 del r.d. n. 1033 del 1938 nella parte che consente al giudice di ordinare al procuratore attoreo (come avvenuto in fattispecie) di “integrare l'atto di citazione”, determinerebbe una pronuncia di annullamento della sentenza di condanna»;
che si è costituita una delle parti appellanti nel giudizio a quo, la quale, aderendo alle argomentazioni del rimettente, ha concluso per la declaratoria di illegittimità costituzionale del denunciato art. 14 del r.d. n. 1038 del 1938;
che, ad avviso della parte privata, la norma censurata rappresenterebbe, alla stregua di un orientamento giurisprudenziale consolidato, «una delle massime espressioni del “potere sindacatorio” del giudice contabile», il quale consente «un potere di extra petizione del giudice […] un potere illimitato di acquisizione dei fatti, indipendentemente dalla richiesta della parte del P.M., un potere di determinare il danno subito dalla P.A. secondo equità, un potere di iniziativa processuale ed un potere di sindacare gli atti estranei alla propria giurisdizione»;
che siffatto potere – argomenta conclusivamente la difesa della parte privata – alla luce dei principi posti dall’art. 111 Cost. (parità delle parti; contraddittorio; terzietà e imparzialità del giudice; ragionevole durata del processo), «deve ritenersi oggi non più esercitabile», come del resto sostenuto da recenti pronunce dello stesso giudice contabile;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o manifestamente infondata;
che, quanto all’inammissibilità, essa deriverebbe da un difetto di rilevanza della questione, giacché, incentrandosi i motivi di appello «sulla persistente nullità dell’atto di citazione di primo grado anche dopo l’avvenuta integrazione […] in applicazione del disposto della norma impugnata», si avrebbe che «la conversione dei motivi di nullità in motivi di appello rende il giudice del gravame pienamente legittimato a formulare ex novo il giudizio sulla nullità, senza che venga in rilievo il corretto esercizio dell’attività connessa alla sanatoria del vizio di nullità operata dal giudice di primo grado, evidentemente assorbita dalle censure di nullità della sentenza impugnata»;
che, nel merito, l’infondatezza della questione discenderebbe dal fatto che «i poteri di integrazione di singoli atti processuali ad opera del giudice sono previsti dall’ordinamento processuale anche in altri riti» (civile: artt. 164, secondo comma, e 182 cod. proc. civ.; penale: art. 507 cod. proc. pen.), senza che ciò costituisca pregiudizio per la terzietà dello stesso giudice e che, peraltro, oltre al valore della terzietà, dovrebbe considerarsi anche «l’interesse generale» a che il processo giunga infine, «nelle dovute forme», all’affermazione o negazione del diritto azionato, con la conseguenza che «i poteri officiosi di sanatoria» andrebbero inscritti in detta finalità, anch’essa garantita dall’art. 24 Cost..
Considerato che questa Corte è chiamata a scrutinare l’art. 14 del regolamento di procedura per i giudizi innanzi la Corte dei conti, approvato con regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038, «nella parte in cui consente al giudice di “ordinare al procuratore generale” (ora anche regionale) anche di (secondo il diritto in atto vivente) “integrare l’atto di citazione con riferimento ad alcuni profili della domanda riguardanti anche l’elemento oggettivo del danno ed il nesso di causalità”»;
che, ad avviso della rimettente Corte dei conti, sarebbe violato l’art. 24 Cost. – «secondo il quale la difesa è un diritto inviolabile “in ogni stato e grado del procedimento”» – giacché «il soggetto convenuto in giudizio si vede “mutare”, nel corso del giudizio, i presupposti con riferimento ai quali aveva improntato la sua difesa»;
che, inoltre, sussisterebbe la lesione dell’art. 111 Cost. – «che ha previsto che il processo, definito “giusto”, si svolge “nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale”» – in quanto la medesima parte convenuta «soprattutto si vede mutare detti presupposti su iniziativa del giudice come tale, di sicuro, non terzo ed imparziale»;
che, preliminarmente, va esaminata l’eccezione di inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, sollevata dalla difesa erariale sul presupposto che il rimettente non dovrebbe fare applicazione della norma denunciata, «non essendo rilevante lo scrutinio del corretto uso del potere di integrazione dell’atto introduttivo», ma «la valutazione dell’effettiva persistente nullità dell’atto introduttivo anche dopo l’integrazione»;
che, invero, non risulta implausibile la motivazione che si ricava dall’ordinanza di rimessione circa l’applicazione dell’art. 14 del r.d. n. 1038 del 1933, cui lo stesso giudice a quo sarebbe tenuto: cioè di delibare se la disposta integrazione della domanda introduttiva del giudizio, innestandosi su una citazione ritenuta validamente proposta dal giudice di primo grado, fosse consentita, nei termini in cui si è realizzata, proprio dalla disposizione denunciata, nella portata che il medesimo rimettente le ascrive e che assume contraria a Costituzione;
che la predetta eccezione deve, quindi, essere respinta;
che la questione va, invece, dichiarata manifestamente inammissibile sotto altro profilo, giacché il giudice a quo non sottopone alla Corte un dubbio di costituzionalità, bensì una questione di mera interpretazione, così da utilizzare impropriamente il giudizio di legittimità costituzionale, che non è volto a fornire avalli alle interpretazioni dei giudici comuni, ai quali invece spetta scegliere, tra più interpretazioni possibili, quella conforme a Costituzione (ex plurimis, ordinanze n. 299, n. 114, n. 64 e n. 28 del 2006; n. 420 e n. 306 del 2005);
che, a tal riguardo, occorre anzitutto osservare che il denunciato art. 14, sotto la rubrica «Della istruzione», stabilisce: «La corte può richiedere all’amministrazione e ordinare alle parti di produrre gli atti e i documenti che crede necessari alla decisione della controversia e può ordinare al procuratore generale di disporre accertamenti diretti anche in contraddittorio delle parti. In tale ultimo caso queste sono a cura del procuratore generale avvisate, almeno cinque giorni prima, del luogo, giorno ed ora in cui si eseguiranno gli accertamenti stessi»;
che, pertanto, risulta evidente, dalla lettura di tale articolo, che la norma sottoposta allo scrutinio di questa Corte non discende immediatamente, nella portata ritenuta dal rimettente, dalla formulazione letterale della disposizione in esso contenuta;
che, inoltre, la stessa parte privata – appellante nel giudizio a quo – pur invocando l’incostituzionalità della disposizione, rammenta come nella più recente giurisprudenza della Corte dei conti sul giudizio di responsabilità amministrativa si registrino, quanto all’interpretazione del denunciato art. 14, posizioni differenziate e, addirittura, di segno opposto a quella indicata dal giudice a quo come “diritto vivente”;
che, in effetti, emergono nella giurisprudenza contabile, proprio a seguito della novella dell’art. 111 Cost., orientamenti non univoci in relazione alla portata della norma denunciata, i quali oscillano da posizioni più radicali, che addirittura negano che il cosiddetto potere sindacatorio del giudice contabile possa ancora essere esercitato, a convincimenti che ne restringono il campo di applicazione soltanto alla fase dell’acquisizione probatoria e, ancora, ad interpretazioni che valorizzano il legame del denunciato art. 14 con l’art. 26 dello stesso regolamento di procedura, così da ampliare l’applicazione delle norme del codice di rito civile, tenendo presente la specificità del giudizio di responsabilità amministrativa, che deriva anche dal principio secondo cui, ove il danno all’erario sia causato da più persone, la valutazione delle responsabilità è operata singolarmente e ciascuno risponde «per la parte che vi ha preso» (art. 1, comma 1-quater, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, recante «Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti», come introdotto dall’art. 3 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, recante «Disposizioni urgenti in materia di ordinamento della Corte dei conti», convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 639);
che, dunque, il giudice a quo, «nell’adeguarsi ad un supposto e da lui non condiviso “diritto vivente”, […] non ha preso in considerazione altri orientamenti della giurisprudenza […], così omettendo di esplorare la possibilità di pervenire, in via interpretativa, alla soluzione che egli ritiene conforme a Costituzione» (così la citata ordinanza n. 64 del 2006).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 del regolamento di procedura per i giudizi innanzi la Corte dei conti, approvato con regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038, sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, dalla Corte dei conti, terza sezione giurisdizionale centrale, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Paolo MADDALENA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 9 marzo 2007.