Ordinanza n. 28 del 2006

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ORDINANZA N. 28

 

ANNO 2006

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

-      Annibale                          MARINI                                       Presidente

 

-      Franco                             BILE                                                 Giudice

 

-      Giovanni Maria               FLICK                                                   "

 

-      Francesco                        AMIRANTE                                         "

 

-      Ugo                                 DE SIERVO                                         "

 

-      Romano                           VACCARELLA                                   "

 

-      Paolo                               MADDALENA                                    "

 

-      Alfio                                FINOCCHIARO                                  "

 

-      Alfonso                           QUARANTA                                        "

 

-      Franco                             GALLO                                                 "

 

-      Luigi                                MAZZELLA                                         "

 

-      Gaetano                           SILVESTRI                                          "

 

-      Sabino                             CASSESE                                             "

 

-      Maria Rita                       SAULLE                                               "

 

-      Giuseppe                         TESAURO                                            "

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 23, quinto comma, 24, primo comma, e 17-bis, secondo comma, del regio decreto 22 gennaio 1934 n. 37 (Norme integrative e di attuazione del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, sull’ordinamento della professione di avvocato e di procuratore), come novellato dal decreto-legge 21 maggio 2003, n. 112 (Modifiche urgenti alla disciplina degli esami di abilitazione alla professione forense), convertito, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 2003, n. 180, promossi con due ordinanze del 4 gennaio 2005 dal Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia Romagna sui ricorsi proposti rispettivamente da Alessandra Nannini e da Caterina Jacchia contro il Ministero della Giustizia iscritte ai nn. 241 e 293 del registro ordinanze 2005 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 19 e 23, prima serie speciale, dell’anno 2005.

 

            Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

            udito nella camera di consiglio dell’11 gennaio 2006 il Giudice relatore Luigi Mazzella.

 

   Ritenuto che con due ordinanze emesse in data 4 gennaio 2005, di contenuto sostanzialmente analogo, il Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia-Romagna ha sollevato d’ufficio questione di legittimità costituzionale degli artt. 23, quinto comma, 24, primo comma e 17-bis, secondo comma, del regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37 (Norme integrative e di attuazione del regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, sull'ordinamento della professione di avvocato e di procuratore) come novellato dal decreto-legge 21 maggio 2003, n. 112 (Modifiche urgenti alla disciplina degli esami di abilitazione alla professione forense) convertito, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 2003, n. 180, relativi alla procedura di valutazione delle prove di esame per l’abilitazione alla professione di avvocato;

 

che il rimettente riferisce di essere stato investito della decisione con distinti ricorsi promossi da due candidate alla sessione del dicembre 2003 degli esami di abilitazione alla professione forense presso la Corte d'appello di Bologna, le quali in sede di valutazione delle prove scritte avevano riportato delle votazioni inferiori al complessivo punteggio di 90, venendo conseguentemente escluse dalla prova orale;

 

che ambedue le ricorrenti avevano denunciato la mancanza di motivazione del voto attribuito dalla commissione agli atti giudiziari redatti in materia civile e penale e la conseguente impossibilità di ricostruire l'iter logico seguito nell'attribuzione del punteggio negativo;

 

che secondo il TAR la normativa di riferimento consentirebbe alla commissione di attribuire esclusivamente un punteggio numerico per ciascuna prova scritta;

 

che tale tesi troverebbe conferma sia nella prassi amministrativa espressa dalle circolari del 10 luglio 2000, prot. n. 7/2901300212678/Ue e del 12 luglio 2001, prot. n. 7/19471V 2001 della Direzione generale degli affari civili e delle libere professioni, indirizzate alle commissioni esaminatrici, sia nella consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, il quale, decidendo questa tipologia di controversie con sentenze redatte in forma semplificata ai sensi dell’art. 9 della legge 21 luglio 2000 n. 205 (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa), mostra di ritenere manifestamente infondata ogni censura diretta a contestare la mancata motivazione della commissione esaminatrice nell'attribuzione di un punteggio;

 

che, a giudizio del rimettente, la questione prospettata sarebbe rilevante nel giudizio a quo e non manifestamente infondata in quanto la disciplina in tema di correzione e valutazione degli elaborati scritti degli esami per l’abilitazione alla professione forense, recentemente introdotta dal d.l. del 2003, n. 112, convertito in legge n. 180 del 2003, così come interpretata dal Consiglio di Stato, contrasta con gli articoli 3, 97 e 98 della Costituzione, apparendo irragionevole che la commissione giudicatrice non debba giustificare la concreta applicazione dei criteri che per legge devono essere predeterminati nella valutazione del singolo elaborato, attraverso l'indicazione degli specifici parametri tenuti presenti nell’attribuzione del punteggio;

 

che, secondo il TAR, la predetta normativa sarebbe in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, comportando una disparità di trattamento rispetto alla diversa disciplina dettata per i concorsi pubblici dall’art. 9 del d. P. R. 9 maggio 1994, n. 487 (Regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi) e dall’art. 9, comma 3, del d. P. R. 27 marzo 2001, n. 220 (Regolamento recante disciplina concorsuale del personale non dirigenziale del Servizio sanitario nazionale);

 

che la normativa impugnata contrasterebbe altresì con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, sancito dagli articoli 97 e 98 della Costituzione, in ragione del carattere pubblico della professione forense, considerata come estrinsecazione di un pubblico servizio;

 

che infine la normativa impugnata violerebbe gli artt. 24 e 113 della Costituzione, per la compressione del diritto di difesa del candidato ingiustamente valutato, dato che, come ormai chiarito dalla prevalente giurisprudenza, il sindacato del giudice amministrativo sull’attività della pubblica amministrazione investe anche le manifestazioni di discrezionalità tecnica, quali quelle che si traducono nel giudizio di idoneità espresso da una commissione esaminatrice, del quale deve potersi controllare la ragionevolezza, logicità e coerenza.

 

Considerato che il Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia-Romagna, con due ordinanze di analogo contenuto, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli 23, quinto comma, 24, primo comma, e 17-bis, secondo comma, del regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37 (Norme integrative e di attuazione del regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, sull’ordinamento della professione di avvocato e di procuratore) come novellato dal d.l. 21 maggio 2003, n. 112 (Modifiche urgenti alla disciplina degli esami di abilitazione alla professione forense), convertito, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 2003, n. 180;

 

che i giudizi, aventi ad oggetto la stessa norma, vanno riuniti e decisi con unica pronuncia;

 

che identica questione, sollevata con riferimento all’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), è già stata ritenuta manifestamente inammissibile da questa Corte, con l'ordinanza n. 466 del 2000, in quanto non «diretta a risolvere un dubbio di legittimità costituzionale», ma consistente piuttosto «in un improprio tentativo di ottenere l'avallo di questa Corte a favore di una determinata interpretazione della norma»;

 

che, con ordinanza n. 233 del 2001, questa Corte ha dichiarato manifestamente inammissibile la stessa questione, non avendo il rimettente tratto le conseguenze applicative dell'interpretazione considerata conforme ai parametri costituzionali;

 

che con successiva ordinanza n. 419 del 2005, questa Corte ha ribadito l’inammissibilità di ogni questione attraverso la quale il rimettente tenda ad ottenere l’avallo della Corte ad una certa interpretazione, contestando esplicitamente il presupposto interpretativo posto a base dell’ordinanza di rimessione – analogo a quello oggi in esame, ancorché riferito a diverso testo normativo – ed escludendo che la tesi dell’inesistenza di un obbligo di motivazione per gli esami di abilitazione e in generale per i concorsi costituisca “diritto vivente”;

 

che in tale ultima ordinanza questa Corte ha ricordato che la giurisprudenza amministrativa fornisce un panorama articolato di possibili soluzioni interpretative, non limitandosi alla sola tesi che esclude l’obbligo di motivazione nelle operazioni di giudizio conseguenti a valutazioni tecniche ma estendendosi sino a quella che invece ritiene applicabile il medesimo obbligo anche ai giudizi valutativi ed a quella secondo cui la sufficienza e idoneità del punteggio numerico dev’essere apprezzata caso per caso, in relazione alla possibilità concreta che il concorrente abbia di ricostruire per relationem i criteri seguiti dalla commissione esaminatrice, ad esempio facendo riferimento ai criteri di massima predeterminati dalla stessa o alle glosse apposte sugli elaborati scritti.

 

che, rispetto a tali principi, la scelta dell’odierno rimettente di focalizzare le proprie censure di costituzionalità sulla diversa normativa che disciplina la procedura per l’espletamento dell’esame di abilitazione alla professione forense, anziché sulla norma che impone la motivazione dei provvedimenti amministrativi, non muta i termini della questione di costituzionalità, dato che, sebbene riferita ad un diverso testo normativo, essa può ritenersi sostanzialmente coincidente con quella già decisa da questa Corte con le citate pronunce;

 

che, anche con riguardo alle norme impugnate, deve affermarsi l’insussistenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato che escluda l’obbligo di motivazione o che ritenga il punteggio in ogni caso idoneo a sintetizzarla;

 

che pertanto, anche con riferimento alla diversa normativa impugnata, va confermato il richiamato orientamento di questa Corte;

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi, dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli articoli 23, quinto comma, 24, primo comma, e17-bis, secondo comma, del regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37 (Norme integrative e di attuazione del regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, sull'ordinamento della professione di avvocato e di procuratore), come novellato dal decreto-legge 21 maggio 2003, n. 112 (Modifiche urgenti alla disciplina degli esami di abilitazione alla professione forense), convertito, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 2003, n. 180, sollevata, in relazione agli artt. 3, 24, 97, 98 e 113 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia-Romagna con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 gennaio 2006.

 

Annibale MARINI, Presidente

 

Luigi MAZZELLA, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2006.