ORDINANZA N. 233
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), promossi con ordinanze emesse il 25 maggio, il 9 marzo e il 22 agosto (n. 3 ordinanze) 2000 dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, rispettivamente iscritte ai numeri 709, 749, 750, 751 e 752 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 48 e 50, prima serie speciale, dell'anno 2000.Visto l'atto di costituzione di Michela Giannini, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 4 aprile 2001 il Giudice relatore Franco Bile.
Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, su ricorsi per l’annullamento del verbale della Commissione di esame per l’iscrizione all’albo degli avvocati con cui erano stati determinati i criteri di correzione e per l’annullamento del provvedimento di non ammissione dei ricorrenti a sostenere le prove orali dell’esame di abilitazione alla professione di avvocato, con cinque ordinanze di identico contenuto, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione;
che, secondo il rimettente, l’espressione sintetica costituita dal voto numerico assegnato in sede di valutazione delle prove d’esame, considerata sufficiente dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, non sarebbe idonea ad esprimere le precise ragioni, fra quelle, svariate, che indurrebbero ad una valutazione negativa; né potrebbe essere condivisa l’interpretazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, nel senso che la motivazione sarebbe obbligatoria solo per gli atti provvedimentali, non per quelli valutativi;
che, in definitiva, vengono avanzati dubbi di legittimità costituzionale riguardo all’interpretazione corrente della norma citata, che esclude dall’obbligo di puntuale motivazione i giudizi espressi in sede di valutazione degli esami di abilitazione professionale, per l’incidenza sui principi di difesa in giudizio, di tutela giurisdizionale, di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione;
che, a tal fine, il giudice a quo chiede alla Corte costituzionale una "valutazione chiarificatrice", e "in subordine", ove si ritenga tale interpretazione conforme al dato normativo, chiede la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma, in rapporto ai parametri costituzionali indicati;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che richiamandosi all’ordinanza n. 466 del 2000 di questa Corte, chiede dichiararsi la manifesta inammissibilità della questione;
che una delle parti ricorrenti davanti al Tribunale amministrativo regionale, Michela Giannini, si è costituita adducendo l’ammissibilità della questione sollevata, la rilevanza e la fondatezza nel merito, e confermando, con memoria depositata in prossimità dell’udienza, che il giudice rimettente non prospetta semplicemente un dubbio interpretativo, ma dubita della legittimità costituzionale del diritto vivente, e nel merito, che l’espressione numerica del giudizio, è priva di contenuto logico e di significato giuridico.
Considerato che, concernendo le ordinanze identica questione, i relativi giudizi vanno riuniti;
che questa Corte, con ordinanza n. 466 del 2000, ha già dichiarato la questione manifestamente inammissibile, perché diretta in realtà non a risolvere un dubbio di legittimità costituzionale, ma a ricevere dalla Corte un improprio avallo ad una determinata interpretazione (attività questa rimessa al giudice di merito), tanto più che si è in presenza di indirizzi giurisprudenziali non stabilizzati;
che non si manifestano elementi tali da indurre a diverse conclusioni, anche se si assiste al consolidarsi della giurisprudenza nel senso della sufficienza, alla luce dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, del voto numerico;
che il rimettente vorrebbe estendere l’obbligo di motivazione ai giudizi espressi in sede di valutazione delle prove d’esame per l’iscrizione all’albo degli avvocati, ma non trae le conseguenze applicative dell’interpretazione che egli considera conforme ai parametri costituzionali, deducendo l’esistenza della giurisprudenza del Consiglio di Stato, che segue l’interpretazione da lui non condivisa;
che, viceversa, nulla impedisce al rimettente di adottare l’interpretazione da lui ritenuta corretta alla luce dei parametri costituzionali (v. ordinanza n. 20 del 2001);
che in definitiva, il rimettente sottopone a questa Corte principalmente una questione di interpretazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, e, solo in subordine, una questione concernente il contrasto tra il significato che egli assume dover attribuire alla norma da applicare e i parametri costituzionali evocati;
che la questione deve pertanto essere dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2001.
Cesare RUPERTO, Presidente
Franco BILE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2001.