SENTENZA N. 414 ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 3, e dell’art. 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nel testo risultante a seguito delle modifiche di cui alla legge 30 luglio 2002, n. 189, promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, sui ricorsi proposti da S. D. ed altro contro il Ministero dell’interno ed altro, con ordinanza del 7 giugno 2005 iscritta al n. 488 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell’8 novembre 2006 il Giudice relatore Francesco Amirante.
Ritenuto in fatto
1.— Nel corso di due giudizi, aventi ad oggetto l’annullamento di due provvedimenti del Questore di Mantova con i quali erano stati rifiutati i rinnovi di altrettanti permessi di soggiorno di cittadini extracomunitari, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 4, 16, 27 e 35 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, e dell’art. 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nel testo risultante a seguito delle modifiche di cui alla legge 30 luglio 2002, n. 189.
Premette in fatto il remittente che entrambi i ricorrenti avevano presentato istanza per il rinnovo del permesso di soggiorno e che il Questore di Mantova le aveva respinte, poiché i cittadini extracomunitari erano stati condannati a seguito di patteggiamento, con sentenze passate in giudicato, per reati di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti; tali reati rientrano nelle ipotesi per le quali le norme impugnate non consentono l’ammissione in Italia né il rinnovo del permesso di soggiorno in precedenza concesso.
Aggiunge, altresì, il giudice a quo di aver sollevato già una prima volta, nel corso dei medesimi giudizi, un’analoga questione di legittimità costituzionale, dichiarata manifestamente inammissibile da questa Corte con l’ordinanza n. 9 del 2005.
Dopo aver proceduto alla riunione dei giudizi, aventi ad oggetto la medesima materia, il TAR richiama il contenuto delle norme impugnate, in particolare l’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998, a norma del quale non è ammesso in Italia lo straniero condannato, anche a seguito di patteggiamento della pena, per una serie di reati, fra i quali quelli inerenti gli stupefacenti. Poiché il censurato art. 5, comma 5, dispone che il permesso di soggiorno o il suo rinnovo vengano rifiutati quando mancano o vengono a mancare i requisiti per l’ingresso in Italia, da tanto consegue che, in presenza di una condanna per uno dei reati di cui al citato art. 4, comma 3, «il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno rappresenti un epilogo scontato e perentorio», non essendo consentita all’autorità amministrativa ed a quella giudiziaria alcuna concorrente valutazione in ordine «al rilievo, sul piano della sicurezza pubblica, del singolo episodio ostativo». Da tanto deriva, secondo il giudice a quo, la rilevanza della questione, in quanto l’accoglimento della medesima imporrebbe l’accoglimento dei ricorsi.
Ciò posto per dare conto della rilevanza, il remittente osserva, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, che le due norme appaiono in conflitto con gli evocati parametri, sotto tre differenti aspetti: 1) nella parte in cui rendono elemento ostativo al rinnovo del permesso di soggiorno anche le condanne pronunciate, a seguito di patteggiamento della pena, in epoca precedente l’entrata in vigore della legge n. 189 del 2002, cui si deve la nuova formulazione dell’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998; 2) nella parte in cui introducono un divieto automatico di rinnovo del permesso di soggiorno «per determinati reati anche di lieve o lievissima entità»; 3) nella parte in cui sottraggono all’autorità amministrativa il potere di valutare la pericolosità del cittadino extracomunitario, al fine di tutelare l’ordine pubblico e la sicurezza.
Quanto alla prima doglianza il TAR remittente, richiamandosi alla sentenza n. 394 del 2002 di questa Corte, nota che la legge n. 189 del 2002, introducendo ex novo l’elemento ostativo al rinnovo del permesso di soggiorno costituito dall’esistenza di una sentenza di condanna emessa «anche a seguito di applicazione della pena su richiesta», ha sostanzialmente alterato «la componente negoziale insita nell’istituto del patteggiamento»; in altri termini i due ricorrenti, i quali avevano a suo tempo concordato la pena sulla base di un certo quadro normativo – che non prevedeva alcun divieto di rinnovo del permesso di soggiorno a seguito di un patteggiamento della pena – hanno visto mutata radicalmente la loro posizione, con un effetto gravemente pregiudizievole non prevedibile al momento del patteggiamento (le due sentenze risultano essere divenute irrevocabili in data 20 febbraio 1997 e 28 febbraio 2001, ossia in epoca precedente l’entrata in vigore della legge n. 189 del 2002). L’aspettativa costituzionalmente rilevante sarebbe da identificare, in questo caso, con la legittima permanenza nel territorio italiano, con le conseguenti opportunità in termini di lavoro (art. 4 Cost.) e di esercizio delle altre prerogative di cui agli artt. 13, 16 e 35 della Costituzione.
Sotto altro profilo, il TAR censura le norme in oggetto perché prevedono come ostacolo insuperabile al rinnovo del permesso di soggiorno «un’unica ed isolata condanna per determinati reati, anche di lieve o lievissima entità», senza alcun margine di valutazione della concreta pericolosità sociale del condannato. Siffatta previsione sarebbe in contrasto con l’art. 3 Cost. inteso come principio di ragionevolezza ed adeguatezza, nonché con i diritti fondamentali dello straniero regolarmente soggiornante in Italia. Pur essendo pacifico, infatti, che la disciplina della permanenza degli stranieri è affidata alla discrezionalità del legislatore, cui spetta il bilanciamento di vari interessi fra loro anche in contrasto, è altresì vero che tale discrezionalità incontra il limite della ragionevolezza, come riconosciuto da questa Corte in numerose pronunce (sentenze n. 104 del 1969, n. 144 del 1970 e n. 62 del 1994). Nel caso in esame, trattandosi non di un primo ingresso bensì della possibilità di permanenza in Italia, il sacrificio del diritto dello straniero non può essere ammesso «se non in stretto collegamento con l’esigenza di tutela di altri beni costituzionalmente rilevanti»; sicché solo l’accertamento in concreto della pericolosità potrebbe giustificare l’assunzione di una misura così grave come quella del mancato rinnovo del permesso di soggiorno. L’irragionevolezza della previsione, inoltre, risulterebbe anche dalla parificazione – una volta che sia stato commesso un certo reato – tra straniero socialmente pericoloso e straniero non socialmente pericoloso.
2.— La questione è inammissibile sotto tutti i profili dedotti.