SENTENZA N. 383
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 9 luglio 2003 (doc. IV-quater, n. 50), relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dall’onorevole Silvio Berlusconi nei confronti dei deputati Walter Veltroni e Pietro Folena, promosso con ricorso della Corte d’appello di Roma (I sezione civile), notificato il 6 dicembre 2004, depositato in cancelleria il 10 dicembre 2004 ed iscritto al n. 29 del registro conflitti 2004.
Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;
udito nell’udienza pubblica del 24 ottobre 2006 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;
udito l’avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati.
Ritenuto in fatto1.¾ La Corte d’appello di Roma (I sezione civile) ha promosso, con ricorso del 26 gennaio 2004, conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati, per l’annullamento della deliberazione (doc. IV-quater, n. 50) da quest’ultima adottata «nella seduta dell’8 ottobre del 2003» (recte: del 9 luglio del 2003).
1.1.¾ L’odierna ricorrente premette di essere investita del gravame proposto dall’on. Silvio Berlusconi avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Roma in data 27 febbraio 2001, con la quale l’appellante veniva condannato a risarcire, ai deputati Walter Veltroni e Pietro Folena, i danni (da liquidarsi in separata sede giudiziale) conseguenti ad una condotta diffamatoria, per avere l’on. Berlusconi definito gli stessi deputati (nel corso della trasmissione radiofonica “Radio anch’io” del 30 novembre 1999) «quali “complici” e “in collusione con alcuni magistrati, autori di un disegno teso ad eliminare una parte politica a danno di un’altra”».
Assume, inoltre, la ricorrente che, nelle more del giudizio d’appello, la Camera dei deputati adottava la predetta deliberazione assembleare, con cui stabiliva – «confermando la relativa proposta della Giunta per le autorizzazioni della stessa Camera» – che i fatti contestati al predetto deputato «concernono opinioni espresse da un membro del parlamento nell’esercizio delle sue funzioni» e, pertanto, negava l’autorizzazione a procedere nei confronti dello stesso, «dovendo ricondursi le dichiarazioni in questione al disposto di cui all’art. 68 Cost.».
Lamenta la Corte d’appello di Roma che la deliberazione sopra citata – là dove ritiene che «l’attacco agli on. Veltroni e Folena» non sia «avvenuto “uti singuli”, ma come esponenti di spicco dell’Ulivo, attenendo in ogni caso ad opinioni espresse da un parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni ex art. 68 Cost.» – sarebbe «lesiva delle attribuzioni del potere giudiziario», in quanto le frasi oggetto della controversia civile devoluta al suo esame «non possono ritenersi collegate alla funzione parlamentare, costituendo apprezzamenti personali, con attribuzione di fatti e comportamenti specifici, estremamente gravi e negativi, nonché potenzialmente diffamatori, resi peraltro in una trasmissione radiofonica di notevole diffusione».
Richiama, quindi, la ricorrente i principi enunciati dalla costante giurisprudenza costituzionale – alla stregua dei quali la Corte è tenuta ad accertare «la non arbitrarietà della delibera parlamentare» (sentenza n. 1150 del 1988), verificando «se vi sia stato un uso distorto ed arbitrario del potere parlamentare, tale da vulnerare le attribuzioni degli organi della giurisdizione o da interferire nel loro esercizio» (sentenza n. 443 del 1993, ma nello stesso senso anche sentenza n. 289 del 1998), riconoscendo, pertanto, «che l’immunità copre il membro del Parlamento soltanto se con le dichiarazioni concorre il contesto funzionale» (sentenza n. 11 del 2000) – per concludere che ricorrerebbero, nel caso di specie, le «condizioni tutte (arbitrarietà, illegittima interferenza nelle attribuzioni di organi giurisdizionali e lesioni dei loro poteri; mancanza di collegamento con la funzione parlamentare)», idonee a giustificare l’accoglimento della domanda di annullamento della deliberazione parlamentare.
Su tali basi la Corte d’appello di Roma – non senza richiamare anche la più recente giurisprudenza della Corte europea per i diritti dell’uomo – ha concluso affinché la Corte costituzionale affermi che non spetta alla Camera dei deputati dichiarare l’insindacabilità delle opinioni espresse dal parlamentare in questione «secondo quanto deliberato dalla stessa nella seduta dell’8 ottobre 2003» (recte: del 9 luglio 2003), e quindi «annulli la relativa delibera».
2.¾ Con ordinanza n. 360 del 2004, depositata il 25 novembre 2004, questa Corte ha dichiarato ammissibile il conflitto, riservata, peraltro, ogni decisione definitiva – anche in punto di ammissibilità – all’esito del giudizio.
L’ordinanza di ammissibilità, unitamente all’atto introduttivo del giudizio, è stata notificata in data 6 dicembre 2004. Il conseguente deposito è stato effettuato il successivo 10 dicembre.
3.¾ Si è costituita in giudizio la Camera dei deputati, la quale, con una prima memoria, ha osservato che sussiste il nesso funzionale tra le opinioni manifestate extra moenia, e atti tipici del mandato parlamentare, ciò che dovrebbe comportare la reiezione della richiesta di annullamento della deliberazione contestata, con la quale è stata dichiarata la non sindacabilità di tali opinioni.
3.1.¾ Secondo la resistente, «la sostanza delle affermazioni» rese dall’interessato – e cioè la denuncia di una «commistione tra magistratura e politica», avente lo scopo di «attaccare una specifica parte dello schieramento parlamentare», quello facente capo proprio al dichiarante – evidenzierebbe come le opinioni de quibus abbiano «a fondamento una valutazione eminentemente politica», circostanza ritenuta di «decisiva importanza nel presente giudizio».
Già in precedenti occasioni, difatti, il predetto deputato aveva manifestato, «in sede parlamentare», l’opinione che «l’azione della magistratura (specialmente penale) fosse animata da intenti politici e dalla volontà di colpire talune parti politiche e non altre», sicché già allora poteva ritenersi «presente l’intera sostanza della dichiarazione ora in contestazione».
Ed invero, nell’interpellanza n. 2/00252 del 21 ottobre 1996 e, ancor prima, in quella n. 2/00748 del 14 novembre 1995 (delle quali l’interessato fu, rispettivamente, uno dei cofirmatari ed il primo firmatario), si chiedeva al Governo quali iniziative intendesse assumere, tanto per assicurare che il processo penale non fosse «trasformato surrettiziamente in uno strumento di azione politica nei confronti di parlamentari e di movimenti politici», quanto per evitare «ogni interferenza dell’azione giudiziaria sul libero svolgimento dell’attività politica ed elettorale». In entrambi i casi, dunque, l’interessato «imputava alla magistratura di agire per fini politici a vantaggio di alcuni e detrimento di altri, il che è esattamente quanto egli ha affermato nelle dichiarazioni rese extra moenia».
Né, d’altra parte, prosegue la Camera dei deputati, si potrebbe obiettare che nel caso delle due citate interpellanze non risultano presenti i nomi dell’on. Veltroni e dell’on. Folena.
A confermare, difatti, la sostanziale coincidenza tra il contenuto delle interpellanze e quello delle dichiarazioni per cui è giudizio, dovrebbe bastare il rilievo che nessuno dei due parlamentari risulta evocato uti singulus. Ed invero, il primo, «è stato chiamato in causa quale leader dei Democratici di sinistra» (all’epoca delle dichiarazioni egli ne era, infatti, il segretario), e, dunque, come «principale responsabile delle politiche di quel partito nei settori più importanti e delicati della vita nazionale (tra i quali rientra sicuramente la questione della giustizia)», apparendo, in definitiva, quale «beneficiario ultimo» di quella che il dichiarante definisce «una gestione poco equilibrata della giustizia». Non diversamente, il secondo parlamentare risulta evocato «in quanto responsabile delle questioni della giustizia del partito dei Democratici di sinistra», sicché sarebbe «evidente che la critica a lui rivolta atteneva ai contenuti della strategia di un partito contrapposto a quello» guidato dal dichiarante.
In conclusione, «il riferimento nominativo» ai due deputati «non era altro che il consequenziale e logico sviluppo del più generale giudizio politico formulato in ordine alla ritenuta distorsione dei rapporti tra giustizia e politica», volta, oltretutto, a favorire «proprio la parte politica» al vertice della quale i medesimi si trovavano. Nella medesima prospettiva non irrilevante sarebbe, infine, la circostanza che, in sede di dichiarazioni programmatiche del Governo successivamente presieduto dall’interessato (dichiarazioni rese alla Camera dei deputati il 18 giugno 2001), il medesimo «abbia posto l’accento sull’autonomia della magistratura come fondamentale principio del nostro ordinamento e come obiettivo della futura azione della nuova compagine governativa».
Né ad escludere la ricorrenza dell’ipotizzato nesso funzionale potrebbe attribuirsi rilievo alla «diversità di alcune delle singole parole impiegate (negli atti tipici da una parte e nelle dichiarazioni dall’altra)», giacché ciò equivarrebbe a trasformare la verifica sulla “corrispondenza sostanziale”, tra gli uni e le altre, «in un puntiglioso (e inammissibile) controllo sulla corrispondenza “formale” delle espressioni usate».
3.2.— Assume, ancora, la resistente Camera che, oltre a quelli direttamente riferibili all’interessato, rileverebbero – sempre ai fini della dimostrazione della sussistenza del nesso funzionale – numerosi altri atti tipici di funzione, provenienti da diversi appartenenti al medesimo gruppo parlamentare.
Difatti, attraverso «tale complessa ed articolata attività ispettiva», si denunciava «esattamente quanto rilevato» nelle dichiarazioni qui in contestazione, e cioè che l’attività della magistratura «sarebbe unidirezionalmente rivolta a danneggiare una parte politica (in particolare: Forza Italia) e a favorirne un’altra (in particolare Pci-Pds-DS)».
Ciò premesso, la resistente Camera dei deputati sottolinea di non ignorare la sentenza di questa Corte n. 347 del 2004, nella quale si nega che possano assumere rilevanza – ai fini della verifica del “nesso funzionale” – atti parlamentari posti in essere da membri delle Camere diversi dal dichiarante; ciò nondimeno la resistente reputa tale affermazione «meritevole di revisione», e ciò in quanto la prerogativa prevista dall’art. 68, primo comma, della Costituzione ha la funzione di «tutelare le istituzioni rappresentative (le Camere) e non i loro membri».
Nel caso di specie, poi, gli atti “di funzione” risultano provenire da deputati o senatori appartenenti allo stesso gruppo parlamentare del dichiarante.
3.3.— Infine, la Camera dei deputati sottolinea la necessità di pervenire al rigetto del ricorso attraverso un “recupero” dell’indirizzo espresso dalla giurisprudenza costituzionale con la sentenza n. 417 del 1999.
Si assume che, secondo tale pronuncia, sarebbe sufficiente, ai fini dell’applicazione della garanzia della insindacabilità, la semplice «inerenza delle opinioni all’esercizio delle funzioni parlamentari», evenienza ipotizzabile in presenza di un «complessivo contesto parlamentare» nel quale tali opinioni risultino manifestate.
Del resto, prosegue la Camera dei deputati, anche le sentenze di questa Corte n. 10 e n. 11 del 2000 andrebbero «rettamente interpretate», giacché tali pronunce avrebbero inteso semplicemente escludere che possa essere sufficiente «la ricorrenza di un contesto genericamente politico in cui la dichiarazione si inserisca», ovvero l’esistenza di un collegamento «con l’attività politica intesa in senso lato».
Reputa, pertanto, la resistente che sia necessario distinguere tre diverse evenienze: «opinioni del tutto estranee alla sfera della politica»; «opinioni connesse alla sfera della politica»; «opinioni connesse alla politica parlamentare», le sole non sindacabili ai sensi dell’art. 68 Cost.
3.4.— In prossimità dell’udienza di discussione, la Camera dei deputati ha depositato una seconda memoria, con la quale insiste nelle conclusioni rassegnate.
3.4.1.— Nel rammentare il contenuto delle dichiarazioni oggetto del conflitto, la resistente sottolinea come le stesse si siano risolte, in sostanza, «nell’affermazione che una parte della magistratura avrebbe agito mossa da intenti squisitamente politici», e ciò «in ragione di una “collusione diretta e precisa” con una specifica parte politica».
Tale essendo la sostanza delle opinioni espresse extra moenia, risulterebbe evidente come il riferimento al segretario politico e al responsabile del settore giustizia dei democratici di sinistra altro non sia stato se non «l’individualizzazione-personalizzazione delle critiche rivolte alla parte asseritamente collusa con la magistratura, e cioè i DS», avendo l’interessato semplicemente «fatto ricorso ad una figura retorica, menzionando, in forma di sineddoche, la parte (i due uomini politici), per il tutto».
Ribadisce, inoltre, la Camera, la possibilità di ravvisare – nel caso in esame – l’esistenza del nesso funzionale «che sorregge la necessaria applicabilità delle guarentigie di cui all’art. 68, primo comma, Cost.».
3.4.2.— Per un verso, difatti, si evidenzia come proprio il deputato delle cui opinioni si controverte, «in numerosi atti di funzione» (ulteriori rispetto a quelli già allegati dalla resistente alla propria memoria di costituzione), abbia «manifestato, intra moenia, opinioni che quelle proiettate all’esterno si sono limitate a divulgare».
In particolare, nell’intervento alla seduta della Camera del 17 luglio 1996, egli ebbe a manifestare l’intendimento di sollevare «come grande tema istituzionale la questione del rapporto tra politica e magistratura», sottolineandone «l’incombente drammaticità».
Del pari rilevanti, poi, si paleserebbero gli interventi del 28 gennaio e del 28 luglio 1998, atteso che nel primo l’interessato sostenne l’esistenza di un collegamento privilegiato tra il partito democratico della sinistra e settori della magistratura, censurando in particolare l’avvenuta «distruzione dei partiti di tradizione democratica ed occidentale da parte di alcune procure che hanno però risparmiato il PDS e la sinistra democristiana», e criticando, inoltre, – nel corso del secondo dei menzionati interventi – «l’uso politico della giustizia, l’uso di quest’ultima a fini di lotta politica secondo un disegno non giudiziario ma politico».
Da quanto precede dovrebbe evincersi che già negli specifici atti di funzione ascrivibili al predetto parlamentare possa essere rinvenuta «la sostanza della dichiarazione in contestazione».
3.4.3.¾ Per altro verso, poi, la Camera resistente allega l’esistenza di altri atti parlamentari, seppur riferibili a deputati (o senatori) differenti dall’odierno interessato.
Pur conscia dell’indirizzo di recente espresso dalla giurisprudenza costituzionale, incline ad escludere la rilevanza delle opinioni manifestate intra moenia da altri parlamentari, la resistente reputa che gli argomenti sui quali si fonda tale indirizzo contraddicano «le premesse» stesse degli orientamenti tradizionali espressi dalla Corte «in materia di insindacabilità parlamentare».
Quanto, poi, agli atti di funzione anteriori alle dichiarazioni extra moenia, se è vero che recenti pronunce della Corte mostrano di ritenere che il tempo intercorrente tra i primi e le seconde non dovrebbe essere eccessivamente lungo, è pur vero che la stessa giurisprudenza costituzionale non ha chiarito quale sia il criterio per stabilire, a priori e con certezza, «il massimo spatium temporis ammissibile».
Considerato in diritto1.— La Corte d’appello di Roma (I sezione civile) ha promosso, con ricorso del 26 gennaio 2004, conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati, per l’annullamento della deliberazione (doc. IV-quater, n. 50) da quest’ultima adottata «nella seduta dell’8 ottobre del 2003» (recte: del 9 luglio del 2003).
Assume, in particolare, la ricorrente – sul presupposto di essere chiamata a giudicare, in seconde cure, della domanda di risarcimento danni proposta dagli onorevoli Walter Veltroni e Pietro Folena nei confronti dell’on. Silvio Berlusconi, avendoli il medesimo, a loro dire, indicati, nel corso della trasmissione radiofonica “Radio anch’io” del 30 novembre 1999, «quali complici e in collusione con alcuni magistrati, autori di un disegno teso ad eliminare una parte politica a danno di un’altra» – l’illegittimità della predetta deliberazione. Con la stessa, difatti, l’assemblea parlamentare, qualificando «i fatti oggetto del (…) procedimento», devoluto al suo esame, alla stregua di «opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni», ha ritenuto di dover ricondurre le dichiarazioni in questione al disposto di cui all’art. 68 Cost.
2.— Il ricorso è inammissibile.
2.1.— La Corte d’appello di Roma ha omesso nel suo ricorso per conflitto di riferire compiutamente, soprattutto nella sua oggettività, il contenuto delle dichiarazioni rese extra moenia dal parlamentare interessato, giacché si è limitata – peraltro nella sola premessa «in fatto» dell’atto dal quale trae origine il presente giudizio – a riferire la prospettazione degli appellati, secondo i quali il dichiarante li avrebbe qualificati, nel corso della suindicata trasmissione radiofonica, nel modo innanzi precisato.
Dopo avere specificato, dunque, la pretesa avanzata dagli attori nel giudizio civile e la relativa causa petendi da loro posta a fondamento della domanda risarcitoria, la ricorrente autorità giudiziaria si è astenuta dall’effettuare una analitica ricognizione dell’esatto ed obiettivo contenuto delle dichiarazioni extraparlamentari rese dall’interessato. Nella motivazione in diritto dell’atto di promovimento del conflitto, la Corte d’appello ricorrente si è solo genericamente riferita – senza affatto specificarle come sarebbe stato necessario – alle opinioni manifestate dal parlamentare, alle sue «espressioni ritenute diffamatorie» dagli appellati, alle «frasi pronunciate» dal medesimo, peraltro insistendo sulle loro conseguenze, considerate «estremamente gravi e nocive» per la reputazione degli stessi attori.
Non vi è, quindi, alcun elemento che consenta di stabilire l’effettiva portata delle dichiarazioni de quibus, genericità, questa, cui simmetricamente corrisponde l’evasività della descrizione anche del contenuto della delibera di insindacabilità, adottata dall’assemblea parlamentare il 9 luglio 2003, indicata erroneamente nei suoi stessi estremi identificativi.
La Corte rimettente in sostanza non è andata oltre il rilievo secondo cui, ad avviso della Camera dei deputati, l’attacco agli onorevoli Veltroni e Folena non sarebbe avvenuto uti singuli, «ma come esponenti di spicco dell’Ulivo»; sicché la ricorrente, neppure nell’esporre le ragioni che renderebbero illegittima la deliberazione suddetta, ha provveduto ad individuare con esattezza le dichiarazioni rese dall’interessato nel corso della trasmissione radiofonica del 30 novembre 1999.
2.2.— Ne consegue che – come affermato da questa Corte in una fattispecie analoga (si trattava, allora, di dichiarazioni rese da un parlamentare nel corso di una trasmissione televisiva) – le descritte carenze dell’atto introduttivo del giudizio comportano l’inammissibilità del ricorso per conflitto di attribuzione, dal momento che non consentono di cogliere, in modo esaustivo, l’oggetto del contendere (sentenza n. 79 del 2005).
Ciò in quanto, stante il principio della necessaria autosufficienza che deve caratterizzare l’atto introduttivo del giudizio innanzi a questa Corte, l’assenza nel ricorso di una «compiuta esposizione dei fatti, non solo perché non vengono riportate le frasi pronunciate dal deputato (…) nel corso della trasmissione» – frasi che, in ogni caso, «assumono importanza fondamentale ai fini dell’accertamento dell’eventuale nesso funzionale con atti parlamentari tipici» –, «ma soprattutto perché, in luogo delle parole pronunciate nel corso della trasmissione, vengono espresse valutazioni circa l’incidenza lesiva delle dichiarazioni del deputato» – come, appunto, anche nel caso in esame – si traduce inevitabilmente «a norma degli artt. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, nel difetto del requisito essenziale del ricorso, che deve conseguentemente essere dichiarato inammissibile» (così la citata sentenza n. 79 del 2005).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il ricorso per conflitto tra poteri dello Stato proposto dalla Corte d’appello di Roma nei confronti della Camera dei deputati, con l’atto indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 novembre 2006.
Franco BILE, Presidente
Alfonso QUARANTA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 21 novembre 2006.