ORDINANZA N. 359
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Alfio FINOCCHIARO “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Umbria 25 novembre 2002, n. 23 (Disposizioni in materia di entrata e spesa), e dell’art. 2, comma 22, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), promossi con due ordinanze del 23 novembre 2005 dalla Commissione tributaria regionale dell’Umbria nei giudizi tributari promossi nei confronti della Regione Umbria, rispettivamente, da Franco Bartoccioli e da Gabriella Orlandi, iscritte ai numeri 41 e 42 del registro ordinanze 2006 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno 2006.
Visti gli atti di costituzione della Regione Umbria, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 10 ottobre 2006 il Giudice relatore Franco Gallo;
uditi l’avvocato Fabrizio Figorilli per la Regione Umbria e l’avvocato dello Stato Giancarlo Mandò per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che, nel corso di due giudizi d’appello, promossi da altrettanti contribuenti per l’annullamento degli avvisi con i quali la Regione Umbria aveva accertato il mancato pagamento della tassa automobilistica relativa all’anno 1999, la Commissione tributaria regionale dell’Umbria, con due ordinanze di identico contenuto, depositate il 23 novembre 2005, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale: a) in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 119, secondo comma, della Costituzione, dell’art. 3 della legge della Regione Umbria 25 novembre 2002, n. 23 (Disposizioni in materia di entrata e spesa), nella parte in cui dispone che «il recupero delle tasse automobilistiche dovute per l’anno 1999 alla Regione Umbria viene effettuato […] entro il 31 dicembre 2003»; b) in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dell’art. 2, comma 22, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), nella parte in cui prevede che, «nelle more del completamento dei lavori dell’Alta Commissione di cui all’articolo 3, comma 1, lettera b), della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nelle regioni che hanno emanato disposizioni legislative in tema di tassa automobilistica […] in modo non conforme ai poteri ad esse attribuiti in materia dalla normativa statale, l’applicazione della tassa opera, a decorrere dalla data di entrata in vigore di tali disposizioni legislative e fino al periodo d’imposta decorrente dal 1° gennaio 2007, sulla base di quanto stabilito dalle medesime disposizioni […]»;
che la Commissione rimettente premette che i contribuenti chiedono l’annullamento degli avvisi impugnati, perché notificati il 15 dicembre 2003, cioè oltre il termine triennale – scaduto il 31 dicembre 2002 – di decadenza dal potere di accertamento della tassa automobilistica per l’anno 1999, stabilito dall’art. 5, cinquantunesimo comma, del decreto-legge 30 dicembre 1982, n. 953 (Misure in materia tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1983, n. 53, e perché la proroga di tale termine al 31 dicembre 2003, disposta dal censurato art. 3 della legge regionale n. 23 del 2002, sarebbe “inefficace”, alla luce della intervenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale di analoghe disposizioni legislative di altre Regioni, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.;
che, in ordine alla non manifesta infondatezza delle questioni sollevate, il giudice a quo deduce: a) quanto all’art. 3 della legge regionale n. 23 del 2002, che analoghe disposizioni emanate da altre Regioni sono state dichiarate costituzionalmente illegittime dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 296, n. 297 e n. 311 del 2003, perché la tassa automobilistica, avendo la natura di tributo statale, non può essere modificata da leggi regionali, neanche relativamente ai termini di decadenza dal potere di accertamento; b) quanto all’art. 2, comma 22, della legge statale n. 350 del 2003, che tale disposizione si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., perché, essendo essa stata emanata al dichiarato fine di consentire l’applicazione della tassa in conformità alle disposizioni legislative emanate dalle Regioni in modo non conforme ai poteri ad esse attribuiti in materia dalla normativa statale, determinerebbe «una ingiustificata disparità di trattamento tra soggetti residenti in Regioni che hanno emanato disposizioni in contrasto con i poteri ad esse attribuiti in materia e soggetti residenti in altre Regioni, pure trattandosi […] di tassa statale e non regionale»;
che, in ordine alla rilevanza delle questioni medesime, lo stesso giudice afferma, da un lato, che la decisione dei gravami dipende esclusivamente dalla risoluzione dei prospettati dubbi di illegittimità costituzionale, perché l’eventuale pronuncia di incostituzionalità delle norme censurate comporterebbe l’annullamento degli avvisi di accertamento; dall’altro, che la rilevanza delle questioni concernenti l’art. 3 della legge regionale n. 23 del 2002 permarrebbe anche ove fossero dichiarate non fondate le questioni aventi ad oggetto l’art. 2, comma 22, della legge statale n. 350 del 2003, perché tale disposizione, entrata in vigore dopo la scadenza del predetto termine triennale di decadenza, «non sembra avere efficacia retroattiva, non essendo tale retroattività prevista espressamente e non essendo una conseguenza logicamente necessaria»;
che, in entrambi i giudizi, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per l’inammissibilità o per l’infondatezza delle questioni;
che, in particolare, secondo la difesa erariale: a) la censurata norma di legge regionale, pur essendo viziata da illegittimità costituzionale – per violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 119, secondo comma, Cost., in forza della consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale – è stata “sanata” (o “convalidata”) dal parimenti censurato art. 2, comma 22, della legge statale n. 350 del 2003 (confermato, altresì, dall’art. 1, comma 61, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004»); b) il denunciato effetto discriminatorio dell’art. 2, comma 22, della legge n. 350 del 2003 deriverebbe non già da tale disposizione, bensì da quella regionale di proroga del termine triennale di decadenza dal diritto alla riscossione della tassa automobilistica; c) la temporanea sanatoria di disposizioni regionali eccedenti la competenza legislativa delle Regioni non potrebbe considerarsi frutto di un’irragionevole scelta discriminatoria, perché dette disposizioni mirano «a modulare, in relazione alle esigenze funzionali proprie di ciascuna Regione, il termine per la attività di riscossione della tassa»;
che si è costituita in giudizio la Regione Umbria, la quale ha concluso per l’inammissibilità o per l’infondatezza delle questioni;
che, in prossimità dell’udienza, l’Avvocatura dello Stato – relativamente al solo giudizio iscritto al n. 41 del registro ordinanze del 2006 – e la Regione Umbria – relativamente ad entrambi i giudizi – hanno depositato memorie illustrative con le quali ribadiscono le rispettive conclusioni;
che, in particolare, la difesa erariale precisa che l’inammissibilità delle questioni relative alla denunciata norma regionale deriva dalla carenza e contraddittorietà di motivazione delle ordinanze di rimessione circa gli effetti della “sanatoria” operata dall’art. 2, comma 22, della legge n. 350 del 2003;
che, a sua volta, la difesa della Regione Umbria deduce: a) l’inammissibilità della questione relativa alla censurata norma regionale, in quanto lo scrutinio di costituzionalità di questa deve essere indefettibilmente congiunto con quello della norma statale di “sanatoria” di cui all’art. 2, comma 22, della legge statale n. 350 del 2003; b) l’infondatezza della questione relativa a quest’ultima norma, in quanto, a séguito della delega alle Regioni delle funzioni amministrative concernenti la riscossione della tassa automobilistica, a far data dal 1° gennaio 1999 (in forza dell’art. 17, comma 10, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, recante «Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica»), solo alcune Regioni, fra cui la Regione Umbria, sono state costrette a prorogare il termine di decadenza dal potere di accertamento della tassa concernente l’anno 1999, a causa delle difficoltà insorte in sede di riscossione del tributo, per l’inattendibilità dei dati trasmessi dal Ministero delle finanze, con la conseguenza che le situazioni poste a raffronto dai rimettenti non sono tra loro omogenee.
Considerato che la Commissione tributaria regionale dell’Umbria, con due ordinanze di identico contenuto, emesse in due diversi giudizi principali, solleva il dubbio della legittimità costituzionale: a) dell’art. 3 della legge della Regione Umbria 25 novembre 2002, n. 23 (Disposizioni in materia di entrata e spesa), in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 119, secondo comma, della Costituzione; b) dell’art. 2, comma 22, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), in riferimento all’art. 3 della Costituzione;
che, quanto alle questioni sub a), il giudice a quo afferma che la censurata disposizione regionale, nella parte in cui proroga al «31 dicembre 2003» il termine per «il recupero delle tasse automobilistiche dovute per l’anno 1999 alla Regione Umbria» – termine che sarebbe scaduto il 31 dicembre 2002, in applicazione dell’art. 5, cinquantunesimo comma, del decreto-legge 30 dicembre 1982, n. 953 (Misure in materia tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1983, n. 53 – si pone in contrasto con gli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 119, secondo comma, Cost., perché la disciplina delle tasse automobilistiche rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tributi erariali e, in difetto di specifica attribuzione di potere da parte della legge statale, non può essere modificata dalla legislazione regionale (come affermato dalla Corte costituzionale in numerose pronunce);
che, quanto alle questioni sub b), lo stesso giudice afferma che l’art. 2, comma 22, della legge n. 350 del 2003 – nella parte in cui prevede che nelle Regioni in cui sono state emanate disposizioni legislative in tema di tassa automobilistica «in modo non conforme ai poteri […] attribuiti in materia dalla normativa statale, l’applicazione della tassa opera […] sulla base di quanto stabilito dalle medesime disposizioni […]» – si pone in contrasto con l’art. 3 Cost.;
che, sempre secondo il rimettente, la norma denunciata, comportando la “sanatoria” di norme regionali invalide in tema di tasse automobilistiche, determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento a svantaggio dei contribuenti residenti nelle Regioni nelle quali la “sanatoria” opera – come quelli residenti nella regione Umbria –, in quanto essi sarebbero sottoposti al potere di accertamento della tassa anche oltre il termine triennale previsto dal sopra citato art. 5, cinquantunesimo comma, del decreto-legge n. 953 del 1982;
che, in punto di rilevanza, la Commissione rimettente osserva che la decisione dei giudizi principali dipende esclusivamente dalla risoluzione delle sollevate questioni, perché l’eventuale accoglimento di queste comporterebbe l’annullamento degli impugnati avvisi di accertamento, notificati ai contribuenti oltre il predetto termine triennale, ma prima della scadenza della proroga di un anno disposta dalla denunciata norma regionale;
che i due giudizi di legittimità costituzionale, avendo ad oggetto le medesime questioni, debbono essere riuniti per essere congiuntamente decisi;
che le questioni riguardanti l’art. 2, comma 22, della legge statale n. 350 del 2003 – il cui esame appare logicamente preliminare – sono manifestamente inammissibili, perché il giudice a quo motiva in modo contraddittorio in ordine all’applicabilità di tale disposizione nei giudizi principali;
che, infatti, la Commissione rimettente, affermando che «l’accoglimento o meno dell’appello dipende esclusivamente dall’essere o meno immuni le norme citate da vizi di illegittimità costituzionale», mostra di ritenere che nei giudizi principali deve farsi applicazione di entrambe le norme denunciate, e cioè sia dell’art. 2, comma 22, della legge statale n. 350 del 2003 sia dell’art. 3 della legge regionale n. 23 del 2002, dando così per presupposta l’efficacia retroattiva della norma statale e la sua applicabilità anche agli avvisi di accertamento notificati prima della sua entrata in vigore e dopo la scadenza del termine di decadenza triennale;
che, viceversa, la medesima Commissione nega l’efficacia retroattiva della legge statale, laddove sostiene che questa, «entrata in vigore quando ormai era decorso il termine triennale […], non sembra avere efficacia retroattiva, non essendo tale retroattività prevista espressamente e non essendo una conseguenza logicamente necessaria»;
che, pertanto, il giudice rimettente afferma, contraddittoriamente, sia che la norma statale deve essere applicata nei giudizi a quibus, sia che la decisione di questi non dipende dall’applicazione della norma statale censurata;
che la contraddizione delle ordinanze di rimessione circa l’applicabilità nei giudizi principali della denunciata norma statale si risolve in un vizio di motivazione sulla rilevanza e rende manifestamente inammissibili le questioni;
che alla manifesta inammissibilità delle questioni relative all’art. 2, comma 22, della legge statale n. 350 del 2003 consegue la manifesta inammissibilità, per irrilevanza, di quelle aventi ad oggetto l’art. 3 della legge regionale n. 23 del 2002;
che quest’ultimo, infatti, anche ove non conforme ai poteri attribuiti in materia alle Regioni dalla normativa statale, continuerebbe pur sempre ad applicarsi nei giudizi principali, in quanto compreso fra le disposizioni regionali “fatte salve”, in via di “sanatoria”, dal citato comma 22 dell’art. 2 della legge n. 350 del 2003 (sentenza n. 455 del 2005; ordinanze n. 74 del 2006, n. 476 del 2005 e n. 432 del 2004);
che dalla perdurante applicabilità della censurata disposizione regionale e dalla riscontrata impossibilità di esaminare nel merito le sollevate questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto la norma statale di sanatoria deriva l’irrilevanza delle questioni di legittimità costituzionale relative al citato art. 3 della legge regionale n. 23 del 2002.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 22, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale dell’Umbria, con le ordinanze indicate in epigrafe;
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Umbria 25 novembre 2002, n. 23 (Disposizioni in materia di entrata e spesa), sollevate, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 119, secondo comma, della Costituzione, dalla medesima Commissione tributaria regionale, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 ottobre 2006.
Franco BILE, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 7 novembre 2006.