Sentenza n. 440 del 2005

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SENTENZA N. 440

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

-  Annibale                              MARINI                                      Presidente

-  Franco                                 BILE                                              Giudice

-  Giovanni Maria                   FLICK                                                 "

-   Francesco                           AMIRANTE                                       "

-   Ugo                                    DE SIERVO                                       "

-   Romano                              VACCARELLA                                 "

-   Paolo                                  MADDALENA                                  "

-   Alfio                                   FINOCCHIARO                                "

-  Alfonso                               Quaranta                                      "

-  Franco                                 GALLO                                               "

-  Gaetano                               SILVESTRI                                        "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 404, 405, numeri 3 e 4, 409, 413, ultimo comma, e 418, ultimo comma, del codice civile, promossi con ordinanze del 24 settembre e del 19 novembre 2004 dal Giudice tutelare presso il Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Chioggia, iscritte al n. 1028 del registro ordinanze 2004 e al n. 206 del registro ordinanze 2005 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 2 e 16, prima serie speciale, dell’anno 2005.

Visti gli atti di intervento dell’Associazione nazionale mutilati e invalidi civili (ANMIC) e del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 ottobre 2005 il Giudice relatore Franco Bile.

Ritenuto in fatto

1. – Il Giudice tutelare presso il Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Chioggia, con due ordinanze, rispettivamente del 24 settembre e del 19 novembre 2004, e con analoghe argomentazioni, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale: a) degli artt. 404, 405, numeri 3 e 4, e 409 del codice civile in relazione agli artt. 2, 3, 4, 41, primo comma, e 42 della Costituzione; b) degli artt. 413, ultimo comma, e 418, ultimo comma, del codice civile in relazione agli artt. 2, 3, 4, 41, primo comma, 42 e 101, secondo comma, della Costituzione.

Nella prima ordinanza il giudice rimettente espone che con provvedimento del 26 aprile 2004, adottato nel corso di un procedimento per interdizione instaurato nei confronti di A. F., il Giudice istruttore presso il Tribunale di Venezia, ha trasmesso al Giudice tutelare presso lo stesso Tribunale gli atti per l’apertura del procedimento di cui all’art. 404 cod. civ., previa nomina di un amministratore provvisorio di sostegno con il potere di compiere medio tempore, in nome e per conto del beneficiario, tutti gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione.

Nella seconda citata ordinanza il medesimo giudice rimettente riferisce che, con sentenza n. 1841/04, il Tribunale di Venezia ha revocato lo stato di interdizione in cui versava A. L., disponendo la trasmissione degli atti al giudice tutelare per l’apertura del procedimento di cui all’art. 404 cod. civ., previa nomina di un amministratore provvisorio di sostegno.

2. – Osserva il giudice rimettente, nel porre la prima questione di costituzionalità, che, secondo il dato testuale dell’art. 404 cod. civ., l’amministrazione di sostegno è applicabile anche nel caso di incapacità totale e permanente del beneficiario di provvedere ai propri interessi per infermità o menomazione psichica, secondo una formulazione che di fatto coincide con quella della incapacità di provvedere ai propri interessi indotta da abituale infermità di mente richiesta dall’art. 414 cod. civ. per l’interdizione. Sicché la protezione dell’inabile può essere così estesa da imporre, ove necessario, la presenza dell’amministratore di sostegno, vuoi come rappresentante, vuoi in funzione di integrazione della volontà dell’assistito, in pressoché tutti gli atti. È possibile pertanto che i poteri conferiti all’amministratore di sostegno siano così ampi da impedire al beneficiario di compiere da sé solo (senza l’assistenza o la rappresentanza di quello) validi atti giuridici. In tale caso, gli effetti dell’amministrazione di sostegno coincidono (salvo il compimento degli atti giuridici necessariamente personali) con quelli dell’interdizione, così come modulabili ai sensi dell’art. 427, primo comma, del codice civile.

In definitiva, le disposizioni sopra richiamate danno luogo, in assenza di criteri discriminanti espressi e chiaramente desumibili, a tre fattispecie normative che irragionevolmente coincidono.

Invece la scelta dello strumento di tutela da applicare in favore dell’inabile non può di fatto essere lasciato, in assenza di chiari confini tra le diverse fattispecie, alla discrezionalità dell’organo giurisdizionale, in particolare in una materia potenzialmente lesiva della sfera di libertà e di autodeterminazione dei singoli. Sarebbero altrimenti compromessi – secondo il giudice tutelare rimettente – i valori costituzionali fissati negli artt. 2, 3 e 4 della Costituzione nonché violate ulteriori garanzie del pieno dispiegarsi della personalità nella sfera dei rapporti economici e dei traffici giuridici (art. 41, primo comma, e 42, secondo comma, Cost.).

3. – Osserva poi il giudice tutelare rimettente – quanto alla seconda questione di costituzionalità – che, in base al novellato art. 418, ultimo comma, cod. civ., se il giudice dell’interdizione e dell’inabilitazione ritiene, nel corso del relativo procedimento, che non esistano i presupposti per applicare la relativa misura di protezione, ma gli appare opportuno che sia applicata l’amministrazione di sostegno, dispone la trasmissione del procedimento al giudice tutelare e può nominare medio tempore un amministratore provvisorio di sostegno indicando gli atti che è autorizzato a compiere. Simmetricamente, in base all’ultimo comma del novellato art. 413 cod. civ., il giudice tutelare provvede, anche d’ufficio, alla dichiarazione di cessazione dell’amministrazione di sostegno quando questa, a suo parere, si sia rivelata inidonea a realizzare la piena tutela del beneficiario, e in tale ipotesi, se ritiene che si debba promuovere giudizio di interdizione o di inabilitazione, ne informa il pubblico ministero, affinché vi provveda. In sostanza, il nuovo sistema di protezione è affidato a due distinti organi giudiziari (il giudice dell’interdizione e il giudice tutelare), che sono chiamati a gestire la stessa situazione dell’inabile, ciascuno sulla base della propria valutazione riguardo ai criteri selettivi tra interdizione o amministrazione di sostegno.

Le disposizioni in esame non indicano però quale dei giudici, in caso di divergenza, debba prevalere.

Sicché in definitiva le disposizioni di cui all’art. 413, ultimo comma, e 418, ultimo comma, cod. civ. appaiono irragionevoli in quanto, una volta operata la scelta organizzativa di non concentrare in un unico organo la tutela dell’inabile, non prevedono tuttavia le modalità di risoluzione di eventuali divergenze tra i due giudici; divergenze che possono riguardare sia l’interpretazione da dare degli istituti di protezione suddetti, dei relativi presupposti e dell’ampiezza dei relativi effetti, sia la gravità della deficienza psichica del soggetto incapace.

4. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la Corte voglia dichiarare inammissibili o manifestamente infondate 1e questioni sollevate con le ordinanze in esame.

Secondo l’Avvocatura la prospettazione delle questioni da parte del giudice a quo è frutto di un’inesatta valutazione delle finalità perseguite dalla legge n. 6 del 2004 istitutiva della nuova figura dell’amministrazione di sostegno e di una interpretazione asistematica di tali norme rispetto alla disciplina dell’interdizione e inabilitazione. Tale legge, infatti, intende assicurare un valido sostegno anche a quei soggetti che, pur non presentando una vera e propria infermità mentale, si trovano comunque in una situazione di menomazione fisica o psichica tale da non renderli completamente autosufficienti nello svolgimento di tutte le proprie attività. L’elemento di assoluta distinzione tra l’istituto dell’amministratore di sostegno e quello dell’inabilità ed interdizione è costituito dal fatto che, mentre nel primo caso 1’assistenza riguarda singoli e specifici atti, nel secondo caso, invece, essa si estende ad un generico ambito di attività.

5. – È intervenuta anche l’Associazione nazionale mutilati ed invalidi civili (ANMIC) concludendo per l’infondatezza delle questioni di costituzionalità.

Considerato in diritto

1. – Le due ordinanze del Giudice tutelare presso il Tribunale di Venezia – sezione distaccata di Chioggia – pongono, nei medesimi termini, due questioni di legittimità costituzionale di norme concernenti l’amministrazione di sostegno.

La prima riguarda gli artt. 404, 405, numeri 3 e 4, e 409 del codice civile, nel testo introdotto dalla legge 9 gennaio 2004, n. 6 (Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capo I, relativo all’istituzione dell’amministrazione di sostegno e modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice civile in materia di interdizioni e di inabilitazione, nonché relative norme di attuazione, di coordinamento e finali), sotto il profilo che essi non indicano chiari criteri selettivi per distinguere tale istituto, introdotto dalla legge citata, dai preesistenti istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, e quindi danno luogo a tre fattispecie legali irragionevolmente coincidenti, con duplicazione di istituti “parzialmente fungibili”, e lasciano di fatto all’arbitrio del giudice la scelta dello strumento di “tutela” concretamente applicabile, così violando gli artt. 2, 3 e 4 della Costituzione, che garantiscono la sfera di libertà e autodeterminazione dei singoli, e gli artt. 41, primo comma, e 42 della Costituzione, che garantiscono il pieno dispiegarsi della personalità del disabile nei rapporti economici e nei traffici giuridici.

La seconda riguarda gli artt. 413, ultimo comma, e 418, ultimo comma, cod. civ., nel testo introdotto dalla citata legge n. 6 del 2004, sotto il profilo che essi non prevedono strumenti di composizione delle divergenze eventualmente insorte fra il giudice tutelare (cui sono attribuiti i provvedimenti in tema di amministrazione di sostegno) e il tribunale in composizione collegiale (cui sono attribuiti quelli in tema di interdizione e inabilitazione), così violando gli artt. 2, 3, 4, 41, primo comma, 42 e 101, secondo comma, della Costituzione.

2. – I giudizi, concernendo le stesse norme impugnate con identiche motivazioni, devono essere riuniti.

3. – L’intervento spiegato in questa sede dall’Associazione nazionale mutilati e invalidi civili (ANMIC) è inammissibile, trattandosi di un soggetto non titolare di alcun interesse diretto e qualificato nei giudizi a quibus (cui è rimasto estraneo), in quanto portatore di un mero interesse diffuso della categoria dei disabili.

4. – Il giudice tutelare – secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 464 del 1997, ordinanze n. 293 del 1993, n. 65 del 1991, n. 133 del 1990) – è legittimato a sollevare questioni di legittimità costituzionale.

5. – La prima questione non è fondata, per l’erroneità del presupposto interpretativo da cui le ordinanze muovono quando affermano che l’ambito di operatività dell’amministrazione di sostegno può coincidere con quelli dell’interdizione o dell’inabilitazione.

L’art. 1 della legge n. 6 del 2004 attribuisce all’amministrazione di sostegno «la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente». E l’art. 404 cod. civ., nel testo modificato da tale legge, precisa che «La persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare».

Dal suo canto, l’art. 414 cod. civ., nel testo modificato dalla legge citata, dispone che il maggiore di età e il minore emancipato affetti da abituale infermità di mente, che li renda incapaci di provvedere ai propri interessi, sono interdetti «quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione»; e l’art. 415 cod. civ. prevede l’inabilitazione per una serie di soggetti il cui stato non sia «talmente grave da far luogo all’interdizione».

Pertanto la complessiva disciplina inserita dalla legge n. 6 del 2004 sulle preesistenti norme del codice civile affida al giudice il compito di individuare l’istituto che, da un lato, garantisca all’incapace la tutela più adeguata alla fattispecie e, dall’altro, limiti nella minore misura possibile la sua capacità; e consente, ove la scelta cada sull’amministrazione di sostegno, che l’ambito dei poteri dell’amministratore sia puntualmente correlato alle caratteristiche del caso concreto. Solo se non ravvisi interventi di sostegno idonei ad assicurare all’incapace siffatta protezione, il giudice può ricorrere alle ben più invasive misure dell’inabilitazione o dell’interdizione, che attribuiscono uno status di incapacità, estesa per l’inabilitato agli atti di straordinaria amministrazione e per l’interdetto anche a quelli di amministrazione ordinaria.

D’altronde, secondo il nuovo testo dell’art. 411, comma 4, cod. civ., il giudice tutelare, nel provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno, o successivamente, può disporre che «determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, si estendano al beneficiario dell’amministrazione di sostegno». Ne discende che in nessun caso i poteri dell’amministratore possono coincidere “integralmente” con quelli del tutore o del curatore, come invece le ordinanze mostrano di ritenere.

6. – Neanche la seconda questione è fondata.

E’ ben vero che – poiché il giudice tutelare verifica in piena autonomia la sussistenza dei presupposti dell’amministrazione di sostegno, e altrettanto fa il tribunale per i presupposti dell’interdizione e dell’inabilitazione – può accadere che l’uno decida di non attivare l’amministrazione di sostegno e l’altro di non dichiarare l’interdizione o l’inabilitazione. Ma erroneamente le ordinanze ritengono che nel sistema di cui alle norme impugnate manchino meccanismi processuali di composizione di siffatti eventuali conflitti.

In primo luogo i provvedimenti di entrambi gli organi sono impugnabili innanzi alla corte di appello, rispettivamente con il reclamo contro il decreto del giudice tutelare (art. 720-bis  del codice di procedura civile, aggiunto dall’art. 17 della legge n. 6 del 2004) e con l’appello contro la sentenza del tribunale. Il meccanismo dell’impugnazione costituisce quindi la sede naturale per la soluzione dei paventati contrasti.

In secondo luogo le norme impugnate prevedono specifici strumenti di raccordo tra il procedimento di amministrazione di sostegno e quelli di interdizione o inabilitazione, in forza dei quali – ove tra giudice tutelare e tribunale sorgano conflitti sulla maggiore idoneità dell’uno o dell’altro istituto ai fini della più adeguata protezione dell’incapace – questi non rimane comunque privo di tutela.

In particolare, l’art. 413, comma 4, cod. civ. dispone che il giudice tutelare – se, nel dichiarare la cessazione dell’amministrazione di sostegno rivelatasi inidonea a realizzare la piena tutela del beneficiario, ritenga debba invece promuoversi giudizio di interdizione o inabilitazione – «ne informa il pubblico ministero, affinché vi provveda»; in tal caso l’amministrazione di sostegno cessa con la nomina del tutore o curatore provvisorio o con la dichiarazione di interdizione o inabilitazione.

E l’art. 418, comma 3, cod. civ. prevede a sua volta che il tribunale – se nel corso del giudizio di interdizione o inabilitazione ravvisi l’opportunità di applicare l’amministrazione di sostegno – dispone la “trasmissione del procedimento” al giudice tutelare, adottando se del caso i provvedimenti urgenti di cui al quarto comma dell’art. 405, fra i quali rientra la nomina dell’amministratore di sostegno provvisorio. Il tribunale quindi non si limita ad investire il giudice tutelare perché provveda all’apertura del procedimento di amministrazione di sostegno, ma lo apre direttamente esso stesso, sulla base di una valutazione di iniziale idoneità della misura, eventualmente accompagnata dalla nomina dell’amministratore provvisorio. Pertanto il giudice tutelare cui il procedimento sia stato trasmesso, ove consideri che l’amministrazione di sostegno si sia rivelata inidonea a realizzare la piena tutela del beneficiario, ben può applicare il citato quarto comma dell’art. 413 e dichiararla cessata. E se – come in uno dei casi in esame – ritenga si debba ricorrere invece all’interdizione (o inabilitazione), non deve fare altro che informare il pubblico ministero.

Nella stessa prospettiva si muove anche l’art. 429, comma 3, cod. civ. secondo il quale, se nel giudizio per la revoca dell'interdizione o dell'inabilitazione appare opportuno che, dopo la revoca, il soggetto sia assistito dall'amministratore di sostegno, il tribunale dispone la trasmissione degli atti al giudice tutelare.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

         riuniti i giudizi,

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 404, 405, numeri 3 e 4, e 409 del codice civile, nel testo introdotto dalla legge 9 gennaio 2004, n. 6 (Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capo I, relativo all’istituzione dell’amministrazione di sostegno e modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice civile in materia di interdizioni e di inabilitazione, nonché relative norme di attuazione, di coordinamento e finali) – in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 41, primo comma, e 42 della Costituzione – e degli artt. 413, ultimo comma, e 418, ultimo comma, del codice civile, nel testo introdotto dalla citata legge n. 6 del 2004 – in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 41, primo comma, 42 e 101, secondo comma, della Costituzione – proposte dal Giudice tutelare presso il Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Chioggia, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 novembre 2005.

Annibale MARINI, Presidente

Franco BILE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 9 dicembre 2005.