ORDINANZA N. 257
ANNO 2005REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
- Guido NEPPI MODONA Giudice
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnel giudizio di legittimità costituzionale del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), promosso con ordinanza del 10 giugno 2004 dal Giudice di pace di Vignola, nel procedimento civile vertente tra Di Rito Roberto contro il Prefetto di Modena, iscritta al n. 937 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2004.
Udito nella camera di consiglio del 4 maggio 2005 il Giudice relatore Paolo Maddalena.
Ritenuto che, con ordinanza del 10 giugno 2004, il Giudice di pace di Vignola ha sollevato, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione e in relazione all’art. 2, comma 1, lettera mm), della legge 22 marzo 2001, n. 85 (Delega al Governo per la revisione del nuovo codice della strada), questione di legittimità costituzionale del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), “nella parte in cui ha omesso di prevedere che, nel caso di guida senza patente la cui validità sia scaduta, alla violazione consegua la sola sanzione amministrativa della pena pecuniaria, nonché la sanzione accessoria del ritiro della patente di guida, disponendo la contestuale abrogazione del secondo e del terzo periodo del comma 7 dell’articolo 126 del nuovo codice della strada, introdotti dal comma 3 dell’articolo 19 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507”, con ciò avendo lasciato “sopravvivere la sanzione amministrativa del fermo amministrativo per la durata di due mesi”;
che il remittente espone, in punto di fatto, di essere stato adito dal proprietario di un’autovettura per l’annullamento della sanzione accessoria del fermo del veicolo disposta dall’autorità di pubblica sicurezza per guida con patente scaduta di validità, in ossequio all’art. 126, comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada); sanzione accessoria della quale, con il decreto di fissazione dell’udienza, ha disposto la sospensione, con contestuale restituzione del veicolo al ricorrente;
che il giudice a quo rammenta di aver già sollevato nel medesimo giudizio, con ordinanza emessa in data 20 maggio 2003, questione di costituzionalità del menzionato art. 126, comma 7, del nuovo codice della strada, assumendone il contrasto con gli artt. 76 e 77 Cost. in riferimento a quanto disposto dalla delega n. 85 del 2001, alla quale non si era conformato il legislatore delegato con il d.lgs. n. 9 del 2002, non avendo provveduto ad abrogare la disposizione sulla sanzione accessoria del fermo del veicolo, di cui appunto al citato comma 7 dell’art. 126;
che in quell’occasione – precisa ancora il remittente – la questione era stata proposta proprio alla luce dei principi affermati nella sentenza n. 265 del 1974 di questa Corte, che aveva esaminato il “caso analogo” della “permanenza nell’ordinamento di norma che, in contrasto con l’espressa volontà del legislatore delegante, non era stata modificata dal legislatore delegato”;
che, tuttavia, si osserva nell’ordinanza di remissione, la questione allora sollevata è stata dichiarata manifestamente inammissibile con l’ordinanza n. 159 del 2004 di questa Corte, per aver il remittente errato “nella individuazione della norma da censurare, in quanto egli avrebbe dovuto impugnare, per contrasto con gli artt. 76 e 77 della Costituzione, non l’art. 126, comma 7, del d.lgs. n. 285 del 1992, rimasto inalterato, ma il d.lgs. n. 9 del 2002, nella parte in cui non avrebbe previsto la soppressione della sanzione accessoria del fermo amministrativo”;
che, pertanto, aderendo all’orientamento espresso dalla ricordata ordinanza, il giudice a quo solleva, nei termini già evidenziati, la questione di costituzionalità del d.lgs. n. 9 del 2002;
che, infine, il remittente sostiene che nel giudizio principale non potrebbe comunque trovare applicazione, “in quanto successiva al fatto”, l’abrogazione della disposizione di cui al comma 7 del citato art. 126, relativa al fermo amministrativo del veicolo, disposta dall’art. 2 del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 214; donde, la rilevanza della questione medesima, giacché, se fondata, comporterebbe “l’abrogazione della disposizione sanzionatoria applicata al caso di specie”.
Considerato che il Giudice di pace di Vignola dubita della legittimità costituzionale del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), “nella parte in cui ha omesso di prevedere che, nel caso di guida senza patente la cui validità sia scaduta, alla violazione consegua la sola sanzione amministrativa della pena pecuniaria, nonché la sanzione accessoria del ritiro della patente di guida, disponendo la contestuale abrogazione del secondo e del terzo periodo del comma 7 dell’articolo 126 del nuovo codice della strada, introdotti dal comma 3 dell’articolo 19 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507”;
che, ad avviso del remittente, vi sarebbe un vulnus agli artt. 76 e 77 della Costituzione, per contrasto con l’art. 2, comma 1, lettera mm), della legge 22 marzo 2001, n. 85 (Delega al Governo per la revisione del nuovo codice della strada), il quale, appunto, prevedeva l’abrogazione della disposizione di cui all’art. 126, comma 7, del codice della strada, là dove contemplava la sanzione accessoria del fermo del veicolo per la fattispecie di guida con patente scaduta di validità;
che, preliminarmente, non sussistono impedimenti di rito ad una delibazione nel merito della questione proposta;
che, difatti, il giudice a quo, impugnando il decreto legislativo n. 9 del 2002, ha emendato il vizio processuale rilevato da questa Corte con l’ordinanza n. 159 del 2004, vizio che aveva allora comportato, proprio per l’errata individuazione della norma da sottoporre a scrutinio, la declaratoria di manifesta inammissibilità di analoga questione sollevata nel medesimo giudizio principale avverso l’art. 126, comma 7, del codice della strada;
che, inoltre, l’ordinanza fornisce una plausibile motivazione in ordine alla rilevanza della questione e, segnatamente, circa l’inapplicabilità al giudizio a quo dello jus superveniens costituito dall’art. 2 del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 214 – il quale ha eliminato la sanzione accessoria del fermo del veicolo di cui al comma 7 del citato art. 126 – sostenendosi, al riguardo, che l’intervenuta abrogazione è successiva al fatto oggetto di cognizione nel giudizio dinanzi al remittente;
che l’assunto del giudice a quo è in linea con l’interpretazione, confermata anche da questa Corte (da ultimo, si veda la già citata ordinanza n. 159 del 2004), per cui, ai sensi dell’art. 1 della legge 24 aprile 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), in materia di illeciti amministrativi, la condotta sanzionata resta assoggettata alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole;
che, quanto al merito della questione, va osservato che il remittente invoca a sostegno della propria prospettazione il precedente rappresentato dalla sentenza n. 265 del 1974 di questa Corte, sostenendo che la stessa avrebbe risolto un “caso analogo” a quello attualmente oggetto di scrutinio e cioè il caso della “permanenza nell’ordinamento di norma che, in contrasto con l’espressa volontà del legislatore delegante, non era stata modificata dal legislatore delegato”;
che la sentenza richiamata dal giudice a quo, nel dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 28 della legge 31 dicembre 1962, n. 1860, in tema di presupposti e sanzioni per il caso di omessa osservanza dell’obbligo di denunzia di materiale radioattivo, ebbe ad affermare, in considerazione del fatto che la legge di delegazione 13 luglio 1965, n. 871 individuava pene più lievi e che la legge delegata (art. 1 del d.P.R. 30 dicembre 1965, n. 1704) aveva omesso di disciplinare lo specifico punto, che sussisteva un contrasto con l’espressa statuizione della legge delegante, essendosi determinata una “distorsione nel rapporto di delegazione”;
che, tuttavia, con la successiva sentenza n. 218 del 1987, questa Corte, nell’esaminare questione analoga a quella decisa dalla sentenza n. 265 del 1974, escluse che potessero invocarsi a parametro gli artt. 76 e 77 Cost. al fine di proporre questione di legittimità costituzionale di una norma contenuta in un atto estraneo ai rapporti fra legge delegante e decreto legislativo delegato (principio già espresso dalla sentenza n. 178 del 1986 e, da ultimo, ribadito con l’ordinanza n. 294 del 2004), precisando che la sentenza n. 265 del 1974 costituiva un precedente “superato, alla luce della più recente giurisprudenza”;
che, invero, l’orientamento consolidato di questa Corte in punto di esercizio incompleto della delega è nel senso che tale evenienza non comporta di per sé la violazione degli articoli 76 e 77 della Costituzione (da ultimo sentenza n. 149 del 2005; in precedenza si vedano sentenze n. 8 del 1977 e n. 41 del 1975, nonché la già citata sentenza n. 218 del 1987), salvo che ciò non determini uno stravolgimento della legge di delegazione;
che, nel caso all’esame, non è riscontrabile alcun stravolgimento della legge delega n. 85 del 2001, giacché l’art. 2, comma 1, lettera mm), della medesima legge – che stabilisce, appunto, l’abrogazione del secondo e terzo periodo del comma 7 dell’art. 126 del codice della strada, e cioè della sanzione accessoria del fermo amministrativo del veicolo in conseguenza della violazione di guida con patente la cui validità sia scaduta – è previsione che, collocandosi nel più ampio contesto di numerosi criteri direttivi che presiedono alla disciplina di vari e diversi aspetti della materia della circolazione stradale, si riferisce soltanto ad una puntuale e specifica ipotesi attinente al sistema sanzionatorio, sicché la sua omessa attuazione da parte del d.lgs. n. 9 del 2002 non è suscettibile di pregiudicare i principi ed i fini della legge di delegazione stessa;
che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), sollevata, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, dal Giudice di pace di Vignola con l’ordinanza in epigrafe indicata.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2005.
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Paolo MADDALENA, Redattore
Depositata in Cancelleria l'1 luglio 2005.