ORDINANZA N. 216
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
- Guido NEPPI MODONA Giudice
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 14-bis, del decreto-legge 19 dicembre 1984, n. 853 (Disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto e di imposte sul reddito e disposizioni relative all’Amministrazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 17 febbraio 1985, n. 17, promosso con ordinanza del 16 settembre 2003 dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia – sezione staccata di Catania, sul ricorso proposto da Mario Antonio Arena ed altri contro il Ministero delle finanze, iscritta al n. 1041 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visti l’atto di costituzione di Mario Antonio Arena ed altri, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 19 aprile 2005 il Giudice relatore Paolo Maddalena;
uditi l’avvocato Arturo Merlo per Mario Antonio Arena e l’avvocato dello Stato Aldo Linguiti per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che, con ordinanza del 16 settembre 2003, il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia – sezione staccata di Catania, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 36, 51 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 14-bis, del decreto-legge 19 dicembre 1984, n. 853 (Disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto e di imposte sul reddito e disposizioni relative all’Amministrazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 17 febbraio 1985, n. 17;
che l’art. 4, comma 14-bis, estende i benefici giuridici ed economici previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 1° giugno 1972, n. 319 (Riordinamento delle ex carriere speciali), al personale di concetto delle soppresse carriere ordinarie (tecniche e amministrative) che abbia sostenuto concorsi di accesso alle carriere con almeno tre prove scritte nelle materie professionali e di istituto ed abbia svolto mansioni analoghe a quelle degli impiegati delle ex carriere speciali;
che il remittente lamenta la violazione degli indicati parametri costituzionali, in quanto la norma censurata, nell’estendere i suddetti benefici giuridici ed economici al personale di concetto delle soppresse carriere ordinarie (tecniche ed amministrative) solo in presenza delle ricordate condizioni di accesso, non ha incluso tra le categorie beneficiarie il restante personale della carriera di concetto (capi tecnici e geometri);
che, in punto di fatto, il Tribunale amministrativo espone di dovere decidere il ricorso proposto da alcuni impiegati dell’Ufficio tecnico erariale (UTE) di Messina, inquadrati nella settima qualifica funzionale, con il profilo professionale di “capi tecnici”, avverso la nota prot. n. 1827 del 19 febbraio 1992 del Ministero delle finanze-Divisione personale I, sezione I, con la quale il Ministero ha comunicato al dirigente dell’UTE che la diversità di trattamento, soprattutto economica, venutasi a creare a seguito dell’applicazione della normativa introdotta con l’art. 4, comma 14-bis, del decreto-legge n. 853 del 1984, convertito, con modificazioni, nella legge n. 17 del 1985, tra il personale in possesso dei requisiti richiesti dalla suddetta legge, inquadrato, ai sensi del d.P.R. n. 319 del 1972, nella ottava qualifica funzionale, e coloro che, come i ricorrenti, sono stati esclusi e sono rimasti nella settima qualifica, è di esclusiva pertinenza del legislatore, senza che l’amministrazione possa assumere alcuna determinazione discrezionale al riguardo;
che, in punto di rilevanza, il remittente richiama, anzitutto, la giurisprudenza di questa Corte, per la quale la dedotta incostituzionalità di una norma di legge può costituire l’unico motivo su cui può validamente fondarsi la proposizione di un ricorso giurisdizionale;
che il Tribunale amministrativo sostiene, poi, che dall’accoglimento della questione proposta ed, in particolare, dall’estensione dei benefici giuridici ed economici previsti dal d.P.R. n. 319 del 1972 a tutto il personale della carriera di concetto delle soppresse carriere ordinarie, discenderebbe l’accoglimento del ricorso avanti a sé proposto;
che il giudice a quo ritiene che la questione non sia manifestamente infondata, in quanto la norma impugnata determinerebbe una posizione giuridico-economica deteriore per i “capi tecnici” e i geometri, rispetto a quella di altri colleghi che occupano lo stesso posto in organico ed esercitano le medesime funzioni;
che questo irragionevole diverso trattamento di situazioni identiche discenderebbe, secondo il remittente, da una circostanza affatto casuale, in quanto il numero delle prove scritte del concorso di accesso è stato fissato in modo diverso secondo i vari periodi storici, “mentre l’idoneità conseguita tende sempre ad accertare una professionalità” di analoga valenza;
che sul piano giuridico-economico il trattamento deteriore dei ricorrenti nel giudizio a quo, continua il remittente, consisterebbe nella impossibilità per gli stessi di esercitare il diritto, previsto dal d.P.R. n. 319 del 1972, di opzione a transitare nella carriera amministrativa e, conseguentemente, di conseguire la ottava qualifica funzionale (non prevista in quella tecnica) e gli ulteriori benefici economici collegati allo sviluppo nella nuova carriera;
che la circostanza che a qualifiche e mansioni identiche venga riservato un trattamento economico e giuridico differente violerebbe gli articoli 3, 36 e 51 della Costituzione e, più complessivamente, il generale principio di ragionevolezza;
che la norma censurata, nel determinare il ricordato diverso trattamento di situazioni identiche, violerebbe anche, sempre secondo il remittente, l’art. 97 della Costituzione ed, in particolare, i criteri di logica e di coerenza “nell’organizzazione amministrativa”;
che il remittente sostiene, al riguardo, che “i presupposti di buon andamento della P.A. si identifichino non soltanto con la emanazione di adeguati strumenti legislativi e regolamentari, e con la scrupolosa osservanza degli stessi, ma anche con l’attribuzione al personale della legittima posizione giuridico-retributiva, atteso che, come è naturale, la violazione, al riguardo, dei necessari canoni di giustizia distributiva si traduce, in capo ai dipendenti interessati, in uno stato di insufficiente serenità, che non può non ripercuotersi sul lavoro dei relativi Uffici, creando un clima di tensione e di incertezza”;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio, chiedendo che sia dichiarata l’infondatezza della questione proposta;
che la difesa erariale sostiene che la norma censurata sia ragionevole, in quanto la diversità di prova di accesso giustificherebbe il differente trattamento giuridico ed economico tra i ricorrenti, che non hanno sostenuto le tre prove concorsuali previste dall’art. 4, comma 14-bis, del decreto-legge n. 853 del 1984, convertito, con modificazioni, nella legge n. 17 del 1985, e gli altri dipendenti, che tali tre prove hanno invece sostenuto e superato;
che sono intervenuti anche i ricorrenti nel giudizio a quo, i quali hanno sviluppato argomentazioni sostanzialmente coincidenti con quelle dell’ordinanza di remissione ed hanno chiesto l’accoglimento della questione;
che con successiva memoria il Presidente del Consiglio dei ministri ha sviluppato le argomentazioni dell’atto di intervento;
che l’Avvocatura rileva che il remittente ha richiesto un intervento manipolativo-estensivo della norma censurata e sostiene l’inammissibilità di una tale pronuncia, in ragione della natura eccezionale e del carattere di beneficio della norma in questione;
che l’art. 4, comma 14-bis, del decreto-legge n. 853 del 1984, in effetti, estende la disciplina contenuta nel d.P.R. n. 319 del 1972 (e, pertanto, la assimilabilità alle carriere direttive delle carriere speciali di concetto) al personale di concetto delle soppresse carriere ordinarie dell’amministrazione finanziaria, in possesso di certi requisiti;
che, secondo l’Avvocatura, la norma censurata avrebbe natura eccezionale, in quanto solo per le ex carriere speciali (che non conoscevano al loro interno, per i gradi inferiori, distinzioni tra carriere direttive e carriere di concetto) sussisterebbero ragioni per la assimilazione tra carriere di concetto e carriere direttiva, mentre, in ogni altra ipotesi, e pertanto anche in relazione ai dipendenti delle ex carriere ordinarie della amministrazione finanziaria, tale assimilazione si risolverebbe in un mero beneficio;
che a sostegno di tale interpretazione la difesa erariale richiama le sentenze n. 190 del 1992 e n. 479 del 1993 di questa Corte, le quali hanno escluso la possibile estensione, mediante sentenza additivo-manipolativa, della disciplina in questione a personale diverso da quello espressamente previsto dal decreto-legge n. 853 del 1984;
che la difesa erariale ribadisce, per il resto, la ragionevolezza della norma, che fonda il differente trattamento economico e giuridico sul maggiore rigore del concorso di accesso con tre prove scritte.
Considerato che viene nuovamente all’esame di questa Corte la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 14-bis, del decreto-legge 19 dicembre 1984, n. 853 (Disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto e di imposte sul reddito e disposizioni relative all’Amministrazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 17 febbraio 1985, n. 17;
che il suddetto art. 4, comma 14-bis, estende i benefici normativi ed economici previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 1° giugno 1972, n. 319 (Riordinamento delle ex carriere speciali), al personale di concetto delle soppresse carriere ordinarie (tecniche e amministrative) che abbia sostenuto concorsi di accesso alle carriere con almeno tre prove scritte nelle materie professionali e di istituto ed abbia svolto mansioni analoghe a quelle degli impiegati delle ex carriere speciali;
che il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, lamenta la violazione degli articoli 3, 36, 51 e 97 della Costituzione, in quanto la norma censurata, nell’estendere i suddetti benefici giuridici ed economici al personale di concetto delle soppresse carriere ordinarie (tecniche ed amministrative) solo in presenza delle ricordate condizioni di accesso, non ha incluso tra le categorie beneficiarie l’intero personale della carriera di concetto (capi tecnici e geometri);
che, in particolare, il remittente lamenta la violazione degli articoli 3, 36 e 51 della Costituzione, in quanto ad identiche qualifiche e mansioni nell’ambito della stessa pubblica amministrazione verrebbe riservato un trattamento economico e giuridico differente secondo il numero delle prove concorsuali sostenute al momento dell’accesso, e dell’art. 97 della Costituzione, in quanto nell’attribuire a personale di identica qualifica e mansione una posizione giuridica retributiva differente si determinerebbe una situazione illogica ed incoerente, che si tradurrebbe in uno stato di insufficiente serenità dei dipendenti interessati e creerebbe un clima di tensione ed incertezza;
che, come questa Corte ha già chiarito (sentenze n. 190 del 1992 e n. 479 del 1993 ed ordinanze n. 316 del 1991 e n. 484 del 1994), “la norma censurata ha un carattere del tutto derogatorio rispetto al sistema, né è in alcun modo riconducibile alla disciplina delle ex carriere speciali e della loro soppressione, fondandosi piuttosto su un apprezzamento discrezionale del legislatore, che ha inteso estendere ad alcune categorie di pubblici dipendenti i ricordati benefici sulla base di due presupposti, costituiti dall'articolazione del concorso di accesso su tre prove scritte e dall'analogia o identità delle mansioni svolte rispetto a quelle degli appartenenti alle carriere speciali”;
che trattandosi di eccezioni fondate su uno specifico e circoscritto apprezzamento del legislatore, non può la Corte (cfr. sentenza n. 190 del 1992) estendere tale disciplina oltre i casi espressamente considerati, compiendo valutazioni di fatto e scelte ordinamentali che il legislatore, nell'uso dei poteri che gli competono, non ha inteso fare;
che, d’altra parte, la censurata limitazione dell’estensione del beneficio al solo personale che abbia avuto accesso all’impiego pubblico mediante il superamento di tre prove concorsuali, contrariamente a quanto assume il remittente, non è affatto irragionevole, poiché il maggiore numero di prove sostenute è di per sé un elemento non incongruo per differenziare i dipendenti nell’ambito della stessa categoria;
che si deve, peraltro, sottolineare che le prove di concorso per i profili professionali in questione sono state tre fino all’entrata in vigore dell’art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1970, n. 1077 (Riordinamento delle carriere degli impiegati civili dello Stato);
che, anteriormente, l’art. 173 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato) disponeva, infatti, che per l’accesso alle carriere di concetto “le prove scritte devono essere almeno due”, mentre l’art. 25 del decreto del Presidente della Repubblica 28 settembre 1959, n. 1340 (Norme per i concorsi di ammissione e di promozione nelle carriere dell’Amministrazione finanziaria) faceva riferimento al quadro B/1 annesso al decreto stesso, il quale prevedeva per i profili in questione tre prove scritte;
che, successivamente, il ricordato art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1077 del 1970 ha previsto “due prove scritte ed un colloquio”, per cui solo a decorrere dall’entrata in vigore di questa disposizione si sono avuti concorsi con due prove scritte;
che il riferimento alle tre prove scritte si risolve in un riferimento temporale e di conseguenza può essere richiamato il principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale “lo stesso fluire del tempo costituisce un elemento diversificatore delle situazioni giuridiche” (cfr. ordinanze n. 121 del 2003 e n. 108 del 2002);
che, pertanto, la questione posta dal remittente in riferimento agli articoli 3, 36 e 51 della Costituzione è manifestamente infondata;
che è, d’altro canto, inconferente il richiamo dell’articolo 97 della Costituzione, atteso che, per costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. ordinanze n. 263 del 2002 e n. 205 del 1998), il principio del buon andamento non è invocabile al fine di conseguire miglioramenti economici da parte del personale dipendente della pubblica amministrazione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 14-bis, del decreto-legge 19 dicembre 1984, n. 853 (Disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto e di imposte sul reddito e disposizioni relative all’Amministrazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 17 febbraio 1985, n. 17, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36, 51 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia – sezione staccata di Catania, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2005.
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Paolo MADDALENA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2005.