SENTENZA N.260
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Carlo MEZZANOTTE Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 4, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), e dell’art. 3, comma 49, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), promossi dalla Regione Emilia-Romagna con due ricorsi notificati il 1° marzo 2003 e il 24 febbraio 2004, depositati in cancelleria il 7 marzo 2003 e il 4 marzo 2004 ed iscritti al n. 25 del registro ricorsi 2003 ed al n. 33 del registro ricorsi 2004.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 22 giugno 2004 il Giudice relatore Romano Vaccarella;
uditi gli avvocati Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna e l’avvocato dello Stato Giancarlo Mandò per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 1° marzo 2003 (iscritto al n. 25 del registro ricorsi del 2003), la Regione Emilia-Romagna ha impugnato numerose disposizioni della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), tra le quali, in particolare, l’art. 33, comma 4, nella parte in cui stabilisce – così violando gli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione – che i comitati di settore, in sede di deliberazione degli atti di indirizzo previsti dall’art. 47, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), "si attengono ai criteri previsti per il personale delle amministrazioni di cui al comma 1 del presente articolo e provvedono alla quantificazione delle risorse necessarie per l’attribuzione dei medesimi benefici economici individuando le quote da destinare all’incentivazione della produttività".
1.1.– La ricorrente premette che, riguardo al comparto Regioni-autonomie locali, il comitato di settore – cui spetta di esercitare "il potere di indirizzo nei confronti dell’ARAN e le altre competenze relative alle procedure di contrattazione collettiva nazionale" (art. 41, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001) – è costituito "nell’ambito della Conferenza dei Presidenti delle regioni, per le amministrazioni regionali e per le amministrazioni del Servizio sanitario nazionale, e dell’Associazione nazionale dei comuni d’Italia - ANCI e dell’Unione delle province d’Italia - UPI e dell’Unioncamere, per gli enti locali rispettivamente rappresentati" (art. 41, comma 3, lettera a). Ai sensi dell’art. 47, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, "gli indirizzi per la contrattazione collettiva nazionale sono deliberati dai comitati di settore prima di ogni rinnovo contrattuale e negli altri casi in cui è richiesta una attività negoziale dell’ARAN". La stessa norma prevede, poi, che "gli atti di indirizzo delle amministrazioni diverse dallo Stato sono sottoposti al Governo che, non oltre dieci giorni, può esprimere le sue valutazioni per quanto attiene agli aspetti riguardanti la compatibilità con le linee di politica economica e finanziaria nazionale".
La ricorrente osserva, quindi, che, in base a tale normativa, il potere di indirizzo nei confronti dell’ARAN, per la contrattazione collettiva relativa al personale regionale e degli enti locali, spetta alle Regioni e agli enti locali, senza interferenze da parte dello Stato, e che la materia rientra ora nella potestà regionale piena. La norma impugnata, invece, vincola gli atti di indirizzo del comitato di settore regionale ai "criteri previsti per il personale delle amministrazioni di cui al comma 1", vale a dire ai criteri relativi all’entità degli aumenti previsti per il personale statale; inoltre, impone l’attribuzione al personale regionale dei "medesimi benefici economici", consentendo al comitato di settore solo di individuare "le quote da destinare all’incentivazione della produttività".
Lamenta, dunque, la ricorrente che siffatti vincoli posti all’attività del comitato di settore regionale si traducono in una lesione della potestà legislativa regionale in materia di personale regionale e degli enti locali, nonché dell’autonomia finanziaria e dell’autonomia amministrativa della Regione.
In senso contrario, non sembra possibile – sostiene la medesima ricorrente – invocare la competenza statale in materia di "coordinamento della finanza pubblica", giacché per disposto dello stesso art. 33, comma 4, della legge n. 289 del 2002, gli oneri derivanti dai rinnovi contrattuali relativi al personale regionale ricadono sulle stesse Regioni, "nell’ambito delle disponibilità dei rispettivi bilanci"; sicché destinare maggiori o minori risorse alla spesa del personale o ad altri scopi è questione di "politica regionale", che non incide sulle finanze statali. D’altro canto, la competenza in materia di coordinamento della finanza non può legittimare lo Stato a dettare qualsiasi norma indirizzata a porre un freno alla spesa pubblica, se non a costo di vanificare l’autonomia legislativa e finanziaria che la Costituzione assicura alle Regioni.
1.2.– Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per l’infondatezza del ricorso, osservando che l’art. 33, comma 4, della legge n. 289 del 2002 è norma emanata nell’esercizio della competenza spettante allo Stato per il coordinamento della finanza pubblica, in quanto si limita a prevedere che i comitati di settore, in sede di deliberazione degli atti di indirizzo, "si attengono ai criteri" previsti per il personale delle amministrazioni statali, senza porre alcun tassativo vincolo di specifico adeguamento.
2.– Con ricorso notificato il 24 febbraio 2004 (iscritto al n. 33 del registro ricorsi del 2004), la medesima Regione Emilia-Romagna ha impugnato numerose disposizioni della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), tra le quali, in particolare, l’art. 3, comma 49, nella parte in cui – dopo aver previsto che "per il personale dipendente da amministrazioni, istituzioni ed enti pubblici diversi dall’amministrazione statale gli oneri derivanti dai rinnovi contrattuali per il biennio 2004-2005, nonché quelli derivanti dalla corresponsione dei miglioramenti economici al personale di cui all’articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono posti a carico dei rispettivi bilanci ai sensi dell’articolo 48, comma 2, del medesimo decreto legislativo" – stabilisce che "in sede di deliberazione degli atti di indirizzo previsti dall’art. 47, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, i comitati di settore provvedono alla quantificazione delle relative risorse e alla determinazione della quota da destinare all’incentivazione della produttività, attenendosi, quale tetto massimo di crescita delle retribuzioni, ai criteri previsti dal comma 46 per il personale delle amministrazioni dello Stato"; e ciò, sostiene la ricorrente, in violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost.
2.1.– La ricorrente, richiamata la normativa concernente la costituzione e i poteri del comitato di settore per il comparto Regioni-autonomie locali in ordine alle procedure di contrattazione collettiva nazionale (artt. 41 e 47 del d.lgs. n. 165 del 2001), osserva che, in base a tale normativa, il potere di indirizzo nei confronti dell’ARAN, per la contrattazione relativa al personale regionale e degli enti locali, spetta alle Regioni e agli enti locali, senza interferenze da parte dello Stato, e che la materia rientra ora nella potestà regionale piena. La norma impugnata, invece, vincola gli atti di indirizzo del comitato di settore regionale, per quanto riguarda il "tetto massimo di crescita delle retribuzioni, ai criteri previsti dal comma 46 per il personale delle amministrazioni dello Stato", ossia a "incrementi nel limite massimo dello 0,2%".
Lamenta, dunque, la ricorrente che siffatto vincolo lede la potestà legislativa regionale in materia di personale regionale e degli enti locali, nonché l’autonomia finanziaria e amministrativa della Regione.
Né sembra possibile – ribadisce la ricorrente – porre a fondamento della norma impugnata la competenza statale in materia di "coordinamento della finanza pubblica": infatti, da un lato, lo stesso art. 3, comma 49, della legge n. 350 del 2003, precisa che gli oneri derivanti dai rinnovi contrattuali relativi al personale regionale ricadono sulle stesse Regioni; dall’altro, i principi di coordinamento non possono incidere sulle scelte di politica regionale nella allocazione delle risorse. In ogni caso, il limite rigido dello 0,2% all’aumento delle retribuzioni nel biennio 2004-2005 per il personale regionale non può considerarsi un principio in materia di coordinamento della finanza pubblica, ma è un vincolo puntuale in una materia di competenza legislativa residuale delle Regioni, che per di più penalizza quelle che già prima avevano livelli retributivi inferiori.
2.2.– Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che il ricorso sia dichiarato infondato con argomentazioni analoghe a quelle riferite sub 1.2.
3.– In prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno presentato memorie per ulteriormente illustrare le rispettive conclusioni.
3.1.– Quanto all’art. 33, comma 4, della legge n. 289 del 2002, la Regione Emilia-Romagna osserva, in replica alle argomentazioni dell’Avvocatura generale dello Stato, che la norma impugnata, seppure dovesse essere interpretata nel senso che da essa scaturisce non già un "vincolo di specifico adeguamento", ma un vincolo "attenuato", simile a quello derivante dagli atti di indirizzo e coordinamento, risulterebbe comunque illegittima, dal momento che la Corte costituzionale ha chiarito – con riferimento alla materia "tutela della salute" – che "è da escludere la permanenza in capo allo Stato del potere di emanare atti di indirizzo e coordinamento in relazione alla materia de qua, anche alla luce di quanto espressamente disposto dall’art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131 […], il quale stabilisce che "nelle materie di cui all’art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, non possono essere adottati gli atti di indirizzo e di coordinamento di cui all’art. 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e all’art. 4 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112"" (sentenza n. 329 del 2003).
Con riguardo, poi, alla possibilità – sostenuta dalla difesa erariale – di ricondurre la norma censurata alla materia del "coordinamento della finanza pubblica", la ricorrente prende atto che la sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 4 del 2004 ha ritenuto legittima un’analoga norma, contenuta nell’art. 16, comma 7, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002), qualificandola come norma di principio riconducibile alla materia del "coordinamento della finanza pubblica". La stessa ricorrente, però, rileva che tale norma è simile, non identica a quella dell’art. 33, comma 4, della legge n. 289 del 2002, e opina che la questione non può ritenersi esaurita.
Infatti, essa obietta che la Corte costituzionale ha affermato che i poteri di coordinamento della finanza pubblica "devono essere configurati in modo consono all’esistenza di sfere di autonomia, costituzionalmente garantite, rispetto a cui l’azione di coordinamento non può mai eccedere i limiti, al di là dei quali si trasformerebbe in attività di direzione o in indebito condizionamento dell’attività degli enti autonomi", e che "è dunque escluso che si attribuisca al Ministero il potere di incidere sulle scelte autonome degli enti quanto alla provvista o all’impiego delle loro risorse, effettuate nei limiti dei principi di armonizzazione stabiliti dalle leggi statali" (sentenza n. 376 del 2003).
Ad avviso della ricorrente, i limiti indicati dalla Corte debbono valere non solo per il coordinamento amministrativo, ma anche per quello operato in via legislativa, come nel caso in questione. Infatti, gli oneri derivanti dai rinnovi contrattuali sono a carico del bilancio regionale e per lo Stato è indifferente in quali settori le Regioni decidano di impiegare maggiori o minori risorse, sicché non v’è ragione di limitare la libertà delle Regioni di gestire le proprie "politiche".
Infine, la Regione sostiene che la norma impugnata ha carattere di norma di dettaglio, e, in quanto tale, è illegittima, giacché vincola i comitati di settore non solo ad attenersi ai criteri previsti per il personale statale, ma anche ad attribuire ai dipendenti regionali i "medesimi benefici economici" stabiliti per i dipendenti dello Stato.
3.1.1.– L’Avvocatura generale dello Stato, dal canto suo, osserva che la disposizione dell’art. 33, comma 4, della legge n. 289 del 2002 è formulata in termini simili a quelli dell’art. 16, comma 7, della citata legge n. 448 del 2001, la cui legittimità è già stata positivamente scrutinata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 4 del 2004. In questa sentenza si è affermato che la questione va correttamente inquadrata nell’ottica non già del pubblico impiego regionale (materia di asserita competenza residuale della Regione), bensì in quella del "coordinamento della finanza pubblica", materia di competenza legislativa concorrente, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., e si concreta nella determinazione di un principio fondamentale, volto al coordinato contenimento della spesa corrente, in linea con gli impegni assunti dall’Italia in sede comunitaria.
3.2.– Quanto all’art. 3, comma 49, della legge n. 350 del 2003, la Regione Emilia-Romagna svolge argomentazioni analoghe a quelle di cui innanzi. Aggiunge che detta norma esprime, rispetto a quella corrispondente della legge finanziaria 2002, un più penetrante vincolo nei confronti dell’autonomia regionale, imponendo un preciso limite di crescita delle retribuzioni (0,2%), sicché pare difficile negarne il carattere di dettaglio e, dunque, l’illegittimità costituzionale. Infatti, la Corte costituzionale – conclude la ricorrente – ha più volte precisato che, nelle materie di legislazione concorrente, lo Stato deve limitarsi a fissare principi suscettibili di essere svolti dalle leggi regionali (sentenze n. 12 e n. 13 del 2004) e non si vede come il legislatore regionale possa "svolgere" la norma impugnata.
3.2.1.– L’Avvocatura generale dello Stato, con riguardo alla medesima norma, preliminarmente rileva che l’inciso "comportanti incrementi nel limite massimo dello 0,2%", contenuto nel richiamato comma 46, si riferisce solo alla "contrattazione integrativa per il miglioramento della produttività", e non all’insieme degli "oneri" di cui al medesimo comma.
Osserva, poi, che la disposizione ora in esame è solo un po’ più esplicita di quelle analoghe contenute nelle precedenti leggi finanziarie e persegue la medesima finalità di esse: ancorare la crescita delle retribuzioni dei pubblici dipendenti dei comparti non statali al quadro complessivo di compatibilità delineato nei documenti di finanza pubblica; in particolare, mira a stabilire che le risorse da destinare alla produttività, aggiuntive rispetto a quelle che derivano dall’applicazione dei tassi di inflazione programmata, devono essere compatibili con i livelli di crescita della produttività del sistema secondo le indicazioni contenute nel "Documento di programmazione economica e finanziaria" e devono tener conto dei vincoli derivanti dal "Programma di stabilità e crescita", adottato in sede comunitaria, e dal "Patto di stabilità interno".
All’obiezione della ricorrente che non sarebbe possibile ricondurre la norma alla materia del "coordinamento della finanza pubblica", dal momento che "nessun onere deriverebbe al bilancio statale", la difesa erariale replica che non a caso gli artt. 117 e 119 Cost. adoperano il singolare "finanza pubblica": l’espressione sta a significare che la "finanza pubblica" è un insieme unitario e che ciascun soggetto pubblico autonomo deve essere sottoposto a "coordinamento".
La fissazione di un "tetto massimo", nella norma censurata, non muta il carattere di questa, atteso che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 4 del 2004, ha ritenuto che una disposizione analoga, dettata dalla legge finanziaria 2002, non esprime una disciplina di dettaglio, come tale lesiva della competenza regionale, ma, al contrario, determina principi fondamentali volti al contenimento della spesa corrente, in linea con gli impegni assunti dall’Italia in sede comunitaria.
Sotto altro profilo, l’Avvocatura rileva che l’esistenza di norme legislative sulle procedure di contrattazione collettiva non costituisce una "interferenza statale" nei confronti dell’autonomia regionale, ma è resa necessaria dall’esigenza della preventiva quantificazione degli oneri derivanti dalla contrattazione collettiva del settore pubblico, anche integrativa, e del controllo svolto dalla Corte dei conti sulla rispondenza dei costi contrattuali alle previsioni contenute nei documenti finanziari.
Considerato in diritto
1.– Con i ricorsi n. 25 del 2003 e n. 33 del 2004 la Regione Emilia-Romagna impugna, invocando i medesimi parametri costituzionali (articoli 117, 118 e 119 della Costituzione), tra numerose altre norme, le disposizioni che, nelle leggi finanziarie del 2003 e del 2004, pongono vincoli ai comitati di settore in sede di deliberazione degli atti di indirizzo riguardanti i dipendenti del comparto Regioni-autonomie locali: sicché, riservate a separate decisioni le altre questioni di legittimità costituzionale poste dai due ricorsi, i giudizi debbono essere riuniti relativamente alle disposizioni de quibus.
2.– Le questioni non sono fondate.
2.1.– Entrambe le parti ricordano che questa Corte ha avuto occasione di pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di una norma (art. 16, comma 7) della legge finanziaria 2002 (legge 28 dicembre 2001, n. 448), a tenore della quale "i comitati di settore, in sede di deliberazione degli atti di indirizzo previsti dall’art. 47, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, si attengono, anche per la contrattazione integrativa, ai criteri indicati per il personale delle amministrazioni di cui al comma 1 e provvedono alla quantificazione delle risorse necessarie per i rinnovi contrattuali"; e ciò dopo aver precisato che "gli oneri per la corresponsione dei miglioramenti economici …, sono a carico delle amministrazioni di competenza nell’ambito delle disponibilità dei rispettivi bilanci".
In relazione a tale norma questa Corte ha osservato che la previsione secondo la quale "i comitati di settore, in sede di deliberazione degli atti di indirizzo, si attengono ai "criteri indicati per il personale" dipendente dallo Stato" costituisce legittimo esercizio del potere di "coordinamento della finanza pubblica", in quanto "fissa – in linea con gli impegni assunti dall’Italia in sede comunitaria – principi fondamentali volti al contenimento della spesa corrente, che rientrano nella competenza della legislazione statale" (sentenza n. 4 del 2004).
2.2.– L’art. 33, comma 4, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, ha contenuto pressoché identico a quello della corrispondente norma della legge finanziaria 2002, in quanto anch’esso si limita a prevedere un vincolo ai "criteri" previsti per il personale statale ed in quanto, lungi dall’imporre per il personale del comparto Regioni-autonomie locali i "medesimi benefici economici" previsti per il personale statale, si limita a prevedere che si provveda alla quantificazione delle risorse necessarie per l’attribuzione di quei benefici economici che, nel rispetto dei "criteri" cui sopra si è fatto cenno, siano a tale personale riconosciuti.
In conclusione, non essendo disposto altro vincolo che ai "criteri" previsti per il personale statale, alla norma in esame si attagliano le medesime conclusioni alle quali questa Corte è pervenuta con la sentenza n. 4 del 2004.
2.3.– L’art. 3, comma 49, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, si sottrae alle censure di incostituzionalità mosse dalla Regione Emilia-Romagna, in quanto è del tutto evidente che il riferimento "ai criteri previsti dal comma 46 per il personale delle amministrazioni dello Stato" comporta non già il limite rigido dello 0,2% all’aumento delle retribuzioni nel biennio 2004-2005, bensì esclusivamente il limite alla "contrattazione integrativa per il miglioramento della produttività", che è, appunto, oggetto della disciplina del comma 46 richiamato dall’impugnato comma 49.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunzie la decisione sulle ulteriori questioni di legittimità costituzionale sollevate riguardo alla legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), e alla legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), con i ricorsi indicati in epigrafe;
riuniti i giudizi,
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 4, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), e dell’art. 3, comma 49, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), sollevate, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 2004.
Carlo MEZZANOTTE, Presidente
Romano VACCARELLA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2004.