SENTENZA N. 256
ANNO 2004
Commento alla decisione di
I. Michele Belletti, Il nuovo riparto di competenze Stato – Regioni tra continuità, ultrattività ed urgenza (per gentile concessione del Forum di Quaderni costituzionali)
II. Sergio Foà, Costituzionalità ''provvisoria'', continuità istituzionale e monito al legislatore statale: la disciplina dello spettacolo (per gentile concessione della Rivista telematica federalismi.it)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido EPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
- Ugo DE SIERVO
- Romano VACCARELLA
- Paolo MADDALENA
- Alfonso QUARANTA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi per conflitti di attribuzioni sorti in relazione al decreto del Ministro per i beni e le attività culturali dell’8 febbraio 2002, n. 47, concernente «Regolamento recante criteri e modalità di erogazione di contributi in favore delle attività musicali, in corrispondenza degli stanziamenti del Fondo unico per lo spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163», e al decreto del Ministro per i beni e le attività culturali del 21 maggio 2002, n. 188, concernente «Regolamento recante criteri e modalità di erogazione di contributi in favore delle attività di danza, in corrispondenza degli stanziamenti del Fondo unico per lo spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163»,
promossi con ricorsi della Regione Toscana notificati il 30 maggio e il 21 ottobre 2002, depositati in cancelleria il 7 giugno e il 24 ottobre successivi ed iscritti ai numeri 21 e 40 del registro conflitti 2002.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 23 marzo 2004 il Giudice relatore Romano Vaccarella;
uditi l’avvocato Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana e l’avvocato dello Stato Giorgio D’Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri e per il Ministro per i beni e le attività culturali.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 30 maggio 2002 e depositato il 7 giugno 2002, la Regione Toscana ha sollevato conflitto di attribuzioni nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in relazione al decreto del Ministro per i beni e le attività culturali in data 8 febbraio 2002, n. 47 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 3 aprile 2002, n. 78), con il quale è stato adottato un “Regolamento recante criteri e modalità di erogazione di contributi in favore delle attività musicali, in corrispondenza degli stanziamenti del Fondo unico per lo spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163”.
La ricorrente, assumendo la violazione degli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, chiede che il predetto decreto ministeriale sia dichiarato lesivo delle attribuzioni regionali e, conseguentemente, annullato.
1.1.– La Regione osserva che il regolamento de quo disciplina l’erogazione di contributi per le attività musicali, nell’ambito degli stanziamenti affluenti al “Fondo unico per lo spettacolo”, istituito dalla legge 30 aprile 1985, n. 163 (Nuova disciplina degli interventi dello Stato a favore dello spettacolo), per il sostegno finanziario a enti, istituzioni, associazioni, organismi e imprese operanti nei settori delle attività cinematografiche, musicali, di danza, teatrali, circensi e dello spettacolo viaggiante; esso, dunque, concerne la materia dello «spettacolo».
Tale materia – a suo avviso – è distinta e autonoma rispetto a quella delle «attività culturali», com’è stato riconosciuto sia dal d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui alla legge 22 luglio 1975, n. 382), che, all’art. 49, secondo comma, ha previsto il riordino delle funzioni delle Regioni e degli enti locali «in ordine alle attività di prosa, musicali e cinematografiche»; sia, ancor più chiaramente, dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), il quale ne ha fatto oggetto di considerazione a sé stante, dettando specifiche disposizioni (art. 149) in un apposito capo (il VI), intitolato appunto allo «spettacolo», separato da quello (il V) dedicato ai «beni e attività culturali».
Il nuovo art. 117 Cost. – prosegue la ricorrente – non include la materia in questione fra quelle oggetto di legislazione esclusiva dello Stato, né fra quelle oggetto di legislazione concorrente, sicché essa ricade nella potestà legislativa esclusiva delle Regioni, in forza del disposto dell’art. 117, quarto comma, Cost.
Ciò comporta che spetta alle Regioni disciplinare in via legislativa e regolamentare la materia dello spettacolo, nonché di stabilire il riparto delle funzioni amministrative nella stessa materia, in base ai principi posti dall’art. 118 Cost.
Ne consegue – conclude la ricorrente – che il decreto impugnato lede le attribuzioni riservate alle Regioni dai richiamati articoli 117 e 118 Cost.
1.2.– Osserva, ancora, la Regione che l’invasività dell’atto regolamentare permane, pur quando si voglia ritenere che lo spettacolo rientri, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., fra le materie oggetto di legislazione concorrente siccome relativa alla «promozione e organizzazione di attività culturali», di talché lo Stato riguardo ad essa può solo determinare in via legislativa i «principi fondamentali» di disciplina.
1.3.– Deduce, poi, la Regione che il decreto de quo viola, altresì, l’art. 117, sesto comma, Cost., il quale stabilisce che la potestà regolamentare spetta allo Stato solo nelle materie di sua legislazione esclusiva, mentre in ogni altra materia compete alle Regioni. Lo spettacolo non è compreso fra le materie riservate alla legislazione esclusiva statale dall’art. 117, secondo comma, Cost. e, dunque, lo Stato, intervenendo in detta materia con il regolamento in questione, ha invaso la sfera delle attribuzioni regionali. Al riguardo la ricorrente richiama, a sostegno del proprio assunto, il parere reso dal Consiglio di Stato nell’adunanza generale dell’11 aprile 2002, secondo cui, a seguito della riforma del titolo V della Costituzione, è venuto meno il potere regolamentare dello Stato nelle materie di legislazione concorrente, ancorché previsto da leggi anteriori.
1.4.– Infine, la Regione lamenta la violazione dell’art. 119 Cost.: tale norma, nel disciplinare l’autonomia finanziaria delle Regioni, ha stabilito che ad esse spettano entrate proprie, quote di compartecipazione al gettito di tributi erariali e quote di partecipazione al «fondo perequativo», così costituzionalizzando il principio del congruo finanziamento delle competenze regionali; la medesima norma, inoltre, prevede la possibilità che lo Stato destini risorse aggiuntive ed effettui interventi speciali per le finalità da essa indicate.
Dato questo nuovo assetto normativo, lo Stato – sostiene la ricorrente – non può continuare a disciplinare l’erogazione diretta delle risorse finanziarie disponibili per i settori di attività rientranti nelle materie di competenza regionale, ma è tenuto a trasferire tali risorse alle Regioni, perché siano queste, nell’esercizio della loro potestà legislativa, a disciplinare l’erogazione dei contributi agli aventi diritto.
A tale stregua, il “Fondo unico per lo spettacolo” dovrebbe essere decentrato e ripartito fra le Regioni, essendo lo spettacolo materia di legislazione regionale, esclusiva o concorrente.
Viceversa, il decreto impugnato, disciplinando la diretta erogazione da parte dell’amministrazione statale di contributi a favore di soggetti operanti nel settore delle attività musicali, settore rientrante nell’anzidetta materia, menoma le attribuzioni regionali anche sotto il profilo delle prerogative riconosciute dall’art. 119 Cost.
2.– Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o sia respinto in quanto infondato.
2.1.– La difesa erariale osserva, in primo luogo, che il regolamento in questione detta norme procedimentali, per cui, dato il suo contenuto astratto, non può produrre una concreta lesione delle attribuzioni regionali.
Osserva, ancora, che esso ha introdotto una disciplina semplificata rispetto a quella già dettata dal precedente regolamento, adottato con decreto ministeriale 19 marzo 2001, n. 191, che, perciò, è stato espressamente abrogato (art. 17): a seguito di una pronuncia di annullamento, riprenderebbe vigore il regolamento previgente, sicché non muterebbe la posizione della Regione ricorrente.
Sotto entrambi i profili, dunque, il ricorso sarebbe inammissibile.
2.2.– Nel merito, l’Avvocatura rileva che la materia disciplinata dal regolamento non è la «promozione e organizzazione di attività culturali», ma è un procedimento amministrativo statale, per cui non sussiste la lamentata invasione della sfera delle attribuzioni legislative riservate alle Regioni dall’art. 117 Cost.
Quanto, poi, alla dedotta violazione dell’art. 119 Cost., la difesa erariale obietta che: a) ove il “Fondo unico per lo spettacolo” non potesse più essere utilizzato dallo Stato (come sostiene la ricorrente), le risorse ad esso assegnate rientrerebbero nella disponibilità dello Stato medesimo, non essendovi alcun vincolo al trasferimento di esse al «fondo perequativo», previsto dall’art. 119, terzo comma, Cost.; b) tale «fondo perequativo», comunque, ai sensi della norma costituzionale, non può avere alcun vincolo di destinazione; c) il medesimo fondo deve essere indirizzato a vantaggio dei territori con minore capacità fiscale per abitante, e ciò esclude che la Regione Toscana ne possa beneficiare.
In conclusione, l’eliminazione del regolamento impugnato – argomenta la difesa erariale – non potrebbe consentire alle Regioni, e segnatamente alla ricorrente, di gestire l’erogazione dei contributi a sostegno delle attività musicali, il che rende palese l’infondatezza del ricorso.
3.– Con distinto ricorso notificato in data 17 ottobre 2002 e depositato in data 24 ottobre 2002, la stessa Regione Toscana ha sollevato altro conflitto di attribuzioni nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in relazione al decreto del Ministro per i beni e le attività culturali in data 21 maggio 2002, n. 188 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 21 agosto 2002, n. 195), con il quale è stato adottato un “Regolamento recante criteri e modalità di erogazione di contributi in favore delle attività di danza, in corrispondenza degli stanziamenti del Fondo unico per lo spettacolo, di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163”.
La ricorrente assume, anche riguardo a tale secondo decreto ministeriale, la violazione degli articoli 117, 118 e 119 Cost., esponendo doglianze del tutto analoghe a quelle contenute nel precedente ricorso; chiede, pertanto, che l’atto impugnato sia dichiarato lesivo delle attribuzioni regionali e, conseguentemente, annullato.
4.– Anche in questo secondo giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o sia respinto in quanto infondato.
4.1.– La difesa erariale, riprese le argomentazioni già svolte per resistere al primo ricorso, aggiunge che le attività di danza, a sostegno delle quali il regolamento impugnato disciplina l’erogazione di contributi statali, rientrano, in quanto forme di interpretazione musicale, nelle «attività culturali», le quali costituiscono oggetto di uno dei «diritti sociali», la cui disciplina, quanto alla «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni» concernenti gli stessi (oltre ché i «diritti civili»), è riservata alla legislazione esclusiva dello Stato, a norma dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.: non può dubitarsi, infatti, che sia oggi un diritto sociale, la cui fruizione deve essere a tutti consentita, quello ad una adeguata elevazione in tutti i settori culturali, musica e danza comprese, sicché è compito dello Stato determinare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti anche tale diritto; il che include la predisposizione dei mezzi necessari a realizzarli. Trattandosi di materia di legislazione esclusiva, riguardo ad essa spetta, altresì, allo Stato la potestà regolamentare, ai sensi dell’art. 117, sesto comma, Cost. Ne consegue – conclude l’Avvocatura – la legittimità dell’impugnato regolamento ministeriale, adottato per dare attuazione alla legge istitutiva del “Fondo unico per lo spettacolo”: questo persegue, appunto, la finalità di realizzare gli anzidetti «livelli essenziali», che devono essere garantiti, negli specifici settori di attività culturali contemplati, in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale.
5.– In prossimità dell’udienza del 14 ottobre 2003, le parti hanno depositato, in entrambi i giudizi, memorie di analogo contenuto.
5.1.– La Regione Toscana, nell’affermare il suo persistente interesse ai ricorsi, ribadisce le censure svolte negli atti introduttivi, replicando alle eccezioni dell’Amministrazione statale.
5.1.1.– Quanto alla dedotta inammissibilità, osserva che i regolamenti impugnati non hanno – come, invece, sostiene la difesa erariale – contenuto meramente procedimentale, dal momento che dettano anche norme sostanziali relative ai criteri per la valutazione qualitativa e quantitativa delle iniziative, per le quali possono essere erogati i contributi; sicché essi, intervenendo in materia che non è di esclusiva competenza legislativa dello Stato, importano violazione dell’art. 117 Cost., e questa è più che sufficiente a fondare l’interesse della Regione a sollevare il conflitto di attribuzione.
Obietta, poi, che non ha fondamento l’argomento, secondo cui l’accoglimento dei ricorsi farebbe rivivere i precedenti regolamenti (d.m. 9 febbraio 2001, n. 167, per le attività di danza, e d.m. 19 marzo 2001, n. 191, per le attività musicali), abrogati da quelli impugnati.
5.1.2.– Nel merito, osserva che non può parlarsi di «procedimento amministrativo statale» come materia a sé, dal momento che il procedimento amministrativo rappresenta l’aspetto strumentale di una materia sostanziale; nel caso in esame, la materia sostanziale è quella dello «spettacolo», oggetto di potestà legislativa delle Regioni, esclusiva o, quanto meno, concorrente, e, quindi, anche di esclusiva potestà regolamentare delle stesse.
Quanto, poi, alla tesi, prospettata dallo Stato, per la quale i regolamenti impugnati interverrebbero in materia di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali», di esclusiva competenza legislativa statale ex art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., la Regione ne contesta la fondatezza, rilevando che la legge n. 163 del 1985 ha istituito il “Fondo unico per lo spettacolo” non già per garantire ai cittadini livelli essenziali di prestazioni relative a un «diritto sociale», ma per assicurare sostegno finanziario a enti, istituzioni, associazioni, organismi e imprese operanti nei settori delle attività cinematografiche, musicali, di danza, teatrali, circensi e dello spettacolo viaggiante. Osserva, ancora, che la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni» – come chiarito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 282 del 2002 – non è una materia, ma è una competenza riconosciuta al legislatore statale per dettare norme che abbiano per oggetto o contenuto la fissazione di un livello minimo di soddisfacimento di diritti civili o sociali, e i regolamenti impugnati non hanno tale oggetto o contenuto. Peraltro, nell’esercizio di tale competenza, lo Stato avrebbe dovuto rispettare – ma non lo ha fatto – i criteri indicati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 88 del 2003, secondo cui «la conseguente forte incidenza sull’esercizio delle funzioni nelle materie assegnate alle competenze legislative ed amministrative delle Regioni e delle Province autonome impone evidentemente che queste scelte, almeno nelle loro grandi linee generali, siano operate dallo Stato con legge, che dovrà inoltre determinare adeguate procedure e precisi atti formali per procedere alle specificazioni ed articolazioni ulteriori che si rendano necessari nei vari settori».
In riferimento, infine, all’art. 119 Cost., la ricorrente contesta i rilievi della difesa erariale, osservando che tale norma non prevede finanziamenti vincolati e che essa non impone l’ipotizzata confluenza del “Fondo unico per lo spettacolo” nel «fondo perequativo» (di cui al terzo comma). Ribadisce che l’art. 119 Cost. ha costituzionalizzato il principio del congruo finanziamento delle competenze regionali e che in forza di tale principio l’amministrazione statale non può continuare a disciplinare le modalità di erogazione diretta di finanziamenti a terzi per attività inerenti a materie che, come appunto lo spettacolo, sono attribuite alla competenza regionale, dovendosi, invece, procedere al trasferimento delle risorse disponibili alle Regioni, alle quali compete di disciplinare, nell’esercizio della loro potestà legislativa, l’erogazione delle risorse medesime agli aventi diritto.
5.2.– L’Avvocatura dello Stato, dal canto suo, reitera le eccezioni già proposte e svolge ulteriori argomentazioni.
5.2.1.– Essa richiama l’art. 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), per sostenere che, non comportando l’entrata in vigore del nuovo titolo V della Costituzione – ai sensi di detta norma (che ha recepito l’orientamento della Corte costituzionale) – la caducazione della preesistente normativa statale, primaria e secondaria, non può negarsi allo Stato, nella fase transitoria di adeguamento dell’ordinamento alla riforma costituzionale, il potere di modificare le norme regolamentari emanate per l’attuazione delle leggi statali rimaste in vigore, fino a che le Regioni non provvedano a emanare nuove disposizioni nell’esercizio della propria potestà legislativa. Proprio perché – argomenta la difesa erariale – l’art. 117, sesto comma, Cost. ha collegato la potestà regolamentare alla potestà legislativa, fino a che resta operativa la fonte legislativa statale, lo è anche la fonte regolamentare, sicché si giustifica che lo Stato intervenga su norme che servono a dare corretta esecuzione a leggi statali ancora in vigore, in attesa che le Regioni attivino le proprie nuove competenze legislative. Risultano, così, superate – a suo avviso – le censure riferite agli artt. 117 e 118 Cost.
Quanto, poi, alla dedotta violazione dell’art. 119 Cost., osserva che i regolamenti impugnati non riguardano il finanziamento del “Fondo unico per lo spettacolo”, ma solo «criteri e modalità di erogazione di contributi», mentre la disciplina degli aspetti finanziari è dettata dalla legge n. 163 del 1985, che continua ad essere operativa; di talché fra i regolamenti e la norma costituzionale non vi sono rapporti, né possibilità di interferenze.
5.2.2.– Infine, rileva che il regolamento adottato col decreto ministeriale 8 febbraio 2002, n. 47 (relativo alle attività musicali), è stato modificato, in diversi punti, con decreto ministeriale 19 settembre 2002, n. 241, contenente un nuovo regolamento. Questo decreto non è stato impugnato, per cui – conclude la difesa erariale – il ricorso concernente il primo (iscritto al n. 21 del registro conflitti del 2002) è divenuto improcedibile per il venir meno dell’interesse alla decisione: ove, infatti, questa fosse di accoglimento, rimarrebbe in vigore il regolamento successivo.
6.– A seguito del rinvio delle cause dall’udienza pubblica del 23 marzo 2004, la Regione Toscana ha depositato, in entrambi i giudizi, altra memoria, nella quale riprende e sviluppa ulteriormente le argomentazioni già svolte nei suoi precedenti scritti.
Aggiunge che i regolamenti impugnati hanno nel frattempo prodotto effetti concreti, essendo stati emanati i provvedimenti ministeriali, che hanno ripartito i finanziamenti per l’anno 2003 in applicazione dei criteri e delle procedure stabiliti nei regolamenti medesimi.
6.1.– Quanto alla tesi, sostenuta dall’Avvocatura generale dello Stato, secondo la quale, poiché in base all’art. 1 della legge n. 131 del 2003 restano applicabili le leggi statali in materie regionali fino all’emanazione della legislazione regionale, la stessa regola dovrebbe valere anche per la potestà regolamentare dello Stato, la ricorrente obietta che simile tesi non può ritenersi fondata alla luce dell’art. 117, sesto comma, Cost., il quale ha rigorosamente delimitato la potestà regolamentare dello Stato alle sole materie oggetto di legislazione esclusiva statale.
In proposito richiama il principio già enunciato dalla Corte costituzionale nella vigenza del precedente Titolo V della Costituzione, secondo cui nessun tipo di regolamento statale è legittimato a disciplinare materie di competenza regionale e nemmeno lo strumento della delegificazione può operare per fonti di diversa natura, tra le quali vi è un rapporto di competenza e non di gerarchia (sentenze n. 376 del 2002, n. 507 del 2000, n. 408 del 1998 e altre).
Tale principio è uscito rafforzato dalla nuova formulazione dell’art. 117, sesto comma, Cost., riguardo al quale la Corte costituzionale ha avuto modo di affermare: «In un riparto così rigidamente strutturato alla fonte secondaria statale è inibita in radice la possibilità di vincolare l’esercizio della potestà legislativa regionale o di incidere su disposizioni regionali preesistenti; e neppure i principi di sussidiarietà e adeguatezza possono conferire ai regolamenti statali una capacità che è estranea al loro valore, quella cioè di modificare gli ordinamenti regionali a livello primario. Quei principi, lo si è già rilevato, non privano di contenuto precettivo l’art. 117 Cost., pur se, alle condizioni e nei casi sopra evidenziati, introducono in esso elementi di dinamicità intesi ad attenuare la rigidità del riparto di funzioni legislative ivi delineato. Non può quindi essere loro riconosciuta l’attitudine a vanificare la collocazione sistematica delle fonti conferendo primarietà ad atti che possiedono lo statuto giuridico di fonti secondarie e a degradare le fonti regionali a fonti subordinate ai regolamenti statali o comunque a questi condizionate» (sentenza n. 303 del 2003).
Alla stregua di tale orientamento giurisprudenziale – sostiene la ricorrente – l’emanazione dei regolamenti impugnati, i quali vincolerebbero l’esercizio della potestà legislativa regionale, risulta incompatibile con il sistema costituzionale.
6.2.– Quanto, poi, alla dedotta violazione dell’art. 119 Cost., la ricorrente – nel ribadire che la norma ha costituzionalizzato il principio del congruo finanziamento delle competenze regionali, per cui lo Stato non può continuare a disciplinare le modalità di erogazione diretta di finanziamenti a soggetti terzi per attività inerenti a materie assegnate alla competenza delle Regioni, poiché ciò determina una sicura lesione delle attribuzioni regionali – richiama, a sostegno della propria tesi, le sentenze della Corte costituzionale n. 16 e n. 49 del 2004. In particolare, osserva che la sentenza n. 16 del 2004 ha riconosciuto che non vi sono ostacoli all’immediata applicabilità del nuovo sistema costituzionale per quanto riguarda la disciplina della spesa e il trasferimento di risorse dal bilancio statale, atteso che «in questo campo, fin d’ora lo Stato può e deve agire in conformità al nuovo riparto di competenze e alle nuove regole, disponendo i trasferimenti senza vincoli di destinazione specifica, o, se del caso, passando attraverso il filtro dei programmi regionali, coinvolgendo dunque le Regioni interessate nei processi decisionali concernenti il riparto e la destinazione dei fondi, e rispettando altresì l’autonomia di spesa degli enti locali».
6.3.– Infine, la ricorrente, all’obiezione della difesa erariale, secondo cui per l’anno 2003 era comunque necessario provvedere a erogare i contributi per non penalizzare gli operatori del settore, replica, in primo luogo, che nulla avrebbe impedito allo Stato di ripartire tempestivamente il fondo tra le Regioni; in secondo luogo, che l’erogazione per l’anno 2003 ben avrebbe potuto essere fatta in base ai precedenti regolamenti, adottati col decreto ministeriale 9 febbraio 2001, n. 167 (Regolamento recante criteri e modalità di erogazione di contributi in favore delle attività di danza, in corrispondenza agli stanziamenti del Fondo unico per lo spettacolo, di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163), e col decreto ministeriale 19 marzo 2001, n. 191 (Regolamento recante “Criteri e modalità di erogazione di contributi in favore delle attività musicali, in corrispondenza agli stanziamenti del Fondo unico per lo spettacolo, di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163”), entrambi abrogati dai decreti ministeriali impugnati (rispettivamente dall’art. 16 del d.m. 21 maggio 2002, n. 188, e dall’art. 17 del d.m. 8 febbraio 2002, n. 47).
Considerato in diritto
Con entrambi i ricorsi – che, in quanto sollevano questioni analoghe, vanno riuniti – la Regione Toscana contesta la potestà dello Stato di dare attuazione, con regolamenti successivi all’entrata in vigore del nuovo Titolo V della Costituzione (legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), alla legge 30 aprile 1985, n. 163 (Nuova disciplina degli interventi dello Stato a favore dello spettacolo), istitutiva del “Fondo unico per lo spettacolo” (FUS) «per il sostegno finanziario ad enti, istituzioni, associazioni, organismi ed imprese operanti nei settori delle attività cinematografiche, musicali, di danza, teatrali, circensi e dello spettacolo viaggiante, nonché per la promozione ed il sostegno di manifestazioni ed iniziative di carattere e rilevanza nazionale da svolgere in Italia o all’estero» (art. 1); Fondo unico del quale la legge si limita a prescrivere criteri di massima per la sua ripartizione tra i singoli settori di attività (non meno del 45% per musica e danza, del 25% per cinema, del 15% per prosa e dell’1% per circo), nonché per interventi integrativi e per la gestione del Fondo stesso (art. 2).
La Regione Toscana – sia chiedendo l’annullamento dei regolamenti attuativi della legge (regolamenti volti a fissare i criteri di ripartizione delle quote del FUS destinate ai singoli settori – qui, musica e danza – di attività), sia anche, e soprattutto, invocando l’art. 119 Cost., nella parte in cui, consentendo allo Stato soltanto l’istituzione di un «fondo perequativo senza vincoli di destinazione», gli vieterebbe “l’erogazione diretta di risorse finanziarie disponibili per i settori di attività rientranti nelle materie di competenza regionale” – mira sostanzialmente a rendere inoperante la legge n. 163 del 1985, contestando che, nel nuovo assetto costituzionale, sia configurabile un Fondo unico (id est, nazionale) destinato a promuovere e finanziare un settore (“lo spettacolo”) che rientrerebbe, ormai, nella competenza residuale o, quanto meno, concorrente delle Regioni.
Questa Corte ha già avuto modo di occuparsi del fenomeno della perdita da parte dello Stato, in tutto o in parte, della potestà regolamentare – in precedenza giustificata dall’esistenza di una potestà legislativa corrispondente – per il fatto che la materia in questione è divenuta oggetto di competenza legislativa concorrente (rispetto alla quale lo Stato può far valere interessi eccedenti ambiti regionali), ed ha precisato (cfr. sentenze n. 370 del 2003 e n. 13 del 2004) che non può tale circostanza determinare la compromissione di attività attraverso le quali valori di fondamentale rilevanza costituzionale – nella specie protetti dagli artt. 9 e 33 Cost. – sono realizzati. In sintesi, non si può privare la società civile e i soggetti che ne sono espressione (enti pubblici e privati, associazioni, circoli culturali, ecc.) dei finanziamenti pubblici indispensabili per la promozione e lo sviluppo di attività che, normalmente, non possono affidare la loro sorte alle mere leggi del mercato.
Ora, l’accoglimento del ricorso, con il conseguente annullamento dei regolamenti impugnati, potrebbe comportare nell’immediato il sacrificio di valori che non solo sono evocati dalle suddette norme costituzionali, ma che permeano di sé la prima parte della Costituzione, e pertanto effetti incompatibili con la Costituzione stessa.
Conformemente all’esigenza testé indicata, il decreto-legge 18 febbraio 2003, n. 24 (convertito in legge 17 aprile 2003, n. 82) ha bensì indicato la necessità di una nuova disciplina legislativa contenente la definizione dei principi fondamentali di cui all’art. 117 Cost., la quale fissi i criteri e gli ambiti di competenza dello Stato; ma ha altresì mantenuto, conferendole carattere transitorio, l’attuale disciplina del FUS, individuando strumenti normativi – da porre in essere attraverso un coinvolgimento delle Regioni – per mezzo dei quali continuare a dare attuazione, in attesa di un definitivo assetto, a quella indicata esigenza di continuità.
Nel quadro delle anzidette ragioni di ordine costituzionale, deve ritenersi che i regolamenti impugnati – i quali, come dedotto senza contestazione dalla Regione Toscana e come documentalmente provato, hanno trovato applicazione ed hanno così esaurito la loro funzione – hanno dato luogo a provvedimenti attuativi di erogazione per l’anno 2003 che non potrebbero essere posti nel nulla, con la conseguente ripetizione delle somme erogate.
Onde la mancanza di interesse della Regione ricorrente.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara cessata la materia del contendere in ordine ai ricorsi in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 2004.
Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
Romano VACCARELLA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 21 luglio 2004.