Ordinanza n. 52/2003

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ORDINANZA N.52

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY  

- Valerio ONIDA        

- Fernanda CONTRI   

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI    

- Franco BILE             

- Giovanni Maria FLICK        

- Francesco AMIRANTE        

- Ugo DE SIERVO     

- Romano VACCARELLA                

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 790 del codice civile, promosso con atto dell’11 marzo 2002 dal notaio di Giulianova nel procedimento relativo ad Andrea Costantini e altro, iscritta al n. 326 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2002.

  Visto l’atto di costituzione di Andrea Costantini e altro nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 4 dicembre 2002 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.      

Ritenuto che il notaio di Giulianova, chiamato a formare un atto pubblico di donazione, con atto ("ordinanza") dell’11 marzo 2002, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 41 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 790 del codice civile, nella parte in cui non prevede la possibilità per il donante di riservare a proprio favore la facoltà – non trasmissibile agli eredi – di disporre discrezionalmente, per la durata della propria vita, la costituzione a carico del donatario di un obbligo di prestazione di assistenza morale e materiale per la soddisfazione di ogni esigenza di vita del donante medesimo;

  che il dubbio di costituzionalità è formulato sul presupposto secondo cui la volontà manifestata nella specie dal donante, con l’accordo del donatario, per la conclusione di un contratto di donazione avente il contenuto sopra detto, non potrebbe trovare alcuna forma di "traduzione" giuridica, né secondo l’art. 793 cod. civ., che regola la donazione modale (poiché in esso l’imposizione del peso legittima chiunque ad agire per l’adempimento, anche oltre la vita del donante), né secondo lo schema del contratto di mantenimento (poiché la causa dell’attribuzione patrimoniale non sarebbe quella della liberalità), né, infine e particolarmente, secondo la forma della donazione con riserva di disporre, disciplinata dall’art. 790 cod. civ. (poiché in esso è prevista solo la possibilità per il donante di riservarsi qualche bene o di disporre di una determinata somma, non quella di dedurre una prestazione non pecuniaria condizionata alla mera potestà del donante stesso), con la conseguenza che, anche per il carattere eccezionale del citato art. 790, preclusivo di una interpretazione analogica (art. 14 disp. prel. cod. civ.), il notaio dovrebbe rifiutare il rogito dell’atto di donazione configurato dalle parti, in quanto non riconducibile ad alcuna disposizione di legge;

che, appunto per l’anzidetta ritenuta impossibilità di formare un atto di donazione dal contenuto pienamente conforme alla volontà in concreto manifestata dalle parti, il notaio prospetta l’illegittimità costituzionale dell’art. 790 cod. civ. (a) per violazione del principio di uguaglianza e ragionevolezza (art. 3 della Costituzione) e (b) per contrasto con la tutela dell’autonomia privata, in materia patrimoniale (art. 41 della Costituzione) e in materia non patrimoniale (art. 2 della Costituzione), giacché non sussisterebbe "alcuna plausibile ragione" per non consentire il perfezionamento di una donazione con riserva della facoltà di disporre nei termini sopra esposti;

che nell’atto di rimessione il notaio esamina quindi il profilo relativo alla propria legittimazione a sollevare la questione di costituzionalità, osservando in primo luogo come a ciò legittimati non siano soltanto i giudici facenti parte dell’ordine giudiziario, ma anche altri soggetti, che l’ordinamento individua per demandare loro "l’esercizio di funzioni giudicanti per l’obiettiva applicazione della legge" e che a tale scopo sono posti in posizione di terzietà, quali titolari di un controllo super partes "a tutela del solo diritto oggettivo" e a garanzia del principio di effettività della Costituzione;

  che la stessa esigenza si manifesterebbe, secondo il rimettente, in relazione all’attività di documentazione a mezzo di atto pubblico notarile dei negozi tra privati, poiché questi ultimi, non essendo ancora insorta tra loro alcuna controversia, non avrebbero altro modo per far eliminare dall’ordinamento la norma sospettata di incostituzionalità, se non denunciare, per omissione o rifiuto di atti d’ufficio (art. 328 cod. pen.), il notaio che abbia rifiutato il rogito dell’atto non conforme alla legge, ovvero provocare un procedimento disciplinare a carico dello stesso notaio (con esiti, in ogni caso, assai problematici, poiché il rifiuto del notaio non potrebbe certo dirsi ingiustificato, essendo basato su una disposizione legislativa, benché incostituzionale); mentre, per altro verso, non appare neppure praticabile la via della proposizione della questione nell’ambito di un eventuale procedimento disciplinare a carico del notaio che abbia effettuato il rogito contra legem, richiedendosi al notaio di correre un rischio obiettivamente eccessivo;

  che, sotto altro profilo, il rimettente reputa, da un lato, che l’art. 23 della legge (ordinaria) 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), con il richiedere che la questione sia proposta "nel corso di un giudizio dinanzi ad una autorità giurisdizionale", abbia "eluso" la riserva di legge costituzionale di cui all’art. 137, primo comma, della Costituzione, che non porrebbe alcuna limitazione in ordine ai soggetti legittimati a sollevarla e che rinvia a una legge costituzionale per "le condizioni, le forme, i termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale", dall’altro che non sarebbe sufficiente a "decostituzionalizzare" la materia il rinvio che alla legge ordinaria viene fatto dalla "scarna formula" dell’art. 1 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 (Norme integrative della Costituzione concernenti la Corte costituzionale), secondo cui "la Corte costituzionale esercita le sue funzioni nelle forme, nei limiti ed alle condizioni di cui alla Carta costituzionale, alla legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, ed alla legge ordinaria emanata per la prima attuazione delle predette norme costituzionali";

  che il notaio rimettente sostiene poi la propria legittimazione a sollevare la questione anche alla stregua della giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 226 del 1976 e n. 376 del 2001) che ha reputato sufficiente, a tal fine, il fatto che l’organo eserciti obiettivamente funzioni giudicanti, o a queste analoghe, dirette all’applicazione obiettiva della legge nel caso concreto, in una posizione super partes, anche se si tratti di organo estraneo all’organizzazione della giurisdizione, e ciò in vista della duplice esigenza, per un verso, di evitare che dalle distinzioni, spesso incerte, tra le diverse categorie di "giudizio" si possa trarre la grave conseguenza dell’incertezza del diritto come dubbio di incostituzionalità (e a tale riguardo è richiamata la sentenza n. 129 del 1957), e, per l’altro, di garantire comunque l’osservanza della Costituzione, in un sistema in cui è precluso sia di disapplicare le leggi (incostituzionali) sia di definire il giudizio applicando leggi di dubbia costituzionalità;

  che pertanto, sotto questo aspetto, la funzione notarile, pur se non qualificabile come giurisdizionale in senso proprio – perché priva di "quei poteri irrefragabili di cui è investito il giudice e che costituiscono l’essenza della giurisdizione" – avrebbe, secondo il rimettente, una "profonda essenza giurisdizionale", per i seguenti, concorrenti, motivi: (a) in quanto il notaio è tenuto a un controllo di liceità ("giudizio giuridico") del regolamento negoziale, al fine di prevenire la lite giudiziaria, svolgendo un compito talora definito in dottrina come "antiprocessuale" ovvero di "tutela stragiudiziale dei diritti soggettivi in formazione"; (b) in quanto a diversi atti notarili è attribuita efficacia di titolo esecutivo (art. 474 cod. proc. civ.) o probatoria privilegiata (art. 2700 cod. civ., per gli atti pubblici), "simile" a quella del giudicato che caratterizza le decisioni della giurisdizione; (c) in quanto il notaio si trova in posizione di terzietà, data anche l’analogia tra l’art. 28 della legge notarile 16 febbraio 1913, n. 89, e l’art. 51 cod. proc. civ.; (d) in quanto al notaio sono affidati compiti già in precedenza attribuiti al giudice, ad esempio in materia di esecuzione immobiliare forzata e di omologazione di atti societari; (e) in quanto il notaio soddisfa pienamente, "anche più del giudice", l’esigenza che il sindacato di costituzionalità si applichi in relazione a concrete situazioni di fatto, giacché esso è chiamato a indagare sulla volontà delle parti (art. 47 della legge n. 89 del 1913); (f) infine, in quanto la funzione notarile si manifesta attraverso un "procedimento" (di cui il processo costituisce una species), inteso come sequenza di norme, posizioni soggettive ed atti, a partire da un impulso di parte, seguito da una "istruttoria notarile", sino a una "decisione" finale costituita dal rogito – o dal rifiuto di rogito – dell’atto, secondo uno schema che evocherebbe la sequenza propria del processo civile ordinario di cognizione (domanda, istruzione, decisione della causa);

  che nel giudizio così promosso è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha dedotto in via preliminare il difetto dei requisiti prescritti dall’art. 23 della legge n. 87 del 1953, osservando che il notaio non è chiamato a risolvere una controversia – ciò che costituisce il proprium della giurisdizione, anche secondo la sentenza n. 376 del 2001 evocata dal rimettente – bensì è tenuto solo a raccogliere la volontà delle parti e a trasfonderla nell’atto da rogare, che rimane atto negoziale di volontà e non si trasforma in atto accertativo di giudizio, concludendo per la "assoluta e manifesta inammissibilità" della questione e comunque, nel merito, per l’infondatezza della stessa;

  che le parti dell’atto oggetto del rogito (donante e donatario) hanno depositato atto di costituzione nel presente giudizio in data 11 settembre 2002, oltre il termine previsto dagli artt. 25 della legge n. 87 del 1953 e 3 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Considerato che è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 790 del codice civile, nella parte in cui non prevede la possibilità per il donante di riservarsi la costituzione a proprio favore di una prestazione non pecuniaria di assistenza morale e materiale per la soddisfazione di ogni esigenza di vita, a carico del donatario, tale da non assorbire l’intero valore del bene donato, per violazione degli artt. 2, 3 e 41 della Costituzione;

che tale questione è stata proposta da un notaio chiamato a redigere un atto pubblico di donazione, a norma dell’art. 782 cod. civ.;

che il soggetto rimettente svolge numerosi argomenti a favore della propria legittimazione a sollevare questione incidentale di legittimità costituzionale, in applicazione degli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 (Norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle garanzie d’indipendenza della Corte costituzionale), e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale);

che tali argomenti, sviluppati anche alla stregua di affermazioni contenute nelle sentenze n. 226 del 1976 e n. 376 del 2001 di questa Corte, ad avviso del rimettente mostrerebbero l’assimilabilità (a) del notaio rogante al giudice o all’autorità giurisdizionale, (b) del procedimento di formazione dell’atto notarile al processo e (c) della funzione del notaio, in sede di formazione del rogito, alla funzione giurisdizionale, con ciò dovendosi ritenere adempiute le condizioni che le due citate disposizioni di legge costituzionale e di legge ordinaria prevedono ai fini della valida instaurazione del giudizio incidentale di legittimità costituzionale sulle leggi;

che, in contrario senso, vale la considerazione che nella funzione notarile, come disciplinata dall’art. 1 della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Ordinamento del notariato e degli archivi notarili), consistente essenzialmente nel "ricevere gli atti tra vivi e di ultima volontà, attribuire loro pubblica fede, conservarne il deposito, rilasciarne le copie, i certificati e gli estratti", è assente quella connotazione decisoria che, anche secondo la giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 387 del 1996, n. 158 del 1995, n. 492 del 1991, n. 17 del 1980, n. 12 del 1971, n. 114 del 1970; ordinanza n. 104 del 1998), è condizione necessaria, pur se non sufficiente, per riconoscere la natura giurisdizionale della funzione ed ammettere quindi la proposizione della questione incidentale di legittimità costituzionale;

che, ai fini della pretesa qualificazione giuridica della funzione notarile come decisoria, non rileva la circostanza che il notaio abbia da "decidere" se procedere o non procedere al rogito di un atto, a seconda che ciò gli sia consentito ovvero precluso da norme di legge, trattandosi – in tal caso – di una normale valutazione circa la legittimità della prestazione che gli è richiesta e non del contenuto della funzione medesima;

che l’impossibilità di ricondurre la funzione notarile alla giurisdizione è di per sé ragione sufficiente di inammissibilità della questione, ciò che rende superfluo l’esame degli argomenti prospettati per sostenerne l’ammissibilità sotto il profilo soggettivo — l’assimilabilità del notaio al giudice — e oggettivo — l’assimilabilità del "procedimento" che si svolge di fronte al notaio al giudizio dinanzi ad un’autorità giurisdizionale — secondo le citate norme di legge costituzionale e ordinaria che regolano l’instaurazione del giudizio incidentale sulla costituzionalità delle leggi;

che le considerazioni del notaio rimettente circa la difficoltà in cui verserebbe il soggetto privato, interessato ad adire la Corte costituzionale per sottoporre a essa il dubbio di costituzionalità su norme limitative dell’autonomia negoziale, quando – come nella specie – sia previsto a pena di nullità che l’atto sia ricevuto in forma pubblica dal notaio, si risolvono in critiche di merito alla scelta contenuta nell’art. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948, che ha escluso l’azione diretta d’incostituzionalità;

che la questione deve pertanto essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 790 del codice civile, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 41 della Costituzione, dal notaio di Giulianova, con l’atto indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY,Redattore

Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2003.