Ordinanza n. 1/2003

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ORDINANZA N. 1

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA                    

- Carlo MEZZANOTTE                     

- Fernanda CONTRI               

- Guido NEPPI MODONA                

- Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Annibale MARINI               

- Franco BILE             

- Giovanni Maria FLICK                    

- Francesco AMIRANTE                   

- Ugo DE SIERVO                            

- Romano VACCARELLA                           

- Paolo MADDALENA                     

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 126, comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come modificato dall’art. 19, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio ai sensi dell’art. 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205), e dell’art. 214, commi 1, 1-bis, 2 e 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promossi con ordinanze emesse il 26 giugno 2001 dal Giudice di pace di Bologna, il 7 dicembre 2001 dal Giudice di pace di Morbegno e il 25 gennaio 2002 dal Giudice di pace di Borgomanero, iscritte al n. 877 del registro ordinanze 2001 ed ai nn. 142 e 158 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2001 e nn. 14 e 16, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visti gli atti di intervento del presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 ottobre 2002 il Giudice relatore Fernanda Contri.

Ritenuto che il Giudice di pace di Bologna ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 126, comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come modificato dall’art. 19, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio ai sensi dell’art. 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205), e dell’art. 214, commi 2 e 6, dello stesso codice;

che il giudice rimettente, investito di un giudizio di opposizione avverso un provvedimento di fermo amministrativo di un veicolo, alla cui guida il ricorrente era stato colto con patente scaduta di validità, ha disposto, col decreto di fissazione dell'udienza, la restituzione del mezzo;

che ad avviso del rimettente l'art. 126, comma 7, del codice della strada, si pone in contrasto col principio di eguaglianza, posto che per chi viola l'art. 128 dello stesso codice – conducendo un veicolo senza essersi sottoposto agli esami ed accertamenti disposti dall'autorità competente, ovvero essendo stato dichiarato inidoneo alla guida - la legge irroga una sanzione pecuniaria inferiore, nel minimo e nel massimo, a quella prevista dalla disposizione censurata, e non prevede il fermo amministrativo del mezzo quale sanzione amministrativa accessoria;

che, secondo il giudice a quo, la disposizione impugnata è censurabile sotto il profilo della "illogicità, ragionevolezza e proporzionalità delle misure sanzionatorie", poiché per un fatto colposo, quale è quello di porsi alla guida con la patente scaduta, vengono comminate sanzioni più afflittive di quelle previste per chi si mette alla guida nonostante sia stato dichiarato inidoneo alla stessa e perché la sanzione accessoria del ritiro della patente perdura sino alla regolarizzazione della stessa, mentre il fermo del veicolo è previsto in misura fissa;

che, come osserva il rimettente, anche l'art. 214, comma 6, del codice della strada si pone in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., perché impedisce al giudice di disporre la restituzione del veicolo sottoposto a fermo se non dopo il rigetto dell'opposizione, ciò che pone nel nulla il diritto di difesa del cittadino, e perché la restituzione non può avvenire prima del termine di sessanta giorni, in applicazione dell'art. 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale);

che, sempre secondo il rimettente, anche l'art. 214, comma 2, del codice della strada - che in caso di fermo amministrativo del veicolo prevede il pagamento delle spese di custodia ma non l'obbligo, da parte dell'organo che procede all’accertamento, di indicare le tariffe di liquidazione delle stesse – viola gli artt. 24 e 97 Cost., dal momento che non rispetta "il principio di tassatività della sanzione";

che è intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo alla Corte di dichiarare l'inammissibilità e l’infondatezza delle questioni sollevate;

che, ad avviso della difesa erariale, la questione è manifestamente infondata perché la Corte ha già affermato che non spetta alla stessa rimodulare le scelte punitive del legislatore né stabilire la quantificazione delle sanzioni, e perché il richiamo all'art. 128 cod. strada è non pertinente, trattandosi di fattispecie non omogenea, ed infine perché il fatto che il pagamento della sanzione pecuniaria principale e l'assolvimento degli adempimenti necessari al rinnovo della patente non comportino il venir meno del fermo del veicolo non viola i principi dell'art. 3 Cost.;

che, sempre secondo l'Avvocatura, la questione sollevata in ordine al comma 6 dell'art. 214 non ha rilevanza nel giudizio a quo, avendo il rimettente disposto la restituzione del veicolo, mentre per la questione concernente il comma 2 dello stesso articolo risulta dalla stessa ordinanza di rimessione che nessuna contestazione è stata sollevata riguardo alla liquidazione delle spese di custodia;

che il Giudice di pace di Morbegno ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 214, commi 1 e 1-bis, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, per disparità di trattamento fra il destinatario di tali disposizioni, cui incombe l’onere della prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà, e il destinatario dell’art. 213, comma 6, del medesimo decreto legislativo, che deve solo documentare l’appartenenza del veicolo a persona estranea alla violazione amministrativa per non vedersi applicata la sanzione della confisca;

che il giudice a quo, investito di un giudizio di opposizione alla sanzione accessoria del fermo del veicolo per violazione dell’art. 126, comma 7, del d. lgs. n. 285 del 1992, si limita ad enunciare, nella motivazione dell’ordinanza di rimessione, detta supposta disparità di trattamento, specificando soltanto le ragioni per cui ai ricorrenti necessitano i veicoli sottoposti a fermo;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la inammissibilità o comunque per l’infondatezza della questione, in quanto posta in termini di mera ricezione delle prospettazioni delle parti private, con affermazione apodittica della rilevanza e della non manifesta infondatezza della stessa, senza alcuna specificazione degli elementi della fattispecie;

che secondo l’Avvocatura la questione sarebbe comunque infondata, non essendo possibile la comparazione tra confisca e fermo amministrativo, anche in relazione ai diversi presupposti per l’adozione dell’una o dell’altra misura;

che il Giudice di pace di Borgomanero ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 126, comma 7, e 214, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), "come modificati, rispettivamente, dagli artt. 19 e 23 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507", in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.;

che il rimettente è investito dell’esame di un ricorso presentato dal proprietario di un veicolo avverso il provvedimento di fermo amministrativo dello stesso, per avere egli guidato il mezzo con patente scaduta di validità;

che il giudice a quo, quanto alle censure relative all'art. 214 del codice della strada, osserva che è evidente l’assoluta oscurità ed illogicità della norma e il suo intento di disincentivare il ricorso del cittadino alla tutela giurisdizionale, in aperto contrasto con l'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione;

che è intervenuto anche in questo giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la manifesta inammissibilità e la manifesta infondatezza della questione, in quanto le censure appaiono prive di qualsiasi motivazione in ordine ai parametri invocati.

Considerato che i giudici rimettenti, pur impugnando diverse disposizioni, censurano norme del codice della strada relative al fermo amministrativo di veicolo condotto da soggetto munito di patente scaduta di validità, e che per questa ragione le questioni possono essere riunite per essere decise con unico provvedimento;

che la questione sollevata dal Giudice di pace di Bologna riguardo all’art. 126, comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come modificato dal decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio ai sensi dell’art. 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205), è manifestamente infondata;

che, quanto alla censura relativa alla violazione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, questa Corte ha già affermato (ordinanza n. 136 del 2002) che "nessuna comparazione può essere fatta, ai fini dello scrutinio di legittimità costituzionale della disposizione impugnata, fra le sanzioni stabilite per la guida con patente scaduta di validità" e quella di cui all’art. 128 cod. strada, "trattandosi di condotte diverse per le quali la legge prevede, ragionevolmente, conseguenze diverse";

che, sotto il profilo della ragionevolezza e proporzionalità della sanzione, questa Corte ha più volte ribadito che "la determinazione delle condotte punibili e delle relative sanzioni, siano esse penali o amministrative, rientra nella più ampia discrezionalità legislativa, non spettando alla Corte rimodulare le scelte punitive del legislatore né stabilire la quantificazione delle sanzioni" (ordinanza n. 33 del 2001);

che le censure svolte dal Giudice di pace di Bologna riguardo all’art. 214, commi 2 e 6, del codice della strada sono manifestamente inammissibili, risultando dalla stessa ordinanza di rimessione che il giudice a quo ha già provveduto alla restituzione del veicolo sottoposto a fermo amministrativo e che nessuna questione è stata sollevata in giudizio in ordine alle spese di custodia dello stesso;

che le ordinanze di rimessione dei Giudici di pace di Morbegno e di Borgomanero risultano prive di una idonea descrizione degli elementi essenziali dei giudizi a quibus, nonché della dovuta motivazione in ordine alla rilevanza delle questioni ed ai parametri costituzionali, che risultano quindi solo apoditticamente invocati;

che tali ordinanze non sono quindi idonee a dare valido ingresso al giudizio di legittimità costituzionale (ex plurimis: ordinanze n. 280 del 2002, n. 205 del 2002, n. 43 del 2002, n. 43 del 2001) e che le relative questioni devono essere dichiarate manifestamente inammissibili.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 126, comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come modificato dall’art. 19, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio ai sensi dell’art. 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice di pace di Bologna con l’ordinanza in epigrafe;

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 214, commi 1, 1-bis, 2 e 6 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, dai Giudici di pace di Bologna, Morbegno e di Borgomanero con le ordinanze in epigrafe;

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 126, comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, come modificato dall’art. 19, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice di pace di Borgomanero con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 15 gennaio 2003.