ORDINANZA N.426
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Cesare RUPERTO Presidente
- Riccardo CHIEPPA Giudice
- Gustavo ZAGREBELSKY "
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, 3, lettera c) [recte: 3, comma 1, lettera c)], 8 e 16 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), promosso con ordinanza emessa il 26 ottobre 2000 dalla Commissione tributaria provinciale di Torino sul ricorso proposto da Comba Franco contro l’Ufficio delle entrate di Torino 2, iscritta al n. 927 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 25 settembre 2002 il Giudice relatore Annibale Marini.
Ritenuto che la Commissione tributaria provinciale di Torino, con ordinanza emessa il 26 ottobre 2000 e depositata il 30 novembre 2000, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 53 e 76 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, 3, lettera c) [recte: 3, comma 1, lettera c)], 8 e 16 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali);
che il rimettente - muovendo dalla premessa che il presupposto giuridico dell’IRAP è rappresentato (art. 2) dall’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione ed allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi - assume che l’art. 3, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 446 del 1997, assoggettando all’imposta, così come gli imprenditori, anche i liberi professionisti, la cui attività è normalmente priva di autonoma organizzazione, violerebbe i principi di capacità contributiva e di eguaglianza;
che parimenti lesivi del principio di eguaglianza sarebbero inoltre l’art. 1 del decreto legislativo, nella parte in cui non consente la deduzione dell’IRAP dalla base imponibile dell’imposta sui redditi, e l’art. 16, laddove determina l’aliquota nella misura invariabile del 4,25%, sia per gli imprenditori che per i professionisti;
che le norme denunciate violerebbero tutte, infine, l’art. 76 della Costituzione, ponendosi in contrasto tanto con il criterio direttivo rappresentato dalla riduzione del prelievo complessivo sui redditi di lavoro autonomo e d’impresa quanto con quello secondo cui il legislatore delegato avrebbe dovuto disciplinare la nuova imposta applicandola solo all’esercizio di attività organizzate;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di manifesta infondatezza delle questioni, in quanto identiche ad altre già dichiarate non fondate con sentenza n. 156 del 2001.
Considerato che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), nella parte in cui prevede l’indeducibilità dell’IRAP dalla base imponibile delle imposte sui redditi, è manifestamente inammissibile, trattandosi di questione attinente al regime giuridico ed alla fase applicativa delle imposte sui redditi e perciò irrilevante nel giudizio a quo, avente ad oggetto una controversia in tema di rimborso dell’acconto IRAP (sentenza n. 156 del 2001, ordinanze n. 103 del 2002 e n. 286 del 2001);
che le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, lettera c), e 8 del medesimo decreto legislativo, sollevate in riferimento agli artt. 3, 53 e 76 della Costituzione, sono in tutto identiche a quelle già dichiarate non fondate con sentenza n. 156 del 2001 e manifestamente infondate con ordinanze n. 103 del 2002 e n. 286 del 2001;
che in tali pronunce si osserva che le norme denunciate, nell’individuare, non irragionevolmente, quale indice di capacità contributiva il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate, non si pongono in contrasto con l’art. 53 della Costituzione, alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte "secondo la quale rientra nella discrezionalità del legislatore, con il solo limite della non arbitrarietà, la determinazione dei singoli fatti espressivi della capacità contributiva che, quale idoneità del soggetto all’obbligazione di imposta, può essere desunta da qualsiasi indice che sia rivelatore di ricchezza e non solamente dal reddito individuale (sentenze n. 111 del 1997, n. 21 del 1996, n. 143 del 1995, n. 159 del 1985)";
che è altresì "pienamente conforme ai principi di eguaglianza e di capacità contributiva" l’assoggettamento all’imposta in esame del valore aggiunto prodotto da ogni tipo di attività autonomamente organizzata, sia essa di carattere imprenditoriale o professionale, "identica essendo, in entrambi i casi, l’idoneità alla contribuzione ricollegabile alla nuova ricchezza prodotta";
che l’assunto secondo cui l’onere derivante dall’IRAP sia, per i lavoratori autonomi, maggiore di quello da cui erano precedentemente gravati per effetto dei tributi e contributi soppressi dall’art. 36 del decreto legislativo è del tutto indimostrato e lo stesso rimettente lo formula del resto in via dubitativa;
che le questioni vanno perciò dichiarate manifestamente infondate;
che sulla base delle medesime considerazioni sin qui svolte risulta altresì manifesta l’infondatezza anche della questione di legittimità costituzionale dell’art. 16 del decreto legislativo n. 446 del 1997, nella parte in cui fissa in via generale l’aliquota, per tutti i soggetti passivi, nella misura del 4,25%;
che, infatti, se l’idoneità alla contribuzione ricollegabile alla nuova ricchezza prodotta è identica per tutte le forme di attività autonomamente organizzata, siano esse di tipo imprenditoriale o professionale, ne discende che la sottoposizione di tutti i soggetti passivi alla medesima aliquota non contrasta né con il principio di eguaglianza né con quello di capacità contributiva;
che – per quanto riguarda infine il parametro di cui all’art. 76 della Costituzione - l’affermazione secondo la quale la misura dell’aliquota sarebbe tale da violare il criterio direttivo rappresentato dalla riduzione del prelievo complessivo sui redditi di lavoro autonomo e d’impresa è, ancora una volta, del tutto apodittica ed indimostrata e non tiene conto, in ogni caso, del fatto che la stessa legge di delega prevedeva che l’aliquota base dell’imposta fosse inizialmente fissata "in una misura compresa fra il 3,5 ed il 4,5 per cento" (art. 3, comma 144, lettera e), della legge 23 dicembre 1996, n. 662).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 53 e 76 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Torino con l’ordinanza in epigrafe;
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, lettera c), 8 e 16 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 53 e 76 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Torino con la medesima ordinanza.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 ottobre 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Annibale MARINI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 18 ottobre 2002.