Ordinanza n. 415/2002

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ORDINANZA N. 415

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare                         RUPERTO                       Presidente

- Massimo                     VARI                                Giudice

- Riccardo                     CHIEPPA                              "

- Gustavo                      ZAGREBELSKY                 "

- Valerio                        ONIDA                                  "

- Carlo                           MEZZANOTTE                    "

- Fernanda                     CONTRI                                "

- Guido                          NEPPI MODONA                "

- Piero Alberto              CAPOTOSTI                         "

- Annibale                     MARINI                                "

- Franco                         BILE                                      "

- Giovanni Maria          FLICK                                   "

- Francesco                    AMIRANTE                          "         

- Ugo                             DE SIERVO                          "         

- Romano                      VACCARELLA                   "         

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 34, comma 2, e 35, commi 3 e 6, della legge 31 dicembre 1998, n. 476 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L'Aja il 29 maggio 1993. Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in tema di adozione di minori stranieri) [recte: degli artt. 34, comma 2, e 35, commi 3 e 6, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), così come modificati dalla legge 31 dicembre 1998, n. 476 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L'Aja il 29 maggio 1993. Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in tema di adozione di minori stranieri)], promossi con ordinanze emesse il 30 maggio (n. 4 ordinanze), il 18 luglio (n. 3 ordinanze), il 25 luglio (n. 4 ordinanze), il 18 luglio, il 25 luglio (n. 7 ordinanze) e il 18 luglio 2001 dal Tribunale per i minorenni dell’Aquila rispettivamente iscritte ai nn. 647, 648, 649, 698, 794, 795, 796, 797, 867, 868, 869, 870, 918, 919, 920, 921, 922, 923, 924, e 925 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 36, 38, 40, 43 e 46, prima serie speciale, dell’anno 2001.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 aprile 2002 il Giudice relatore Fernanda Contri.

Ritenuto che il Tribunale per i minorenni dell’Aquila, con venti ordinanze di identico contenuto, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 34, comma 2, e 35, commi 3 e 6, della legge 31 dicembre 1998, n. 476 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L'Aja il 29 maggio 1993. Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in tema di adozione di minori stranieri), nella parte in cui non prevedono, per l’adozione internazionale, l’affido preadottivo del minore per la durata di un anno quale principio fondamentale del diritto italiano di famiglia e dei minori;

che il giudice rimettente è investito dell’esame di domande di genitori adottivi volte ad ottenere la trascrizione nei registri dello stato civile di provvedimenti stranieri di adozione di minori, pronunciati dalle autorità dei Paesi di provenienza degli stessi;

che, quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo osserva che, solo qualora si ritenga che l’affido preadottivo non costituisca un principio fondamentale del nostro diritto, il tribunale può ordinare la trascrizione del provvedimento straniero di adozione perché, in caso contrario, il giudice dovrebbe "continuare a manipolare il provvedimento straniero, riconoscendolo efficace come affidamento preadottivo";

che il rimettente rileva come la legge n. 476 del 1998 abbia profondamente innovato la materia dell'adozione internazionale, prevedendo il riconoscimento diretto dei provvedimenti stranieri che, nella disciplina originaria della legge n. 184 del 1983, non avevano efficacia nel nostro ordinamento, ma costituivano il presupposto di fatto del provvedimento del giudice italiano all'esito del periodo di affidamento preadottivo prescritto dalla legge;

che, secondo il giudice a quo, essendo controverso se il provvedimento straniero abbia o meno efficacia automatica in Italia ai sensi degli artt. 64, 65 e segg. della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), non può essere sostenuta la tesi dell’efficacia diretta dal momento che la legge impone al tribunale di verificare la sussistenza delle condizioni previste dall’art. 4 della Convenzione dell’Aia e di accertare che l’adozione non sia contraria ai principi fondamentali che regolano in Italia il diritto di famiglia e dei minori, con un controllo effettivo e non solo formale;

che, secondo il giudice a quo, non avendo il provvedimento di adozione straniero efficacia automatica, resta da chiedersi se, fra i principi fondamentali che regolano il diritto di famiglia e dei minori italiano, sia da ricomprendere anche l’anno di affidamento preadottivo del minore, previsto ora solo per la adozione nazionale;

che, ad avviso del collegio rimettente, scopo dell'affidamento preadottivo è quello di verificare in concreto il buon esito dell’inserimento del minore nella famiglia adottiva, al fine di consentire la successiva emissione del provvedimento adottivo vero e proprio, verifica necessaria per ogni adozione legittimante, nazionale o internazionale, ed ancor più indispensabile per l’adozione di un minore di "diversa etnia, dalle diverse caratteristiche somatiche e biopsichiche", che vive l’avulsione dal suo ambiente e il traumatico inserimento in un contesto sociale completamente nuovo e diverso per lingua, costumi, tradizioni;

che, secondo il Tribunale per i minorenni dell’Aquila, la scelta del legislatore di non prevedere un periodo di affidamento preadottivo per l’adozione internazionale sarebbe quindi "illogica ed assurda", introdurrebbe una "disarmonia nel sistema" e produrrebbe "un’odiosa e perniciosa" discriminazione a danno del minore straniero adottabile rispetto a quello italiano;

che il legislatore si sarebbe reso conto di tali disarmonie ed avrebbe perciò previsto (art. 34, comma 2, legge cit.) l'assistenza da parte dei servizi degli enti locali e degli enti autorizzati, per almeno un anno, a favore degli affidatari, dei genitori adottivi e dei minori, assistenza che, venendo però prestata solo se richiesta dagli interessati, non equivale ad un affidamento preadottivo e che non presenta alcuna utilità dopo che l’adozione avvenuta all’estero viene trascritta sui registri dello stato civile, atto quest’ultimo che, ai sensi dell’art. 27 della legge, rende il minore figlio legittimo, a tutti gli effetti, della coppia adottante;

che quest’ultima circostanza, sempre secondo il giudice a quo, rende impossibile, in caso di fallimento dell’adozione, procedere ad un nuovo affidamento preadottivo e costringe il tribunale ad iniziare la più complessa procedura per la dichiarazione dello stato di adottabilità, solo in esito alla quale sono possibili nuovi affidamenti preadottivi;

che, quanto alla previsione dell’art. 35, comma 6, lettera e), della legge - che dispone che il tribunale per i minorenni non può ordinare la trascrizione del provvedimento quando l’inserimento del minore nella famiglia adottiva si è manifestato contrario al suo interesse - si tratterebbe di una disposizione priva di effetto pratico, dal momento che, avendo il legislatore scelto di non prevedere l’affidamento preadottivo di un anno, il giudice non potrebbe rifiutare la trascrizione del provvedimento straniero nei registri dello stato civile quando vi sia (come nei casi all’esame del Tribunale per i minorenni dell’Aquila) richiesta di immediata trascrizione da parte degli interessati;

che secondo il giudice a quo non può sostenersi che l’adozione nazionale e quella internazionale riguardano situazioni diverse, dal momento che la situazione di fatto (difficoltà di inserimento di un minore adottabile in una famiglia estranea) è la stessa nei due modelli di adozione;

che, pur considerando che la Corte, con l’ordinanza n. 192 del 2001, ha affermato che rientra nella discrezionalità del legislatore la possibilità di disciplinare diversamente i procedimenti di adozione, nazionale ed internazionale, il rimettente ritiene che detto principio non sia invocabile nel caso di specie, atteso che il periodo di affidamento preadottivo di un anno è un requisito sostanziale, che costituisce un principio generale dell’ordinamento nazionale e non una disposizione di carattere processuale;

che sarebbe privo di pregio anche il rilievo che gli ordinamenti stranieri non prevedono, in genere, l’affidamento preadottivo, poiché per il riconoscimento del provvedimento straniero è sempre necessaria la non contrarietà dello stesso ai principi fondamentali del nostro ordinamento;

che il rimettente rileva che la disparità di trattamento appare ancor più "evidente, innegabile ed incomprensibile" quando si consideri che l’affidamento preadottivo è tuttora previsto, oltre che per le adozioni nazionali, anche per le adozioni internazionali di minori adottandi a norma dell’art. 37- bis della legge e per i minori stranieri trasferiti in Italia in forza di un provvedimento non di adozione ma di affidamento preadottivo, ai sensi dell’art. 35, comma 4, della legge;

che in tutti i giudizi di legittimità costituzionale è intervenuta, per il Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo alla Corte di voler dichiarare la questione infondata;

che secondo la difesa erariale, dopo l'emanazione della legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione dell'Aia del 29 maggio 1993, l'affidamento preadottivo non costituisce più un principio fondamentale del diritto di famiglia e dei minori dello Stato e neppure un principio di ordine pubblico internazionale, dal momento che gli ordinamenti stranieri non conoscono tale istituto;

che il legislatore, avendo inteso dare piena e puntuale attuazione alla Convenzione, ha previsto il riconoscimento diretto in Italia del provvedimento straniero, con gli stessi effetti che esso ha nello Stato di provenienza del minore, operando una scelta obbligata che, ove modificata, determinerebbe gravissime conseguenze nei rapporti con gli altri Stati contraenti e minerebbe la stessa coerenza del sistema convenzionale;

che l’Avvocatura ricorda poi come, prima della ratifica della Convenzione, alcuni Paesi non avessero mai disposto adozioni a favore di cittadini italiani proprio perché il provvedimento emesso all'estero non veniva riconosciuto automaticamente in Italia;

che ad avviso dell'Avvocatura non vi è alcuna disparità di trattamento fra minori adottati in Italia e all'estero, ma solamente una diversità della disciplina applicabile ai due casi, trovando fondamento, il riconoscimento del provvedimento emesso all'estero, anche nella legge 31 maggio 1995, n. 218, la quale, all'art. 66, prevede che i provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione siano riconosciuti senza ricorso ad alcun procedimento;

che il legislatore, avendo previsto una particolare procedura, comprendente due verifiche ad opera della Commissione per le adozioni internazionali, ha voluto evitare l'applicazione della disciplina generale di cui all'art. 67 della legge n. 218 del 1995 e la possibilità di una azione di contestazione, sine die, del provvedimento straniero mediante ricorso alla corte d'appello, ciò che avrebbe comportato rischi gravissimi derivanti da un possibile rifiuto tardivo del riconoscimento del provvedimento straniero di adozione;

che l'Avvocatura, ritenuto che il sistema delineato dal legislatore sia tale da corrispondere ad una adeguata difesa dell'interesse del minore adottato, sottolinea come il richiamo, nelle ordinanze di rimessione, all'art. 37-bis della legge risulti improprio, posto che il minore autorizzato dalla commissione all'ingresso nel territorio dello Stato non si trova in situazione di abbandono, ma è già stato adottato, è figlio di cittadini italiani - e cittadino egli stesso - per effetto di un regolare e definitivo provvedimento emesso dall'autorità straniera competente, mentre la sua situazione non è assimilabile a quella di un minore che si trovi in situazione di abbandono in Italia e allo stesso non può essere automaticamente esteso il periodo di affidamento preadottivo che nel nostro Paese è previsto per l'adottabile e non per l'adottato;

che, rileva sempre l'Avvocatura, la legge ha previsto, per la durata di un anno, una particolare forma di assistenza e vigilanza sulle condizioni dei minori adottati all'estero da parte dei servizi socio sanitari e dell'ente autorizzato che ha assistito la coppia i quali, anche quando non vi sia la richiesta dei genitori adottivi, devono riferire in ogni caso al tribunale per i minorenni, ciò che consente un eventuale intervento del giudice per i minori attraverso tutti gli strumenti previsti dalle norme vigenti, compresi quelli in materia di potestà e sino all’apertura di un nuovo procedimento di adozione;

che l'Avvocatura ritiene perciò che la posizione del minore adottato all'estero sia tutelata in misura più che adeguata, al pari di quella del minore adottato in Italia, e che in tale quadro la previsione di un periodo di affidamento preadottivo si porrebbe come una contraddizione in termini e come contraria ad un principio fondamentale di diritto internazionale privato, secondo il quale un atto o un provvedimento giurisdizionale ben può essere riconosciuto nell'ordinamento dello Stato e produrre gli effetti che legittimamente produce in quello di origine.

Considerato che le ordinanze di rimessione all'esame della Corte sono identiche nel loro contenuto e che tutti i giudizi di legittimità costituzionale possono quindi essere riuniti per essere decisi con un unico provvedimento;

che il Tribunale per i minorenni dell’Aquila dubita della legittimità costituzionale degli artt. 34, comma 2, e 35, commi 3 e 6, della legge 31 dicembre 1998, n. 476 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L'Aja il 29 maggio 1993. Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in tema di adozione di minori stranieri), nella parte in cui non prevedono, per l’adozione internazionale, l’affido preadottivo del minore per la durata di un anno quale principio fondamentale del diritto italiano di famiglia e dei minori, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, in relazione agli artt. 22, 23 e 25 e all’art. 33, commi 1 e 2, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia) ed agli artt. 37-bis e 35, comma 4, della stessa legge n. 476 del 1998, poiché creano un’irragionevole disparità di trattamento tra il minore adottato all'estero ed il minore adottato in Italia;

che le censure del rimettente, pur se letteralmente riferite a disposizioni della legge n. 476 del 1998, risultano in realtà appuntate contro i corrispondenti articoli della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), così come modificati o introdotti ex novo dall'art. 3 della legge citata, che ha autorizzato la ratifica della citata Convenzione;

che tale erronea indicazione delle disposizioni censurate non si risolve in un vizio delle ordinanze di rimessione, essendo le norme oggetto di censura agevolmente individuabili nel contesto della motivazione delle stesse;

che questa Corte, sin dalle prime pronunce riguardanti le norme sull'adozione internazionale disciplinata dalla legge n. 184 del 1983, ha sempre affermato che le due forme di adozione, nazionale ed internazionale, pur essendo entrambe preordinate alla tutela del minore in stato di abbandono ed avendo alcuni requisiti comuni, ben possono essere disciplinate dal legislatore in modo diverso (sentenza n. 536 del 1989; cfr. anche le sentenze n. 303 del 1996 e n. 10 del 1998, e da ultimo l'ordinanza n. 192 del 2001);

che, in particolare, la Corte ha affermato che le norme italiane sull'adozione internazionale devono tenere conto della necessità di favorire accordi tra gli Stati, volti alla creazione di una disciplina uniforme che consenta all'adozione di "operare con ampiezza", al fine di realizzare in concreto "obbiettivi di solidarietà e collaborazione" coi Paesi di provenienza dei minori che versano in condizioni di grave difficoltà (sentenza n. 536 del 1989);

che la Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L'Aja il 29 maggio 1993 e resa esecutiva in Italia con la legge n. 476 del 1998, sottoscritta e ratificata da un gran numero di Stati, costituisce un atto di diritto internazionale che intende raggiungere l'obbiettivo (auspicato da questa Corte con la sentenza n. 536 del 1989) di un diritto internazionale uniforme nell’ambito di equi rapporti in materia di adozione internazionale;

che la Convenzione citata, all'art. 24, prevede il principio del riconoscimento dei provvedimenti di adozione pronunciati dalle autorità dei Paesi di provenienza dei minori, da parte degli altri Stati contraenti - salvo il caso in cui l'adozione risulti contraria all'ordine pubblico interno e tenuto sempre conto del migliore interesse del minore - e il legislatore nazionale, ratificando la Convenzione con la legge n. 476 del 1998, ha recepito tale principio, innovando il procedimento col quale viene data esecuzione in Italia ai provvedimenti stranieri che, nel concorso di tutte le condizioni richieste, non necessitano di un ulteriore periodo di affidamento preadottivo in Italia;

che la legge di ratifica, in linea con le disposizioni convenzionali, ha comunque previsto che l'efficacia diretta nell'ordinamento interno dell'adozione pronunciata all'estero sia subordinata ad una serie di adempimenti e controlli - l'obbligo per i genitori adottivi, preventivamente dichiarati idonei, di rivolgersi esclusivamente ad uno degli enti autorizzati, la non contrarietà ai principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori, la certificazione di conformità dell'adozione alla Convenzione e l'autorizzazione all'ingresso ed alla permanenza del minore rilasciate dalla Commissione per le adozioni internazionali - tali da comportare una verifica, da parte del giudice italiano, effettiva e non limitata ad aspetti solamente formali, in ordine ai presupposti richiesti per il riconoscimento ed alla regolarità della procedura;

che nessuna disparità di trattamento sussiste perciò tra le norme relative al procedimento previsto per l'adozione nazionale e quelle che regolano il riconoscimento dell’adozione pronunciata all'estero, dovendosi ribadire, in linea con la giurisprudenza di questa Corte, che il legislatore ha ampia discrezionalità nel prevedere diverse forme per i diversi tipi di adozione;

che il minore adottato all’estero risulta comunque tutelato dalle disposizioni censurate dal tribunale per i minorenni rimettente, pur in assenza di un periodo di affidamento preadottivo in Italia, la cui previsione, del resto, verrebbe a porsi in insanabile contrasto con la Convenzione e con lo stesso sistema del diritto internazionale privato;

che nessuna norma costituzionale impone di riconoscere quale principio fondamentale del nostro diritto di famiglia e dei minori l’obbligatoria previsione di un periodo di affidamento preadottivo in Italia per il minore adottato all’estero;

che le questioni sollevate risultano perciò manifestamente infondate.

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 34, comma 2, e 35, commi 3 e 6, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), così come modificati dalla legge 31 dicembre 1998, n. 476 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L'Aja il 29 maggio 1993. Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in tema di adozione di minori stranieri), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale per i minorenni dell'Aquila con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 31 luglio 2002.