SENTENZA N.536
ANNO 1989
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Francesco SAJA, Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Prof. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 33 e 37 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 9 gennaio 1989 dal Tribunale per i minorenni di Roma nel procedimento di delibazione promosso da Marsili Pasquale ed altra, iscritta al n. 185 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell'anno 1989;
2) ordinanza emessa il 12 gennaio 1989 dal Tribunale per i minorenni di Roma nel procedimento di delibazione promosso da Fiacchi Alfredo ed altra, iscritta al n. 199 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1989.
Udito nella camera di consiglio del 25 ottobre 1989 il Giudice relatore Ugo Spagnoli.
Considerato in diritto
1. - Poiché le due ordinanze di rimessione hanno identico tenore, va disposta la riunione dei relativi procedimenti.
2. -All'esame delle questioni sollevate dal Tribunale dei minorenni di Roma va premessa una breve disamina - per la parte che qui interessa -della disciplina dell'adozione di minori stranieri, contenuta nel capo I del titolo III della legge 4 maggio 1983, n. 184, dedicato all'adozione internazionale.
La relativa procedura prevede innanzitutto che i coniugi italiani che intendono adottare un minore straniero devono previamente ottenere dal Tribunale dei minorenni competente una dichiarazione di idoneità all'adozione (art. 30), la quale presuppone che sia accertata nei loro confronti la sussistenza dei requisiti richiesti per gli adottanti ai fini dell'adozione nazionale (art. 6). Essi, una volta che abbiano ottenuto da un'autorità straniera un provvedimento di adozione o di affidamento preadottivo, ovvero <altro provvedimento in materia di tutela e degli altri istituti di protezione dei minori>-di cui l'autorità consolare attesti la conformità alla legislazione del Paese estero - possono far entrare il minore in Italia (art. 31). Il Tribunale dei minorenni, accertata la sussistenza dei predetti requisiti (dichiarazione di idoneità, conformità del provvedimento alla legislazione dello Stato che lo ha emesso) provvede (art. 32) a dichiarare l'efficacia in Italia di detto provvedimento <con gli effetti dell'adozione> legittimante di cui all'art. 27, sempreché ritenga che esso <non e contrario ai principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori> (art. 32, lettera c). Ciò, però, solo se risulta comprovata la sussistenza di un periodo di affidamento preadottivo di almeno un anno: altrimenti, il provvedimento e dichiarato efficace come affidamento preadottivo, e solo dopo il positivo decorso di tale periodo di esperimento viene pronunciata l'adozione legittimante (art. 33, primo e secondo comma).
Nell'ipotesi, poi, in cui il provvedimento straniero <non possa essere dichiarato efficace con gli effetti dell'adozione>, ovvero in caso di esito negativo dell'affidamento preadottivo, il minore straniero e considerato in stato di abbandono e si applica nei suoi confronti la legge italiana in materia di adozione, di affidamento e di provvedimenti necessari in caso di urgenza, dandone comunicazione, per il tramite del Ministero degli affari esteri, allo Stato di appartenenza del minore (art. 33, terzo comma, che richiama il successivo art. 37).
3. -Delle predette disposizioni, il Tribunale rimettente impugna da un lato l'art. 32, lettera c)-in riferimento agli artt. 2, 3 e 10, primo comma, Cost. -dall'altro l'art. 33, terzo comma, in collegamento con l'art. 37 da esso richiamato, in riferimento al medesimo art. 10. Motivando sulla rilevanza di quest'ultima impugnativa, il Tribunale afferma che essa sussisterebbe <nell'eventualità di non declaratoria di efficacia del provvedimento straniero e cioè di rigetto dell’istanza introduttiva del presente procedimento>. Ma proprio da siffatta prospettazione emerge all'evidenza che la questione e, viceversa, irrilevante. Essa, invero, é stata sollevata nell'ambito del procedimento per la declaratoria di efficacia del provvedimento straniero, che si conclude con una pronuncia di accoglimento o rigetto e rispetto al quale sono rilevanti solo le questioni concernenti le disposizioni che lo regolano. La norma impugnata, viceversa, si colloca in una fase procedimentale successiva, che - nel presupposto dello stato di abbandono conseguente al rigetto-si apre con la dichiarazione di adottabilità disciplinata negli artt. 8 e segg. Trattasi, quindi, di questione meramente eventuale-in quanto presuppone un'ipotetica pronuncia di rigetto - concernente una disposizione della quale può farsi applicazione nell'ambito di un procedimento diverso da quello in cui e stata sollevata.
Di conseguenza, essa va dichiarata inammissibile.
4. - L'art. 32, lettera c) e impugnato in quanto interpretato dalla Corte di cassazione nel senso che possono essere dichiarati efficaci, perché non contrari ai <principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori> i provvedimenti esteri di adozione ordinaria o consensuale di minori stranieri da parte di coniugi italiani.
Sotto un primo e più generale profilo, il Tribunale rimettente contesta la costruzione ermeneutica fatta propria dalla Corte di cassazione, secondo la quale la declaratoria di efficacia cui all'art . 32 non e assimilabile all'ordinaria delibazione disciplinata dagli artt. 797 e 801 del codice di procedura civile: e ciò perché al provvedimento straniero a contenuto adottivo non e attribuita l'efficacia che gli e propria nell'ordinamento del Paese in cui e stato emanato, ma esso e assunto solo come presupposto indispensabile per l'instaurazione di una procedura che sfocia in un'adozione (piena, e legittimante) interamente regolata dalla legge italiana. In ciò, il giudice a quo ravvisa una violazione dell'art. 10, primo comma, Cost., assumendo che sarebbe lesa la norma di diritto internazionale, universalmente riconosciuta, del rispetto della sovranità degli altri Stati: essa imporrebbe che le decisioni dei loro organi legittimi, se conformi ai principi del diritto interno - quali quelli di cui all'art. 32 lettera c)-siano recepite nella loro portata ed efficacia integrale, e non utilizzate <per quanto di opportunità>.
5. - La questione non é fondata.
Sul piano interpretativo, la suesposta tesi della Corte di cassazione -condivisa dalla giurisprudenza e dalla dottrina quasi unanime - non appare contestabile, dato che essa corrisponde ad un’inequivoca scelta legislativa.
Dettando l'organica regolamentazione contenuta nella legge n. 184, il legislatore del 1983 ha inteso far fronte alle discriminazioni in danno di minori stranieri ed ai fenomeni di introduzione di questi in modo irregolare e di elusione dalla legge (cfr. sentenza n. 214 del 1983) che la precedente disciplina si era rivelata inidonea a contenere, anche perché prevedeva in materia competenze e procedure diverse in relazione a diversi modelli di adozione.
Tale intervento legislativo era reso necessario dal crescente incremento delle adozioni di minori stranieri - soprattutto provenienti dai Paesi in via di sviluppo - che e poi proseguito fino ad attingere livelli pari o superiori a quelli dell'adozione nazionale.
Ispirandosi a criteri solidaristici ed equalitari, il legislatore ha inteso <realizzare al massimo, nella specialità della materia, la parità di garanzie per il minore straniero rispetto al minore cittadino italiano>> (Relazione al Senato sul testo predisposto in sede referente dalla Commissione giustizia), evitando in danno del primo discriminazioni ed abusi. E, coerentemente con la scelta in favore dell'adozione legittimante, ha inteso assicurare anche al minore straniero lo status di figlio legittimo della coppia italiana adottante e garantirgli il più possibile - pur nella specificità dell'adozione internazionale - l'inserimento in una famiglia sostitutiva che, anche a seguito di congrua sperimentazione, si riveli idonea alla sua educazione ed istruzione. Ciò ha comportato che si desse preminenza alla lex fori, assegnando alle disposizioni italiane il carattere di norme di applicazione necessaria.
Certo, la circostanza che al provvedimento straniero se ne sovrapponga un italiano che ne modifica gli effetti non può essere sottovalutata, specie ove si consideri che il passaggio da adozione ordinaria ad adozione legittimante comporta il mutamento di cognome del minore e, soprattutto, la cessazione dei suoi rapporti con la famiglia di origine. Ciò può indubbiamente dar luogo a seri inconvenienti sul piano delle relazioni internazionali, cui occorrerebbe tentare di porre rimedio - nella salvaguardia di irrinunziabili principi di rilievo costituzionale - anche con l'incentivazione di opportuni accordi.
Sul piano delle valutazioni di legittimità costituzionale, però, non va in primo luogo trascurato che la modificazione degli effetti presuppone pur sempre un provvedimento straniero a contenuto adottivo, che cioè comporti almeno - come ha chiarito la Corte di cassazione - il conferimento alla coppia italiana dei poteri- doveri che normalmente spettano ai genitori per un tempo potenzialmente indefinito ed esprima il consenso al trasferimento del minore al di fuori della comunità d'origine. Inoltre, e soprattutto, occorre - come si specificherà più oltre - che sussista uno stato di effettivo abbandono del minore straniero.
Sulla base di tali presupposti, la scelta legislativa in favore dell'adozione legittimante anche per il minore straniero si appalesa coerente con i principi costituzionali: sia perché risponde all'esigenza di favorire lo sviluppo della sua personalità (art. 2) e gli assicura parità di trattamento nei confronti del minore italiano (art. 3 Cost.); sia perchè-conforme mente alle direttive espresse negli artt. 30, secondo comma e 31, terzo comma, Cost.) - gli garantisce il diritto ad avere un'unica famiglia, ove risulti necessario sostituirne una nuova a quella di origine, e soddisfa il suo preminente interesse all'acquisizione dello status di figlio legittimo pleno iure (sentenza n. 197 del 1986). La prevalenza dell'interesse del minore - che questa Corte ha costantemente ribadito-comporta quindi che ad esso debba soggiacere quello dei genitori naturali, allorché sia loro venuta meno l'effettiva possibilità e capacita di assolvere i propri compiti (sentenza n. 11 del 1981). La necessità di rispettare tali principi costituisce il limite entro il quale il provvedimento straniero può produrre effetti nel nostro ordinamento e ne legittima quindi la modificazione necessaria ad adattarlo a tali principi.
Non può, d'altra parte, dirsi che vi sia una norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta che imponga, invece, che il provvedimento straniero sia rispettato nel suo integrale contenuto. Il giudice a quo ne afferma l'esistenza, ma senza fornire il benché minimo cenno di dimostrazione; né chiarisce in qual senso una siffatta norma deriverebbe dal principio della sovranità statuale, laddove é proprio su questo che in ultima analisi si fonda la legittimità dell'adattamento. D'altra parte, proprio nella materia del riconoscimento di sentenze straniere di adozione si riscontra una grande eterogeneità di soluzioni: la quale si collega alla varietà dei tipi e modelli di adozione presenti nei vari Paesi e dipende, in definitiva, dalla diffusa esigenza di assicurare il rispetto delle concezioni nazionali inerenti alla famiglia, che e all'origine, a sua volta, della constatata difficoltà di pervenire in tale campo ad ottenere ampie adesioni a convenzioni internazionali (come nel caso della Convenzione dell'Aja del 5 novembre 1965).
6.-Sotto altro e più complesso profilo, il Tribunale rimettente impugna l'art. 32, lettera c), in quanto, secondo l'interpretazione della Corte di cassazione, permette che siano ritenuti non contrari ai principi fondamentali del diritto di famiglia e dei minori, e perciò dichiarati efficaci, i provvedimenti stranieri fondati sul consenso dei genitori biologici all'adozione. Cosi intesa, la norma, secondo il Tribunale, confliggerebbe, innanzitutto, con l'art. 3 Cost. sotto il profilo del difetto di ragionevolezza, in quanto si porrebbe in contrasto con i principi informatori, le finalità ed i contenuti della stessa legge n. 184 del 1983: la quale avrebbe ripudiato, salvo ipotesi marginali, tale modello di adozione ad evitare un possibile <mercato> dei minori ed avrebbe fondato l'istituto sull'oggettivo accertamento dello stato di abbandono e sulla scelta giudiziale delle coppie idonee.
La norma confliggerebbe, inoltre, con l'art. 2 Cost., in quanto sarebbe violato il diritto dei minori stranieri a non essere oggetto di cessione ed a mantenere i legami con la famiglia di origine se non vi é un effettivo stato di abbandono; ciò che ridonderebbe in ulteriore violazione dell'art. 3 Cost., sotto il profilo dell'ingiustificata limitazione del favor minoris al solo minore di cittadinanza italiana.
L'art. 3, infine, sarebbe violato anche in ragione dell'ingiustificato privilegio accordato alle coppie italiane in grado di disporre delle somme necessarie per le adozioni consensuali di minori stranieri, in danno degli aspiranti all'adozione sprovvisti di tali mezzi.
7.-L'esame della prima delle censure prospettate, fondata sull'asserito contrasto tra i principi ispiratori della legge n. 184 e la declaratoria di efficacia di adozioni ispirate al modello consensuale, comporta innanzitutto che si accerti se la tesi della Corte di cassazione tradisca o meno le intenzioni del legislatore del 1983; così indirettamente violando il principio di ragionevolezza-inteso come coerenza intrinseca della legge- tratto dall'art. 3 Cost.
La risposta negativa a tale quesito si evince, non tanto dal fatto che il preesistente modello consensuale é stato in taluni casi particolari mantenuto per l'adozione nazionale (art. 44); quanto, piuttosto, dalla latitudine della formula usata nell'art. 31 per definire i provvedimenti stranieri a contenuto adottivo suscettibili di considerazione ai fini della declaratoria di efficacia in Italia (adozione, affidamento preadottivo, altro provvedimento in materia di tutela e degli altri istituti di protezione dei minori).
Tale formula, di per sé, é idonea a ricomprendere qualsiasi modello di adozione: la qual cosa é coerente con le esigenze che - a prescindere da ogni valutazione di merito - il legislatore ha indubbiamente inteso soddisfare. Data la varietà dei modelli di adozione accolti dalle diverse legislazioni e la molteplicità delle relative discipline, si é infatti voluto che l'adozione dei minori stranieri - nel rispetto di irrinunziabili garanzie e in presenza di provvedimenti a contenuto effettivamente adottivo - potesse operare con ampiezza; e ciò al fine di realizzare concreti obiettivi di solidarietà e di collaborazione, che l'adozione internazionale - ove rettamente intesa ed attuata - può conseguire specie rispetto alle situazioni di gravi difficoltà in cui versa parte della popolazione infantile in non pochi Paesi.
Non poteva ovviamente non tenersi conto, in quest'ottica, del fatto che il modello consensuale - o in via esclusiva, o in alternativa all'adozione legittimante - é senz'altro il più diffuso, anche nei Paesi europei: sicché il rifiutarlo a priori avrebbe significato contraddire alla predetta esigenza, rendendo praticamente inoperante l'adozione di minori stranieri. Del resto, se tale preclusione aprioristica fosse ipotizzabile, non si spiegherebbe la perdurante adesione dell'Italia alla Convenzione europea in materia di adozione dei minori (firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967 e ratificata con legge 22 maggio 1974, n. 357), che all'art. 5 prevede come obbligatorio il consenso dei genitori del minore e consente di prescinderne solo in casi eccezionali.
Tanto basta a mettere in rilievo la specificità dell'adozione internazionale, la cui disciplina non può perciò consistere in una mera trasposizione di quella dell'adozione nazionale: non a caso il legislatore richiede la conformità del provvedimento straniero ai <principi fondamentali>, e non alle norme in materia di famiglia e dei minori. La disposizione impugnata non può quindi dirsi in contrasto con i principi ispiratori della legge, dato che tra questi rientrano le sopraevidenziate esigenze di solidarietà.
8. -Oggetto della valutazione di non contrarietà ai principi fondamentali e, nella logica dell'art. 32, non l'eventuale atto convenzionale tra le parti private in ordine all'affidamento del minore, bensì il provvedimento dell'autorità (giurisdizionale o amministrativa) con il quale la procedura adottiva straniera si conclude. Non possono perciò essere considerati a tal fine - come sottolinea la Corte di cassazione-ne la mera convenzione privata, sia pure recepita in atto notarile, né il provvedimento che si limiti ad una mera convalida di essa. E' essenziale, invece, che il provvedimento esprima un'autonoma valutazione dell'autorità straniera circa la rispondenza dell'adozione all'interesse del minore.
Al riguardo, questa Corte deve ancora una volta ribadire che l'istituto dell'adozione e preordinato alla tutela dell'esclusivo interesse del minore, alla stregua degli artt. 2 e 30 Cost.; e che il fine primario, additato da tali norme, della promozione e sviluppo della personalità del bambino -anche attraverso la sua educazione ed istruzione-va perseguito in primissima istanza nell'ambiente più idoneo, vale a dire nella famiglia di origine.
Pertanto solo se questa sia incapace di far fronte ai propri compiti, lo Stato - cui spetta di predisporre gli interventi più efficaci per sopperirvi-deve provvedere all'adempimento di quel fine attraverso l'inserimento del minore in un'idonea famiglia sostitutiva (cfr., in particolare, la sentenza n. 11 del 1981).
A tali direttive costituzionali il legislatore del 1983 si è attenuto, rafforzando la connotazione pubblicistica dell'istituto dell'adozione (sentenze nn. 197 del 1986 e 182 del 1988) e proclamando, all'art. 1, il principio -ormai <maturo nella coscienza comune e nella cultura> (cfr. Relazione cit.) - secondo cui <il minore ha diritto di essere educato nell'ambito della propria famiglia>.
Tale principio, per la valenza generale delle disposizioni costituzionali cui si ispira e per il dettato della stessa legge (cfr. art. 1, secondo comma), é valido anche per l'adozione internazionale; ed esso comporta che pure l'adozione di minori stranieri, per essere efficace nel nostro ordinamento, non può fondarsi sulla mera prospettiva di miglioramenti materiali ed economici per il bambino, ma presuppone quelle mancanze di cura e custodia, di essenziale sostegno materiale e di affetto che sole possono giustificare il ricorso alla famiglia sostitutiva. In altri termini, lo stato di abbandono, così come é presupposto necessario per l'adozione legittimante nazionale (cfr. sentenza n. 182 del 1988), altrettanto lo é per quell'adozione legittimante cui si perviene con l'adozione internazionale: e ciò anche al fine di assicurare quella parità di trattamento tra minore italiano e minore straniero, che comporta anche per costui il diritto alla formazione della personalità nell'ambito della famiglia di origine.
Su tali principi-contrariamente a quanto sembra ritenere il giudice a quo-concorda pure la Corte di cassazione la quale infatti, proprio ai fini del rispetto di tale parità ritiene che l'efficacia in Italia di un provvedimento <a contenuto adottivo potrà essere pronunciata solo quando risulti che quel bambino sia davvero in stato di abbandono; che, altrimenti, se gli si desse una nuova famiglia quando quella d'origine era ancora esistente, valida ed idonea, si violerebbe proprio il diritto di quel bambino sancito cosi vigorosamente dall'art. 1, legge n. 184 del 1983> (sez. I civ., sentenza n. 3904 del 1986). Inoltre, proprio nelle sentenze citate dal giudice a quo la Corte di cassazione ammette bensì che sia dichiarato efficace il provvedimento straniero che tenga conto di convenzioni private, ma richiede poi che <siano fatti salvi i principi (questi si fondamentali) ai quali e informato l'ordinamento interno, e cioè l'interesse del minore in stato di effettivo abbandono ad acquisire una famiglia idonea, sotto il controllo dell'autorità competente ad assistere l'infanzia abbandonata> (sez. I civ., sentenze nn. 7531 e 8506 del 1987).
Quanto ai modi di accertamento dello stato di abbandono, la Corte di cassazione precisa ulteriormente che il tribunale dei minorenni dovrà al riguardo compiere <un'opera di interpretazione del provvedimento straniero e della situazione quale appare dal provvedimento stesso nonché dalla documentazione che sta a base> di esso (sentenza n. 3904 cit.): il che significa che - anche se nel provvedimento manca al riguardo una pronuncia formale, che può non essere richiesta dalla legislazione locale-dovranno pur sempre esservi elementi che inducano a ritenere la sussistenza di tale stato. Se, poi, questi non appaiano sufficienti, spetta al giudice italiano svolgere ulteriori indagini, avvalendosi o dell'autorità consolare (cfr. art. 33, secondo comma, d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200) ovvero degli Enti autorizzati di cui all'art. 38 legge n. 184 del 1983 (cfr. art. 13 D.M. 28 giugno 1985, in G.M n. 229 del 1985).
Nel quadro di tali accertamenti assume di norma rilievo il consenso all'adozione da parte del (o dei) genitori biologici, specie ove risulti la loro consapevolezza non solo del prossimo espatrio del minore, ma anche degli effetti legittimanti dell'adozione italiana (cfr., al riguardo, i compiti di informazione demandati agli Enti autorizzati dall'art. 8 del citato D.M.). Peraltro lo stato di abbandono, dovendo essere effettivo, non può presumersi: esso non può essere dedotto in modo automatico dal consenso, ma va valutato in un quadro di risultanze obiettive che dia sufficienti garanzie.
Alla stregua di tali precisazioni, le censure prospettate dal giudice a quo, sotto il profilo esaminato, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., devono ritenersi non fondate.
9. - La produttività di effetti dell'adozione consensuale straniera e contestata dal Tribunale rimettente anche in quanto comporta che la scelta degli adottanti sia rimessa ai genitori biologici anziché al giudice, come e per l'adozione nazionale: il che si risolverebbe in difetto di coerenza ed attribuzione di minori garanzie al bambino straniero.
Che l'individuazione della famiglia sostitutiva debba rivestire caratteri di <adeguatezza> e debba perciò avvenire cercando la soluzione ottimale <in concreto> per l'interesse del minore e principio che questa Corte - occupandosi dell'adozione nazionale - ha più volte ricavato dagli artt. 2 e 30, primo e secondo comma, Cost. (cfr. sentenze nn. 11 del 1981 e 198 del 1986). Esso é valido anche per l'adozione di minori stranieri, il che non significa che debba necessariamente essere realizzato con il medesimo strumento che il legislatore ha ritenuto più congruo per l'adozione nazionale, vale a dire con la riserva al giudice della scelta degli adottanti attraverso i meccanismi della comparazione e dell'abbinamento, che la specifica struttura dell'adozione internazionale non consente di impiegare. Ciò che rileva, come ha affermato la Corte di cassazione (sentenza n. 5589 del 1987), e che, sia pure per diverse strade, venga tutelato in modo sufficiente l'interesse-essenziale sotto il profilo costituzionale - che al minore sia data una famiglia nuova che sia davvero idonea.
Per salvaguardare il suddetto principio, il legislatore del 1983 ha fatto ricorso ad un duplice mezzo: da un lato, imponendo una previa valutazione dell'idoneità all'adozione degli aspiranti adottanti (art. 30); dall'altro, prescrivendo che la valutazione sulla rispondenza dell'adozione all'interesse del minore contenuta nel provvedimento straniero sia confortata da un'adeguata sperimentazione realizzata con un congruo periodo (un anno) di affidamento preadottivo (art. 33).
Questa Corte ritiene che con tali strumenti si siano apprestate garanzie sufficienti, se rettamente intese. Non può invero a priori escludersi che il (o i) genitori biologici possano dare un positivo contributo alla scelta della famiglia sostitutiva idonea, scelta peraltro soggetta al controllo dell'autorità straniera. Ma ciò che più conta é che tale valutazione é assistita da un controllo preventivo e corroborata da un controllo successivo del giudice italiano. Senza contare che l'astrattezza dell'apprezzamento preventivo di questo giudice può essere temperata se la dichiarazione d'idoneità viene correttamente rapportata alla problematica specifica dell'adozione internazionale, cioè se viene intesa-secondo l'orientamento prevalente della giurisprudenza - come implicante un'approfondita valutazione attitudinaria riferita alla capacità di provvedere all'educazione di minori stranieri. Poiché questi quasi sempre provengono da comunità profondamente diverse per cultura, etnia, lingua e modi di vita, il loro adeguato inserimento richiede atteggiamenti e sensibilità culturali ed umane che devono costituire oggetto di attenta valutazione. Ciò é tanto più necessario, in quanto il successivo controllo sullo svolgimento dell'affidamento preadottivo non potrà prescindere dall'esigenza di evitare al minore i traumi di ulteriori sradicamenti ed incertezze circa la propria sorte, cosicché finirà fatalmente per condurre ad un giudizio negativo solo nei casi più gravi di incompatibilità.
10.-La preoccupazione sostanziale sulla quale il Tribunale rimettente sollecita l'attenzione di questa Corte sta nel fatto che l'adozione consensuale può sottendere illecite trattative e cessioni, essere cioè il veicolo attraverso il quale viene a realizzarsi quel <mercato> dei minori che da luogo ad una gravissima violazione dei diritti umani di costoro.
Questa Corte ha già espresso - e qui ribadisce - la più ferma condanna di tale triste fenomeno, <cui si oppongono non soltanto lo spirito e la lettera della nostra disciplina costituzionale e ordinaria ma il comune sentire dei cittadini> (sentenza n. 11 del 1981); ed il legislatore del 1983 ha tradotto in apposite norme tale condanna, comminando sanzioni penali sia contro i responsabili della cessione, sia contro chi introduce a tale scopo dei minori in Italia (artt. 72 e 73). Non può però condividersi la prospettiva del giudice a quo secondo cui il consenso sottende in ogni caso un <mercato> ed é comunque sempre illecito o immorale, in quanto fondato sul ricatto economico cui sono soggetti i genitori naturali se indigenti.
Se di immoralità-sia pure impropriamente-si può parlare, non é certo qualificabile come tale il gesto lacerante di genitori in grave stato di indigenza che - al di fuori di ogni patteggiamento e in mancanza di qualsiasi altra alternativa o pubblico sostegno-vogliono salvaguardare le prospettive di educazione, la salute e talora la stessa possibilità di sopravvivenza del proprio bambino. E' immorale piuttosto che enormi squilibri e disuguaglianze nello sviluppo dei popoli e diffuse indifferenze li conducano a scelte così dolorose.
E' ben vero che -in questo quadro -l'adozione consensuale può in concreto mascherare illecite cessioni, di vario tipo, stimolando la creazione di vere e proprie situazioni di <mercato> che - ove si determinino - snaturano e inquinano profondamente l'approccio degli adottanti ai minori. Ma la constatazione dell’esistenza di questo fenomeno-che, secondo denunzie che promanano da vari organismi e sedi anche internazionali, avrebbe assunto dimensioni preoccupanti- non può di per se condurre questa Corte a ritenere fondata una questione che poggia su generalizzazioni indimostrate.
Non può in particolare presumersi che le autorità straniere omettano di esercitare un controllo adeguato ad evitare il commercio dei bambini: ed é anzi significativo che nell'ambito della Convenzione interamericana di La Paz del 24 maggio 1984 sia stata approvata una risoluzione che impegna gli Stati aderenti a considerare come grave reato il promuovere adozioni di minori a scopo di lucro o di vantaggi di altra natura.
Ciò non vuol dire che, di fronte al rischio di violazioni dei diritti del minore, sia possibile un’acquiescenza facendo esclusivo riferimento ad eventuali controlli altrui: tanto meno e possibile ignorare o sottovalutare la difficoltà del giudice italiano di accertare-una volta che il minore sia giunto in Italia - che un illecito commercio vi è stato. La doverosa salvaguardia dei principi costituzionali impone, invece, che da parte del legislatore e delle autorità preposte siano adottate tutte le più opportune iniziative idonee ad impedire la diffusione di abusi e di illeciti commerci.
Su questo piano spetta al legislatore rafforzare e rendere più incisivo il ruolo degli enti ed organizzazioni autorizzate allo svolgimento di pratiche inerenti all’adozione, secondo la previsione dell'art. 38; e inoltre auspicabile che si addivenga alla stipula di convenzioni internazionali sollecitate già durante l'elaborazione della legge n. 184 del 1983, anche in relazione alle iniziative assunte dall'O.N.U. sui diritti del bambino ed agli impegni che ne discenderanno. Nei predetti sensi, le questioni sollevate in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost. vanno dichiarate non fondate.
11. - Non fondata é, infine, la questione sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. dal Tribunale rimettente sotto il profilo della discriminazione che l'accesso alle adozioni cosiddette consensuali comporterebbe tra gli aspiranti adottanti che hanno le potenzialità economiche per avvalersene e coloro che per motivi economici non possono ricorrervi. Tale questione muove, invero, dal medesimo presupposto di fatto su cui si radica la questione dianzi esaminata. Anche a questo riguardo valgono le ragioni addotte in senso contrario alla fondatezza.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 32, lettera c), della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori) sollevata, in riferimento agli artt. 2 e 3, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale dei minorenni di Roma con ordinanze del 9 e 12 gennaio 1989 (r.o. nn. 185 e 199/89);
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della predetta norma sollevata, in riferimento all'art. 10 Cost., con le medesime ordinanze;
3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 33, ultimo comma e 37 della citata legge, sollevata, in riferimento all'art. 10 Cost., con le medesime ordinanze.
Così deciso in Roma, nelle sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30/11/89.
Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.
Depositata in cancelleria il 11/12/89.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Ugo SPAGNOLI, REDATTORE