ORDINANZA N. 191
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 314 e 315 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 5 luglio 2001 dalla Corte d’appello di Brescia, iscritta al n. 815 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 10 aprile 2002 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.
Ritenuto che la Corte d’appello di Brescia, prima sezione penale, nel corso di un procedimento per riparazione di ingiusta detenzione, con ordinanza in data 5 luglio 2001, ha sollevato, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articoli 314 e 315 del codice di procedura penale, "nella parte in cui non prevedono che la Corte d’appello, ove risulti che il soggetto che ha proposto istanza ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen. é stato condannato con sentenza non ancora definitiva ad una pena di durata non inferiore a quella della custodia cautelare sofferta ingiustamente, debba sospendere il procedimento in attesa che venga definito quello nell’ambito del quale é stata pronunciata la sentenza di condanna (ovvero nella parte in cui non prevedono, quantomeno, che l’interessato sia obbligato a restituire allo Stato l’indennizzo ricevuto, qualora ottenga successivamente il "computo" della custodia cautelare ingiustamente sofferta ai fini della determinazione della pena da eseguire)";
che la Corte remittente premette di essere chiamata a decidere su un’istanza di riparazione per ingiusta detenzione proposta da un soggetto che, tratto in arresto in data 10 luglio 1999 per rapina aggravata ed altro su ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Brescia, era rimasto in stato di custodia cautelare in carcere fino al successivo 7 novembre 2000, allorquando era stato assolto dalla Corte d’appello di Brescia per non avere commesso il fatto (sentenza divenuta irrevocabile in data 23 dicembre 2000);
che nell’ordinanza di rimessione si rappresenta che l’istante é stato condannato, con altra sentenza in grado di appello del 31 gennaio 2001 (per reati del tutto analoghi a quelli sopra indicati) alla pena di anni 4 e mesi 10 di reclusione e £. 4.200.000 di multa;
che il giudice a quo osserva che, se quest’ultima sentenza fosse già divenuta definitiva, il diritto alla riparazione sarebbe escluso ai sensi dell’art. 314, comma 4, cod. proc. pen., "dovendosi computare la custodia cautelare ingiustamente sofferta ai fini della determinazione della pena con essa irrogata", e aggiunge che, peraltro, tale "computo" non verrebbe precluso (in caso di successivo passaggio in giudicato della sentenza) dall’eventuale accoglimento dell’istanza di equa riparazione;
che, ad avviso della Corte d’appello di Brescia, tale "sistema", desumibile dalla disciplina dettata dalle disposizioni censurate, oltre ad essere illogico e privo di ragionevolezza, contrasterebbe con il principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione, in quanto consentirebbe a chi si trovi nella posizione dell’attuale istante (ed a differenza di chi avesse già usufruito del "computo" ex art. 657 cod. proc. pen.), in conseguenza di un fattore del tutto casuale (quello cronologico correlato al momento del passaggio in giudicato di una sentenza), di ottenere sia l’indennizzo in questione sia (in caso, "oggettivamente probabile", di successivo passaggio in giudicato della sentenza di condanna) il "computo" di cui sopra;
che é intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato;
che la difesa erariale osserva in primo luogo che l’art. 657 cod. proc. pen., al fine di evitare la precostituzione di una riserva di impunità, consente la fungibilità della detenzione subita per un altro reato giudicato separatamente solo a condizione che tale reato non sia stato commesso successivamente alla restrizione della libertà ingiustamente sofferta, e, rilevato che nell’ordinanza di rimessione non sarebbe contenuto alcun accenno a tale elemento di fatto essenziale ai fini della valutazione della rilevanza della questione di legittimità costituzionale, conclude per l’inammissibilità della questione stessa;
che, ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, la questione sarebbe comunque infondata, in quanto l’istituto della riparazione per l’ingiusta detenzione, che trae fondamento nell’art. 24, quarto comma, della Costituzione e nell’art. 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, imporrebbe la necessità di approntare rimedi certi ed immediati;
che, infine, la difesa erariale ricorda che la Corte di cassazione avrebbe già risolto problematiche simili a quelle evidenziate dalla Corte d’appello di Brescia, stabilendo che, qualora sia stata chiesta la riparazione per ingiusta detenzione a seguito di sentenza di non luogo a procedere, il relativo procedimento, se interviene la revoca di tale sentenza, deve essere sospeso fino alla definizione del processo penale riapertosi, mentre in caso di accoglimento già intervenuto della domanda di riparazione, con cui non sia compatibile la statuizione definitiva emessa a seguito della revoca, l’eventuale somma erogata é suscettibile di ripetizione come indebito oggettivo secondo le regole del diritto civile (sez. I penale, 3 aprile 1991, n. 1553).
Considerato che la Corte d’appello di Brescia solleva, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articoli 314 e 315 del codice di procedura penale, "nella parte in cui non prevedono che la Corte d’appello, ove risulti che il soggetto che ha proposto istanza ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen. é stato condannato (in altro procedimento) con sentenza non ancora definitiva ad una pena di durata non inferiore a quella della custodia cautelare sofferta ingiustamente, debba sospendere il procedimento in attesa che venga definito quello nell’ambito del quale é stata pronunciata la sentenza di condanna (ovvero nella parte in cui non prevedono, quantomeno, che l’interessato sia obbligato a restituire allo Stato l’indennizzo ricevuto, qualora ottenga successivamente il "computo" della custodia cautelare ingiustamente sofferta ai fini della determinazione della pena da eseguire)";
che nella giurisprudenza costituzionale l’ordine di problemi prospettato dal remittente non é del tutto ignoto, poichè nella sentenza n. 248 del 1992, a seguito di una ricognizione della giurisprudenza di legittimità, non é stata esclusa nè la possibilità di sospendere il procedimento per la riparazione di ingiusta detenzione nè quella di applicare, nel caso di sopravvenuta sentenza irrevocabile di condanna quando l’indennizzo sia stato già concesso, la disciplina civilistica della ripetizione dell’indebito;
che tuttavia il carattere alternativo, nei termini testuali sopra riferiti, con il quale la questione di legittimità costituzionale é stata formalmente proposta, induce a seguire la consolidata giurisprudenza di questa Corte, che é, in simili casi, nel senso della manifesta inammissibilità (ordinanze n. 107 del 2001; n. 78 e n. 7 del 2000; n. 286 del 1999; n. 449, n. 384 e n. 146 del 1998; n.73 del 1995).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli articoli 314 e 315 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Brescia con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 maggio 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Carlo MEZZANOTTE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2002.