ORDINANZA N. 58
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, promosso, nell'ambito di un procedimento penale, dal Tribunale di Verona, sezione distaccata di Soave, con ordinanza emessa il 23 febbraio 2001, iscritta al n. 499 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell'anno 2001.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 30 gennaio 2002 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che con ordinanza del 23 febbraio 2001 il Tribunale di Verona, sezione distaccata di Soave, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, come integrato dalla sentenza n. 186 del 1992, nella parte in cui prevede l'incompatibilità alla funzione di giudizio del giudice che negli atti preliminari al dibattimento abbia respinto la richiesta di applicazione della pena concordata ex art. 444 cod. proc. pen.;
che il rimettente premette di aver rigettato la richiesta di applicazione della pena formulata dall'imputato con il consenso del pubblico ministero prima del compimento delle formalità di apertura del dibattimento, ritenendo non applicabile la sospensione condizionale della pena alla quale era stata subordinata la richiesta di pena patteggiata per i precedenti specifici dell'imputato, e di trovarsi quindi, per effetto della sentenza n. 186 del 1992, in una situazione di incompatibilità a giudicare l'imputato nel merito dell'imputazione contestatagli, con conseguente obbligo di astensione ai sensi dell'art. 36, comma 1, lettera g), cod. proc. pen.;
che ad avviso del giudice a quo la previsione di tale ipotesi di incompatibilità si pone in contrasto con la più recente giurisprudenza costituzionale e, in particolare, con l'ordinanza n. 232 del 1999, che ha ribadito il principio generale secondo cui <<l'imparzialità del giudice non può ritenersi intaccata da una valutazione anche di merito compiuta all'interno della medesima fase del procedimento>>;
che, a giudizio del rimettente, tali conclusioni sono state ribadite dalla successiva ordinanza n. 443 del 1999, nella quale la Corte ebbe a riaffermare che la incompatibilità conseguente al compimento di atti tipici della fase unitaria di cui il giudice é investito <<finirebbe con l'attribuire alle parti la potestà di determinare l'incompatibilità nel corso di un giudizio nel quale il giudice é investito, sicchè lo stesso giudice verrebbe spogliato di tale giudizio in ragione del compimento di un atto processuale cui é tenuto a seguito dell'istanza di una parte; esito, questo, non solo irragionevole, ma in contrasto con il principio del giudice naturale precostituito per legge, dal quale l'imputato verrebbe o potrebbe chiedere di essere distolto>>;
che, sulla base delle medesime argomentazioni, e ritenendo che le modifiche recate dal decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado) non abbiano apportato elementi di novità rispetto alle valutazioni già espresse da questa Corte, il giudice a quo solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., come integrato dalla sentenza n. 186 del 1992, assumendone il contrasto con gli artt. 3, 25 e 97 Cost.;
che ad avviso del rimettente la disciplina censurata determina una irragionevole disparità di trattamento rispetto a situazioni analoghe in cui la causa di incompatibilità non opera e nello stesso tempo irragionevolmente assoggetta alla medesima disciplina situazioni processuali non comparabili processualmente;
che sarebbero violati anche i principi di <<buona amministrazione>> (art. 97 Cost.) e del giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.), in quanto da un lato si realizzerebbe <<un’assurda frammentazione del procedimento>>, dall’altro si consentirebbe alle parti, <<mediante studiata proposizione di istanze ex art. 444 c.p.p. inaccoglibili, di "sbarazzarsi" del loro giudice naturale, costringendolo all’astensione>>;
che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
Considerato che con ordinanza n. 108 del 2001, successiva all’ordinanza di rimessione, identica questione di legittimità costituzionale sollevata dallo stesso rimettente é stata dichiarata manifestamente inammissibile, in quanto diretta a censurare una precedente decisione di accoglimento di questa Corte;
che la questione deve pertanto essere dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 25 e 97 della Costituzione, dal Tribunale di Verona, sezione distaccata di Soave, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 febbraio 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Guido NEPPI MODONA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 15 marzo 2002.