Ordinanza n. 441/2001

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ORDINANZA N.441

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 27 settembre 2000 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Lecce nel procedimento penale a carico di R. C. e altri, iscritta al n. 245 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2001.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 novembre 2001 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

Ritenuto che il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Lecce ha sollevato, con ordinanza del 27 settembre 2000, in riferimento agli artt. 24, 25 e 111, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio abbreviato nei confronti di taluni imputati che abbiano chiesto di essere processati con tale rito il giudice che in precedenza abbia emesso, previa separazione del procedimento originariamente unitario, il decreto che dispone il giudizio nei confronti di altri imputati del medesimo fatto-reato;

che il rimettente muove dalle recenti modifiche legislative alla disciplina dell’udienza preliminare, introdotte con la legge 16 dicembre 1999, n. 479 (Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice penale e all’ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennità spettanti al giudice di pace e di esercizio della professione forense), che avrebbero radicalmente trasformato la configurazione di detta udienza "richiedendo ormai al giudice anche un'attività di giudizio, sia pure in negativo, prima di emettere il decreto che dispone il giudizio", con la conseguenza che tale momento del procedimento "non può più essere ritenuto mero atto di impulso processuale, ma il compendio di un'intensa e puntuale attività di giudizio";

che, ad avviso del rimettente, l'emissione del decreto che dispone il giudizio nei confronti dei coimputati del medesimo fatto-reato - nella specie, del delitto di associazione per delinquere -, é stata necessariamente preceduta da una implicita valutazione della posizione degli imputati che lo stesso giudice ora si trova a giudicare con il rito alternativo;

che il giudice a quo dubita quindi della legittimità costituzionale della norma impugnata, traducendosi l'ipotesi in esame in un vulnus dei principi di imparzialità e terzietà del giudice (art. 111, secondo comma, della Costituzione), nonchè in una lesione tanto del diritto di difesa spettante alle parti (art. 24 della Costituzione) quanto del principio del giudice naturale precostituito per legge (art. 25 della Costituzione);

che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza della questione.

Considerato che il giudice rimettente chiede a questa Corte una pronuncia che estenda l'istituto dell'incompatibilità del giudice all'ipotesi in cui questi, chiamato a giudicare alcuni imputati con il rito abbreviato, nell'ambito di un precedente procedimento penale abbia già emesso il decreto che dispone il giudizio nei confronti di altri coimputati del medesimo fatto-reato;

che, come questa Corte ha avuto più volte modo di affermare, se il pregiudizio che si assume lesivo dell'imparzialità del giudice deriva da attività da questi compiute al di fuori del giudizio in cui e' chiamato a decidere - siano esse attività non giudiziarie o attività giudiziarie svolte in altro giudizio -, si verte nell'ambito di applicazione degli istituti dell'astensione e della ricusazione (artt. 36 e 37 cod. proc. pen.), anch'essi preordinati alla salvaguardia delle esigenze di imparzialità della funzione giudicante, ma secondo una logica a posteriori e in concreto (sentenze n. 283 e n. 113 del 2000, n. 351, n. 308, n. 307 e n. 306 del 1997; ordinanze n. 431, n. 277, n. 178 e n. 133 del 1999);

che, in particolare, pur non potendo escludersi che, per il peculiare atteggiarsi delle singole fattispecie, l'attività che il giudice abbia compiuto in un precedente procedimento possa determinare un pregiudizio alla sua imparzialità nel successivo procedimento a carico di altro o di altri concorrenti, in simili casi - al di la' delle ipotesi particolari che hanno dato luogo alle sentenze n. 371 del 1996 e n. 241 del 1999 - soccorre sia l'art. 36, comma 1, lettera h), cod. proc. pen., nell'interpretazione non restrittiva alla quale vincola il principio del giusto processo (sentenza n. 113 del 2000), sia l'art. 37 cod. proc. pen., come risultante dalla sentenza n. 283 del 2000 di questa Corte, attribuendosi in tal modo ai più duttili strumenti dell'astensione e della ricusazione il compito di realizzare il principio del giusto processo attraverso valutazioni caso per caso e senza oneri preventivi di organizzazione delle attività processuali;

che, secondo i precedenti appena citati, lo strumento di tutela contro l'eventuale pregiudizio all'imparzialità del giudice – pregiudizio da accertarsi in concreto -, derivante da una sua precedente attività compiuta in un separato procedimento nei confronti di coimputati del medesimo fatto-reato, non può essere ravvisato in ulteriori pronunce sull’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., ma deve essere ricercato nell’ambito degli istituti dell’astensione e della ricusazione;

che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 24, 25 e 111, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Lecce, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 dicembre 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in Cancelleria il 28 dicembre 2001.