ORDINANZA N. 133
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 6 dicembre 1996 dal Tribunale di Napoli, iscritta al n. 294 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1997.
Udito nella camera di consiglio del 24 marzo 1999 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.
Ritenuto che con ordinanza del 6 dicembre 1996 il Tribunale di Napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, "nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio il giudice che, in sede di riesame (o di appello), pronunciando nei confronti di uno o più concorrenti in ipotesi di reati a concorso necessario, abbia valutato la posizione di altri coindagati";
che l'ordinanza richiama la sentenza n. 131 del 1996, con la quale questa Corte ha chiarito che la disciplina dell'incompatibilità, contenuta nell'art. 34 del codice di procedura penale, si fonda sulla necessità di evitare la duplicazione di giudizi della medesima natura da parte dello stesso giudice, e quindi sulla esigenza di proteggere il giudizio di merito dal rischio di pregiudizio, effettivo o anche solo potenziale, derivante da valutazioni di sostanza sulla ipotesi accusatoria espresse in occasione di atti compiuti in precedenti fasi processuali;
che – rileva il remittente – questa Corte, con la sentenza n. 432 del 1995, aveva già affermato che i principi sopra ricordati devono trovare applicazione anche in riferimento ai provvedimenti cautelari personali nei loro rapporti col giudizio di merito sulla imputazione, in quanto le pronunce cautelari presuppongono pur sempre un giudizio prognostico di segno positivo sulla responsabilità, ancorchè basato su indizi e non ancora su prove;
che successivamente – ricorda ancora il giudice a quo – questa Corte, con la sentenza n. 371 del 1996, ha ulteriormente esteso le ipotesi di incompatibilità, dichiarando costituzionalmente illegittimo l'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti, nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilità penale sia già stata comunque valutata;
che, alla luce di tali pronunce, il remittente dubita della legittimità costituzionale del citato art. 34, comma 2, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di alcuni coimputati di reato a concorso necessario il giudice che, essendosi pronunciato, in sede di riesame o di appello, su misura cautelare personale disposta nei confronti di altri concorrenti nel medesimo reato, ne abbia già valutato la posizione;
che la mancata previsione di questa ulteriore ipotesi di incompatibilità violerebbe il principio del giusto processo, poichè si avrebbe una duplicazione di giudizi della medesima natura da parte dello stesso giudice, con conseguente rischio di pregiudizio derivante da precedenti valutazioni sul merito dell'ipotesi accusatoria espresse dallo stesso giudicante.
Considerato che, successivamente alla proposizione della questione oggetto del presente giudizio, questa Corte, con la sentenza n. 331 del 1997, ha dichiarato inammissibile analoga questione di costituzionalità, rinviando alle sue pronunce nn. 306, 307 e 308 del 1997 per l'individuazione dei limiti entro i quali il principio del giusto processo postula la previsione di un'ipotesi di incompatibilità e chiarendo che, se il pregiudizio deriva non da una sentenza, ma, come si assume essere avvenuto nel caso di specie, da un'ordinanza adottata in un procedimento diverso, lo strumento di tutela non può essere ravvisato in ulteriori sentenze additive sull'art. 34 cod. proc. pen., ma deve essere ricercato nell'area degli istituti dell'astensione e della ricusazione, anch'essi preordinati alla salvaguardia della terzietà del giudice;
che i precedenti di questa Corte appena citati sono idonei ad offrire la soluzione della presente questione, poichè le pronunce in sede di riesame o di appello su aspetti non esclusivamente formali delle misure cautelari personali sono adottate con ordinanza e comportano valutazioni del medesimo genere di quelle compiute dal giudice in sede di applicazione di tali misure (sentenza n. 131 del 1996);
che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Napoli con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 aprile 1999.
Renato GRANATA, Presidente
Carlo MEZZANOTTE, Redattore
Depositata in cancelleria il 16 aprile 1999.