SENTENZA N. 371
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Avv. Mauro FERRI, Presidente
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse il 13 marzo 1995 (n. 2 ordinanze) dal Tribunale di Forlì e il 20 ottobre 1995 dalla Corte d'assise di Napoli, rispettivamente iscritte ai nn. 715, 716 e 939 del registro ordinanze 1995 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell'anno 1995 e n. 3, prima serie speciale, dell'anno 1996.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 26 giugno 1996 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.
Ritenuto in fatto
1.-- Con due ordinanze di identico contenuto, il Tribunale di Forlì ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dell'art. 34 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la incompatibilità del giudice che, dopo avere pronunciato sentenza di condanna per un reato necessariamente plurisoggettivo, sia poi chiamato, a seguito di separazione dei processi, a giudicare per il medesimo reato altro concorrente la cui partecipazione, essenziale per la sussistenza del reato, sia stata incidentalmente esaminata e ritenuta nel primo giudizio.
In entrambe le ordinanze, il giudice a quo, che aveva proceduto alla separazione dei giudizi nei confronti degli imputati, sulla responsabilità penale dei quali era stato successivamente chiamato a pronunciarsi, e che ne aveva già esaminato la posizione nel giudizio proseguito nei confronti dei coimputati, si mostra consapevole del fatto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte e della Corte di cassazione, la disciplina delle incompatibilità e' circoscritta ai casi di duplicità di giudizio di merito sullo stesso oggetto e che l'identità di oggetto non si ravvisa nelle ipotesi di concorso di persone nel reato, perchè alla comunanza della imputazione fa riscontro una pluralità di condotte singolarmente ascrivibili a ciascuno dei concorrenti.
Lo stesso giudice a quo esclude che possa trovare applicazione la disposizione dell'art. 36, lettera h), cod.proc.pen., dal momento che "le gravi ragioni di convenienza" ivi individuate come causa di astensione hanno natura personale e non si riferiscono a situazioni processuali, le quali, al contrario, devono essere previste in modo esaustivo nelle norme sulle incompatibilità, non potendosi, al fine di salvaguardare il principio del giudice naturale, lasciare alla discrezionalità del singolo magistrato la valutazione della propria capacità professionale di non lasciarsi influenzare da giudizi già espressi nell'esercizio delle sue funzioni.
Conseguentemente, poichè l'incompatibilità ravvisabile nel caso di specie inerisce a profili processuali -- consistenti nel fatto che il giudice, dopo essersi pronunciato sulla sussistenza di un'associazione per delinquere composta da tre persone e dopo avere condannato due dei componenti della stessa, venga successivamente chiamato a giudicare il terzo associato -- e poichè, quindi, non può trovare applicazione l'istituto dell'astensione, la omessa previsione di una causa di incompatibilità violerebbe sia il principio di parità di trattamento di situazioni simili, in assenza di ragionevoli motivi che giustifichino la differenza di statuizioni, sia il diritto di difesa.
2. -- Con ordinanza emessa il 20 ottobre 1995, la Corte di assise di Napoli, nel corso di un processo scaturito dalla separazione da altro processo a carico di numerosi imputati di un delitto associativo, ha sollevato una questione sostanzialmente identica. Nel giudizio a quo, infatti, erano imputati soggetti la cui posizione, pur non ritenuta essenziale per la sussistenza del reato contestato agli altri coimputati, nei confronti dei quali il processo era proseguito, era stata non di meno esaminata incidenter tantum nella sentenza che aveva definito quel processo.
Il giudice remittente osserva innanzitutto che la questione e' sicuramente rilevante, in quanto nella giurisprudenza di legittimità una situazione quale quella verificatasi a seguito della separazione dei giudizi non viene considerata come una causa di incompatibilità, e tuttavia appare evidente il pregiudizio che può derivare alle posizioni della difesa, essendo ragionevolmente prevedibile che la valutazione della medesima prova espressa nella precedente sentenza non potrà subire modificazioni nel processo destinato a concludersi successivamente.
Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo, pur ricordando le precedenti decisioni di questa Corte che hanno escluso la configurabilità di una causa di incompatibilità in ipotesi analoghe, ritiene che, alla stregua della più recente giurisprudenza costituzionale, si debba affermare la incompatibilità alla funzione di giudizio per il giudice che abbia, non solo in uno stato anteriore del procedimento ma anche in processi diversi, emesso una valutazione nel merito della stessa materia processuale riguardante il medesimo imputato, ancorchè in una decisione non idonea a produrre nei confronti di quest'ultimo gli effetti del giudicato. In particolare, poi, con riferimento ai reati associativi e, in generale, ai reati necessariamente plurisoggettivi, il giudice a quo rileva che il riferimento all'autonomia delle singole posizioni non e' sufficiente ad escludere il condizionamento derivante dal precedente giudizio, in quanto l'accertamento della sussistenza del fatto, in riferimento ad alcuni soggetti originariamente coimputati, non può non includere l'accertamento della partecipazione del concorrente o di altri concorrenti.
L'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., pertanto, non prevedendo, per tali ipotesi, cause di incompatibilità, contrasterebbe, oltre che con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, anche con gli artt.25 e 76 della Costituzione, in quanto risulterebbe intaccato il principio del giudice naturale e resterebbe alterato il criterio della terzietà del giudice di cui all'art. 2 della legge di delegazione 16 febbraio 1987, n.81.
3.-- E' intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
L'Avvocatura dello Stato rileva che la questione prospettata dai giudici a quibus e' stata più volte sottoposta all'esame della Corte di cassazione, la quale, in diverse occasioni, anche a proposito del reato di associazione per delinquere, ha affermato che l'incompatibilità deve essere circoscritta ai casi di duplicità del giudizio di merito sullo stesso oggetto e, cioé, di valutazione non formalistica ma contenutistica sulla medesima regiudicanda. In particolare, poi, prosegue l'Avvocatura dello Stato, la Cassazione, proprio traendo spunto da alcune precisazioni contenute nelle sentenze di questa Corte n. 186 del 1992 e n. 439 del 1993, ha affermato che l'identità dell'oggetto del giudizio non e' ravvisabile nell'ipotesi in cui il giudice si sia precedentemente pronunciato nei confronti dei concorrenti nel medesimo reato ascritto al giudicabile, e ciò in quanto alla comunanza dell'imputazione fa riscontro necessariamente una pluralità di condotte, distintamente imputabili a ciascuno dei concorrenti, le quali, ai fini del giudizio di responsabilità, devono formare oggetto di autonome valutazioni tanto sotto il profilo materiale che sotto il profilo psicologico.
Considerato in diritto
1.-- La questione sollevata con le tre ordinanze ha ad oggetto l'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., della cui legittimità costituzionale i giudici a quibus dubitano, in quanto non prevede la incompatibilità del giudice del dibattimento a giudicare gli imputati la cui posizione abbia già dovuto esaminare incidenter tantum nella sentenza emessa, a seguito di separazione dei processi, nei confronti di altri coimputati del medesimo reato.
In particolare, il Tribunale di Forlì, con due ordinanze, solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede la incompatibilità del giudice che, dopo aver pronunciato sentenza di condanna per un reato necessariamente plurisoggettivo, sia chiamato a giudicare per tale addebito altro concorrente, la cui partecipazione -- indispensabile per la sussistenza del reato -- sia stata incidentalmente esaminata e ritenuta nel primo giudizio.
Ad avviso del rimettente, l'omessa previsione di tale causa di incompatibilità violerebbe l'art. 3 della Costituzione per il trattamento pregiudizievole riservato all'imputato, il cui concorso nel reato abbia formato oggetto di valutazione da parte del giudice del dibattimento, in sede di giudizio nei confronti dei coimputati, allorchè quello stesso giudice sia poi chiamato, nel processo separato, a giudicarlo su quello stesso fatto. Oltre al "principio di parità di trattamento di situazioni simili", ne risulterebbe compromesso anche il diritto di difesa, con violazione dell'art. 24 Cost.
La Corte di assise di Napoli prospetta la medesima questione in riferimento ad una ipotesi di reato associativo, nella quale, pur non qualificando come essenziale per la sussistenza del reato contestato il concorso di terzi, aveva tuttavia esaminato incidenter tantum la posizione di questi ultimi in una sentenza emessa, a seguito di separazione dei giudizi, nei confronti di altri soggetti originariamente coimputati del medesimo reato.
La disposizione censurata, ad avviso del giudice a quo, contrasterebbe, oltre che con gli artt. 3 e 24 Cost., per motivazioni sostanzialmente analoghe a quelle svolte dal Tribunale di Forlì, anche con il principio del giudice naturale sancito dall'art. 25 della Costituzione e con l'art. 76 della Costituzione, perchè sarebbe alterato il criterio della terzietà del giudice, di cui all'art. 2 della legge di delegazione 16 febbraio 1987, n. 81.
Poichè le ordinanze di rimessione hanno ad oggetto la medesima disposizione e pongono la medesima questione, i relativi giudizi possono essere riuniti per essere decisi con unica sentenza.
2.-- La questione e' fondata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
E' acquisito alla giurisprudenza di questa Corte che l'istituto della incompatibilità del giudice per atti compiuti nel procedimento penale e' preordinato alla garanzia di un giudizio imparziale, che non sia ne' possa apparire condizionato da precedenti valutazioni sulla responsabilità penale dell'imputato manifestate dallo stesso giudice in altre fasi del medesimo processo (e quindi a maggior ragione, in riferimento alla fattispecie in esame, in diverso processo) e tali da poter pregiudicare la neutralità del suo giudizio. Il principio del giusto processo, infatti, comporta che il giudizio si formi in base al razionale apprezzamento delle prove raccolte ed acquisite e non abbia a subire l'influenza di valutazioni sul merito dell'imputazione già in precedenza espresse (v. da ultimo sentenza n. 177 del 1996).
L'incidenza del principio del giusto processo nelle ipotesi di concorso di persone nel reato e' stata esaminata da questa Corte, allorchè ha affrontato la questione se il giudice che si sia pronunciato in un precedente giudizio sulla responsabilità di alcuni concorrenti, sia colpito da incompatibilità in relazione al processo che venga successivamente celebrato nei confronti di altro o di altri concorrenti.
Tale questione e' stata risolta negativamente sulla base del rilievo che "alla comunanza dell'imputazione fa necessariamente riscontro una pluralità di condotte distintamente ascrivibili a ciascuno dei concorrenti, le quali, ai fini del giudizio di responsabilità, devono formare oggetto di autonome valutazioni sotto il profilo tanto materiale che psicologico, e ben possono, quindi, sfociare in un accertamento positivo per l'uno e negativo per l'altro" (sentenze n. 186 del 1992 e n.439 del 1993).
Questa massima di decisione deve essere mantenuta ferma, poichè l'autonomia delle posizioni di ciascun concorrente consente, pur nella naturalistica unitarietà della fattispecie di concorso, una segmentazione di processi e la scomposizione del fatto in una pluralità di condotte autonomamente valutabili in processi distinti, senza che la decisione dell'uno debba influenzare quella dell'altro.
La fattispecie sottoposta all'esame di questa Corte, nella quale uno dei giudici rimettenti prospetta la medesima questione, ma in relazione alla peculiare ipotesi di reati a concorso necessario (nella specie si tratta del reato di associazione per delinquere che non può sussistere senza il concorso di almeno tre persone), offre l'occasione per alcune doverose precisazioni.
Nel caso in cui non solo vi sia concorso nel medesimo reato ma la posizione di uno dei concorrenti costituisca elemento essenziale per la stessa configurabilità del reato contestato agli altri concorrenti, ai quali soltanto sia formalmente riferita l'imputazione per la quale si procede, la valutazione della posizione del terzo, dalla quale non si sia potuto prescindere ai fini dell'accertamento della responsabilità degli imputati, costituisce sicuro ed evidente motivo di incompatibilità nel successivo processo a carico di tale terzo.
La circostanza che, in assenza dell'interessato, la valutazione in ordine alla sua responsabilità non possa sfociare, in quel processo, in una decisione suscettibile di divenire definitiva, nulla toglie al pregiudizio che si determina. Ciò che conta, ai fini dell'integrità del principio del giusto processo, e' che il giudice del nuovo dibattimento non sia lo stesso che abbia preso parte al primo e che, per il peculiare atteggiarsi della fattispecie di concorso, abbia dovuto formarsi un convincimento non soltanto sul merito dell'azione penale svolta contro gli imputati, ma anche, seppure incidentalmente, sul merito della posizione del terzo. Poichè le pronunce dei giudici dovrebbero riguardare solo i soggetti che nel processo assumono il ruolo di parti, e' da ritenere che non possa rimanere senza conseguenza la valutazione che il giudice faccia circa la responsabilità di un soggetto che non sia formalmente imputato; altrimenti, ne risulterebbe leso il diritto fondamentale previsto dall'art.24 della Costituzione.
Una adeguata ponderazione delle garanzie della difesa porta ad escludere che l'approdo di un processo penale possa essere la valutazione, da parte del giudice, non solo della posizione degli imputati, ma anche di quella di terzi che non abbiano avuto l'opportunità di difendersi. E non a caso, l'articolo 18 del codice di procedura penale, nel consentire la separazione dei processi per una serie di ipotesi evidentemente ordinate alla speditezza del processo, fa salva la facoltà del giudice di ritenere, pur ricorrendo alcuna di tali ipotesi, "assolutamente necessaria la riunione". L'uso corretto di tale facoltà dovrebbe indurre il giudice a considerare, di regola, "assolutamente necessaria" la riunione innanzitutto nei casi di reato a concorso necessario, tutte le volte in cui l'identificazione di un concorrente e l'accertamento della sua responsabilità costituiscano momenti imprescindibili per la configurabilità del reato.
E tuttavia, se la facoltà di separare i processi o di non riunirli sia stata esercitata, e si sia ritenuto necessario portare la valutazione di merito anche sulla posizione di un terzo formalmente estraneo al processo, il potere del giudice di pronunciarsi nuovamente sulla responsabilità di quest'ultimo in un successivo processo non può essere riconosciuto. Non può non risultare, in simili casi, attuale e concreto "il rischio che la valutazione conclusiva di responsabilità sia, o possa apparire, condizionata dalla propensione del giudice a confermare una propria precedente decisione": situazione, questa, che incide "sulla garanzia di un giudizio che sia il frutto genuino ed esclusivo degli elementi di valutazione e di prova assunti nel processo e del dispiegarsi della difesa delle parti" (sentenza n.124 del 1992).
E l'incompatibilità, si deve aggiungere, sussiste non solo quando nel primo giudizio la posizione del terzo sia stata valutata a seguito di un puntuale ed esauriente esame delle prove raccolte a suo carico, ma anche quando abbia formato oggetto di una delibazione di merito superficiale e sommaria, apparendo anzi, in questa seconda ipotesi, ancor più evidente e grave la situazione di pregiudizio nella quale il giudice verrebbe a trovarsi.
3.-- Se la possibilità che le posizioni dei singoli concorrenti nel medesimo reato formino oggetto di altrettante valutazioni autonome l'una dall'altra costituiva la ratio decidendi nelle sopracitate sentenze, nelle quali si negò l'incompatibilità di uno stesso giudice a conoscere, in successivi processi, della imputazione contestata a titolo di concorso a più imputati, appare dunque chiaro che tale ratio non può essere estesa a comprendere le ipotesi di reato a concorso necessario, in cui il giudice si sia dovuto occupare della posizione di un terzo, formalmente non imputato, e abbia dovuto valutarla incidentalmente. In questi casi e' il principio costituzionale del giusto processo, che attinge alla pienezza del suo valore solo se inteso nel suo significato sostanziale, ad impedire che uno stesso giudice valuti più volte, in successivi processi, la responsabilità penale di una persona in relazione al medesimo reato.
La capacità di qualificazione che quel principio possiede trascende, a ben vedere, la particolare struttura dei reati a concorso necessario e abbraccia in un medesimo giudizio di disvalore tutte le ipotesi in cui, qualunque ne sia stato il motivo, il giudice, nella sentenza che definisce il processo, abbia incidentalmente espresso valutazioni di merito in ordine alla responsabilità penale di un terzo non imputato in quel processo (a prescindere dalla legittimità di tali valutazioni).
La non configurabilità del reato ascritto agli imputati a causa della mancanza di un ulteriore reo non e', infatti, che l'antecedente logico-giuridico, o, se si preferisce, la giustificazione della concreta valutazione compiuta in quel processo della condotta di un non imputato. Ma, ai fini delle garanzie costituzionali alle quali la disciplina legale delle incompatibilità deve essere improntata, viene in considerazione solo l'effettivo compimento di tale valutazione, poichè e' solo questo a determinare il pregiudizio.
Del resto, se costituisce causa di astensione del giudice il fatto che egli abbia manifestato il proprio parere sull'oggetto del procedimento, fuori dell'esercizio delle sue funzioni (art.36, comma 1, lettera c), codice procedura penale), a maggior ragione deve ravvisarsi una causa di incompatibilità nel fatto che una valutazione di responsabilità sia stata compiuta dal giudice nei confronti di un soggetto che non era parte del procedimento.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti, nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilità penale sia già stata comunque valutata.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17/10/96.
Mauro FERRI, Presidente
Carlo MEZZANOTTE, Redattore
Depositata in cancelleria il 02/11/96.