ORDINANZA N.439
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 46 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 198 (Attuazione dell'art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino dei ruoli e modifica delle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del personale direttivo e non dirigente dell'Arma dei carabinieri), promossi con tre ordinanze emesse il 5 ottobre 1999 dal Tribunale amministrativo per la Sicilia - sezione II - iscritte ai nn. 618, 619 e 620 del registro ordinanze 2000, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell'anno 2000.
Visti gli atti di costituzione di Lombardo Giuseppe ed altri, Rizzo Valentino ed altri, Albanese Agostino ed altri, nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 novembre 2001 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.
Ritenuto che nel corso di tre giudizi, promossi con ricorso di alcuni sottufficiali dell’Arma dei carabinieri (tutti cessati dal servizio attivo anteriormente al 1° settembre 1995 in un periodo dal 1992 al 1995), e diretto ad ottenere il riconoscimento del diritto all'inquadramento nel ruolo degli ispettori di cui al decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 198 (Attuazione dell'art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino dei ruoli e modifica delle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del personale direttivo e non dirigente dell'Arma dei carabinieri), nella qualifica e nel livello retributivo previsto dalla tabella F (art. 54), il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia - sezione II -, con tre ordinanze di identico contenuto del 5 ottobre 1999, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 46 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 198, in ordine alla previsione della decorrenza della nuova disciplina, stabilita al 1° settembre 1995;
che il giudice a quo, condividendo i dubbi di legittimità costituzionale della norma denunciata sollevati dai ricorrenti, ha premesso che la questione sarebbe rilevante ai fini della decisione del ricorso, poichè proprio la censurata adozione del termine di decorrenza impedirebbe ai ricorrenti di poter usufruire dei benefici, che sarebbero scaturiti dalla pronuncia della Corte n. 277 del 1991, atteso che, nelle more gli stessi sono stati collocati in quiescenza;
che esigenze di ragionevolezza e di coerente ricostruzione del sistema avrebbero voluto che la rideterminazione dei ruoli, conseguente alla dichiarazione di incostituzionalità del precedente sistema, "muovesse quanto meno dalla situazione cristallizzata al momento della decisione della Corte";
che l’ordinanza del Tar sottolinea che sono rimasti esclusi dal beneficio proprio gli appartenenti alla categoria destinataria della predetta sentenza, che é stata la premessa della riforma e che avevano dato luogo al contenzioso;
che a seguito della sentenza n. 277 del 1991 - sempre secondo il giudice a quo - in sede di perequazione del trattamento economico dei sottufficiali dell’Arma dei carabinieri e delle corrispondenti categorie delle altre Forze di polizia, l’art. 2 della legge 6 marzo 1992, n. 216 (Conversione in legge del decreto-legge 7 gennaio 1992, n. 5, recante autorizzazione di spesa per la perequazione del trattamento economico dei sottufficiali dell'Arma dei carabinieri in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 277 del 3-12 giugno 1991 e all'esecuzione di giudicati, nonchè perequazione dei trattamenti economici relativi al personale delle corrispondenti categorie delle altre Forze di polizia. Delega al Governo per disciplinare i contenuti del rapporto di impiego delle Forze di polizia e del personale delle Forze armate nonchè per il riordino delle relative carriere, attribuzioni e trattamenti economici) aveva assegnato al Governo il termine del 31 dicembre 1992 per l'esercizio di una delega legislativa, termine, peraltro, non rispettato, fino alla emanazione del denunciato decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 198;
che l’ordinanza di rimessione della questione - a prescindere dalle ragioni che hanno determinato il ritardo quasi triennale dell’emanazione dei decreti legislativi - ritiene che non possa trovare applicazione il principio della discrezionalità legislativa della data di decorrenza delle nuove discipline, considerato che si é in presenza di "provvedimenti di legislazione delegata espressamente dichiarati esecutivi di un inequivoco pronunciamento di illegittimità costituzionale", la cui spesa e relativa copertura sarebbe stata prevista dal 1992;
che la violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione é ravvisata dal giudice rimettente sotto il profilo della discriminazione ingiustificata del personale in identica posizione sulla base di un elemento accidentale, cioé di trovarsi in servizio alla data del 1° settembre 1995, con ciò ledendo il principio del buon andamento della p.a.;
che in tutti i giudizi introdotti con le ordinanze sopra citate si sono costituiti i ricorrenti nei procedimenti a quibus, i quali condividono le argomentazioni addotte dal giudice rimettente e con una successiva memoria, nell’imminenza della camera di consiglio, hanno ampiamente illustrato le proprie tesi difensive, insistendo sul decorso del tempo per l’attuazione della delega come elemento discriminante e di sostanziale diseguaglianza tra i dipendenti della stessa amministrazione con evidente disparità di trattamento e sulla violazione dei principi di correttezza, imparzialità e buon andamento dell’amministrazione;
che nei giudizi é intervenuto anche il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la infondatezza della questione, sotto entrambi i profili di illegittimità costituzionale evidenziati; in ordine al primo, ha osservato che la scelta in concreto dei meccanismi di perequazione é riservata al legislatore ordinario, che deve operare il bilanciamento tra le varie esigenze nel quadro della politica economica generale e delle concrete disponibilità finanziarie; in ordine al secondo, la difesa erariale ha sottolineato che non può contrastare con il principio di uguaglianza un differenziato trattamento applicato alla stessa categoria di soggetti, ma in momenti diversi, poichè lo stesso fluire del tempo può costituire un elemento diversificatore.
Considerato che la questione sollevata, in maniera identica in tutti e tre i giudizi, riguarda la decorrenza dell’inquadramento nel ruolo degli ispettori del personale appartenente al ruolo sottufficiali ed il riferimento al requisito dell’essere in servizio alla data del 1° settembre 1995, stabiliti dall’art. 46 del d.lgs. 12 maggio 1995, n. 198;
che i profili di illegittimità costituzionale sono riferiti alla diseguaglianza e non ragionevolezza che si produrrebbe per il fatto di non ricomprendere, nel beneficio di inquadramento in una posizione superiore, i sottufficiali non più in servizio alla data del 1° settembre 1995 (requisito per l’inquadramento previsto dall’art. 46 del d.lgs. 12 maggio 1995, n. 198);
che stante la identità della questione si può procedere alla riunione dei giudizi;
che la invocata sentenza n. 277 del 1991 ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 43, comma diciassettesimo, della legge 1° aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell'amministrazione della pubblica sicurezza), della tabella C, allegata a detta legge, nonchè della nota in calce alla tabella, esclusivamente "nella parte in cui non includono le qualifiche degli ispettori di polizia, così omettendo l’individuazione della corrispondenza con le funzioni connesse ai gradi dei sottufficiali dell’Arma dei carabinieri";
che si deve escludere che dalla predetta sentenza possa dedursi o configurarsi un qualsiasi intervento additivo - del resto espressamente dichiarato precluso nella fattispecie - o che vi sia alcuna statuizione sulla corrispondenza di determinate funzioni o determinazione di retribuzione spettante a taluni sottufficiali dell’Arma dei carabinieri, essendo stati riconosciuti fondati solo i profili di contraddittorietà, irragionevolezza e di omissione di scelta legislativa;
che, come questa Corte ha avuto modo di sottolineare in più occasioni, il decreto-legge 7 gennaio 1992, n. 5, convertito, con modificazioni, in legge 6 marzo 1992, n. 216, é una tipica misura di perequazione del trattamento economico (oltre che del connesso regime ordinamentale), che rientra nella discrezionalità legislativa - fermo per ogni intervento legislativo il limite generale della ragionevolezza come svolgimento dell’art. 3 della Costituzione (ordinanze n. 331 e n. 151 del 1999); questa disciplina legislativa é andata oltre il semplice adeguamento alla statuizione di incostituzionalità contenuta nella sentenza n. 277 del 1991 (v. sentenze n. 63 del 1998 e n. 465 del 1997; ordinanze n. 331 e n. 151 del 1999);
che il legislatore con una scelta precisa ha voluto non solo colmare il vuoto di comparazione ed equiparazione dei sottufficiali dei carabinieri, ma anche procedere ulteriormente alla revisione dei ruoli, gradi e qualifiche e alla conseguente unificazione dei trattamenti economici di tutti i sottufficiali (e qualifiche corrispondenti) di polizia ad ordinamento civile e militare, compresi quelli mantenuti al di fuori dell’oggetto della citata pronuncia della Corte n. 277 del 1991 e delle conseguenti decisioni dei giudici amministrativi (ordinanze n. 331 e n. 151 del 1999);
che solo con il concreto esercizio della duplice delega legislativa contenuta negli artt. 2 e 3 della citata legge 6 marzo 1992, n. 216 - comprendente non solo le Forze di polizia, ma anche (elemento del tutto nuovo rispetto alla situazione precedente) il personale non dirigenziale delle Forze armate -, cioé con la revisione dei ruoli, dei gradi e delle qualifiche, si é potuta realizzare una completa omogeneizzazione economica;
che questa omogeneizzazione doveva attuarsi, in maniera inseparabile, parallelamente alla revisione delle procedure per disciplinare i contenuti del rapporto di impiego, e ad un completo equilibrio della disciplina degli ordinamenti del personale, con una sostanziale equiordinazione dei compiti e dei connessi trattamenti economici (v., da ultimo, ordinanza n. 331 del 1999), in modo innovativo rispetto alla semplice tendenza alla omogeneizzazione prevista dalla legge n. 121 del 1981 (v., per riferimenti, ordinanza n. 189 del 1999), con conseguente non manifesta irragionevolezza della non retroattività delle relative disposizioni;
che non risulta che vi sia per i ricorrenti nel giudizio a quo - tutti cessati dal servizio attivo in epoca anteriore alla data di riferimento del nuovo assetto con l’inquadramento in contestazione - una pendenza di giudizi o statuizioni giurisdizionali relativi all’anteriore livello retributivo e alla posizione di stato dei ricorrenti al momento della cessazione dal servizio attivo (in periodo oscillanti tra il 1992 ed il 1995), di modo che possa configurarsi una qualsiasi preesistente posizione tutelata anche costituzionalmente ad ottenere un trattamento economico superiore con effetti retroattivi o un reinquadramento c.d. "ora per allora";
che é evidente la sussistenza di una discrezionalità del legislatore nell’esercizio della delega legislativa e dei relativi tempi di attuazione, purchè entro il "tempo limitato" necessariamente fissato dal legislatore delegante (legge di delega originaria e successive proroghe);
che allo stesso modo il legislatore - ed anche quello delegato in mancanza di contrarie indicazioni di criteri nella legge di delega - può discrezionalmente adottare norme transitorie per il passaggio al nuovo ordinamento di pubblici dipendenti e per l’inquadramento innovativo del relativo personale e determinare il riferimento temporale del possesso di determinati requisiti soggettivi di servizio, non necessariamente retrodatati, nè tantomeno doverosamente risalenti alla data della legge di delega;
che non é manifestamente irragionevole nè palesemente arbitrario che il legislatore colleghi un beneficio di progressione di carriera o di livello economico alla persistenza in servizio ad una data (o alla cessazione dal servizio non anteriore dalla stessa data: cfr. ordinanze n. 101 del 1990 e n. 127 del 1991), fissata non necessariamente con effetto retroattivo. Vi é, altresì, un interesse non trascurabile della pubblica amministrazione di poter utilizzare il personale destinatario del beneficio o di contenere gli effetti finanziari, dovendo sempre l’organizzazione dell’amministrazione rispondere ad esigenze del servizio per il buon andamento della stessa, fermi in ogni caso i limiti derivanti dalla copertura finanziaria;
che, pertanto, la questione sollevata é manifestamente infondata sotto tutti i profili denunciati (artt. 3 e 97 della Costituzione).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 46 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 198 (Attuazione dell'art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino dei ruoli e modifica delle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del personale direttivo e non dirigente dell'Arma dei carabinieri), sollevata, in riferimento agli artt. 97 e 3 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia - sezione II - con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 dicembre 2001.
Cesare RUPERTO, Presidente
Riccardo CHIEPPA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 28 dicembre 2001.