ORDINANZA N. 151
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 13, comma 1, lettera d), e 15, comma 3, del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 197 (Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino delle carriere del personale non direttivo della Polizia di Stato), promossi con ordinanze emesse il 12 febbraio 1997 (n. tre ordinanze), il 12 marzo e il 12 febbraio 1997 (n. due ordinanze) dal Tribunale amministrativo regionale del Piemonte ed il 21 gennaio 1998 dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, rispettivamente iscritte ai nn. 517, 518, 519, 520, 521 e 522 del registro ordinanze 1997 ed al n. 546 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1997 e n. 34, prima serie speciale, dell'anno 1998.
Visto l'atto di costituzione di Mariani Francesco ed altri, nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 marzo 1999 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.
Ritenuto che, nel corso del giudizio su ricorsi collettivi proposti da numerosi sovrintendenti della Polizia di Stato nei confronti del rispettivo inquadramento nella qualifica di vice ispettore del nuovo ruolo degli ispettori, ai sensi dell’art. 13, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 197 (Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino delle carriere del personale non direttivo della Polizia di Stato), l’adito Tar del Piemonte, con ordinanza del 12 febbraio 1997 (R.O. n. 517 del 1997), ha sollevato questione di legittimità costituzionale della predetta norma, per contrasto con gli artt. 76, 97, 3 e 36 della Costituzione;
che, sotto il primo profilo, il Collegio rimettente ritiene che il decreto delegato de quo, nella parte impugnata, abbia obliterato le ragioni della legge delega, che erano, come emergerebbe dalla intitolazione della stessa, quelle di colmare il vuoto evidenziato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 277 del 1991; questa si era limitata a dichiarare la illegittimità costituzionale della mancata equiparazione tra gli ispettori della Polizia di Stato ed i sottufficiali dei Carabinieri, caducando l’art. 43, diciassettesimo comma, della legge 1° aprile 1981, n. 121, e la allegata tabella "C", relativamente a tale mancata equiparazione, mentre la delega era stata attribuita per determinare un nuovo assetto in linea con la predetta decisione, e, pertanto, essa era limitata nell’oggetto da tale finalità;
che l’ulteriore modifica posta in essere dal decreto legislativo n. 197 del 1995, secondo il Collegio a quo, non sarebbe rispettosa della delega stessa, nella parte in cui determinerebbe inquadramenti e scavalcamenti collocando le varie qualifiche in posizioni differenziate; prevederebbe criteri di progressione in carriera sperequati rispetto a quelli applicabili ai vice ispettori nominati a seguito di concorso ex art. 52 della legge n. 121 del 1981, aventi minore anzianità di servizio; limiterebbe - attraverso il richiamo, ad opera dell’art. 13, comma 4, al personale di cui alla lettera d) del comma 1 - la conservazione dell’anzianità posseduta nel ruolo dei sovrintendenti, ai fini dell’ammissione allo scrutinio di promozione alla qualifica di ispettore capo, ad un massimo di due anni; ricollocherebbe, in definitiva, il vecchio ruolo degli ispettori al di sopra di quello dei sovrintendenti, nonostante l’equiparazione tra i due ruoli, che sarebbe stata sancita dalla legge delega;
che, quanto alla lamentata violazione dell’art. 97 della Costituzione, non sarebbe conforme al principio della ottimizzazione della pubblica amministrazione la revisione dei principi organizzatori che avevano ispirato la riforma della Polizia;
che il vulnus all’art. 3 della Costituzione consisterebbe nella disparità di trattamento di situazioni già riconosciute omogenee;
che infine, secondo il Tar del Piemonte, gli inquadramenti disposti in base al d.lgs. n. 197 del 1995, nel comportare un generale appiattimento delle qualifiche, in cui verrebbe sacrificata l’anzianità di servizio maturata nel precedente ruolo, si porrebbero in contrasto con il principio della proporzionalità ed adeguatezza della retribuzione, di cui all’art. 36 della Costituzione, oltre a creare, nel generale assetto del personale, situazioni irragionevoli, ostacolando la progressione in carriera - o addirittura paralizzandola, come nel caso degli ispettori del ruolo ad esaurimento - con ulteriori conseguenze, sul piano della violazione, ancora, dell’art. 97 della Costituzione, sulla efficiente ed imparziale organizzazione degli uffici e sulla distribuzione delle responsabilità e delle competenze;
che nel giudizio introdotto con la citata ordinanza, é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità o la infondatezza della questione, confutando le dedotte ragioni di incostituzionalità;
che la medesima questione é stata sollevata dallo stesso Tar con altre tre ordinanze di contenuto identico (relative a vice sovrintendenti), due delle quali emesse il 12 febbraio 1997 (R.O. nn. 518 e 519 del 1997), e l’altra il 12 marzo 1997 (R.O. n. 520 del 1997);
che anche nei giudizi introdotti con tali ordinanze, é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso nei medesimi sensi;
che lo stesso Tar del Piemonte, con altre due ordinanze, emesse il 12 febbraio 1997 (R.O. nn. 521 e 522 del 1997), ha aggiunto, alla denuncia dell’art. 13, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 197 del 1995, quella, in riferimento ai medesimi parametri costituzionali, dell’art. 15, comma 3, dello stesso decreto legislativo, nella parte in cui prevede l’inquadramento dei sovrintendenti capo o principali nella qualifica di ispettore capo del ruolo ad esaurimento degli ispettori;
che anche in tale giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha proposto analoghe conclusioni;
che infine, il Tar della Sicilia, con ordinanza del 21 gennaio 1998 (R.O. n. 546 del 1998), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 15, comma 3, del d.lgs. n. 197 del 1995, in riferimento agli artt. 3, 97 e 76 della Costituzione: ad avviso del collegio rimettente, l’inquadramento forzoso dei sovrintendenti nell’istituito ruolo ad esaurimento, senza possibilità di opzione per il ruolo ordinario, o di un inquadramento a domanda, si frapporrebbe al diritto alla carriera di costoro, donde il contrasto con gli artt. 97 e 3 della Costituzione, avuto anche riguardo, per un verso, alla mancanza di esigenze eccezionali dell’amministrazione, per l’altro, alla circostanza che la previsione della possibilità, per gli ispettori capo del detto ruolo ad esaurimento, di essere scrutinabili per non oltre il cinquanta per cento dell’aliquota dei posti disponibili (a norma dell’art. 31-bis, primo comma, lettera a), del d.P.R. n. 335 del 1982, come modificato dal d.lgs. n. 197 del 1995), o, se in possesso del titolo di studio prescritto, di partecipare ai concorsi di cui alla lettera b) del predetto articolo, sarebbe di fatto vanificata dalla riserva prevista, per un periodo di quattro anni ed in relazione ad un contingente di 1000 posti all’anno, per l’ammissione alla selezione, in favore degli ispettori capo del ruolo ordinario, dall’art. 14 dello stesso d.lgs. n. 197 del 1995;
che nemmeno potrebbe ammettersi che, a parità di obblighi e funzioni, corrisponda una subordinazione funzionale degli ispettori capo del ruolo ad esaurimento rispetto a quelli del ruolo ordinario;
che del resto, la istituzione di un apposito ruolo ad esaurimento, sempre ad avviso del Tar, travalicherebbe, in contrasto con l’art. 76 della Costituzione, la delega legislativa, che avrebbe previsto tale possibilità solo in riferimento al personale con qualifica di assistente capo o equiparata in possesso della qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria, e che, comunque, avrebbe la finalità di provvedere, nell’ambito di una disciplina omogenea, al riordino delle carriere, e non al congelamento di qualche pregressa posizione, con preclusione ad un suo ordinato dispiegarsi;
che anche in tale giudizio ha spiegato intervento l’Avvocatura generale dello Stato, concludendo in modo identico.
Considerato che deve essere disposta la riunione dei giudizi stante la evidente parziale identità o connessione delle questioni proposte;
che questa Corte, con sentenza n. 63 del 1998, pronunciando in una serie di giudizi in cui erano stati proposti - rispetto alle ordinanze in esame - profili esattamente speculari riguardanti la posizione del personale proveniente dal ruolo ispettori rispetto a chi rivestiva la qualifica di sovrintendente e di vice sovrintendente, ha dichiarato l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento all’art. 3 del d.l. 7 gennaio 1992 n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 marzo 1992, n. 216, ha chiarito l’evoluzione legislativa successiva alla riforma della polizia del 1981 (caratterizzata dall’inizio della unificazione del trattamento economico per le forze di polizia mediante estensione di quello previsto per la Polizia di Stato: art 43 della legge n. 121 del 1981), ed ha individuato i contenuti della delega di cui all'art. 3 della predetta legge n. 216 del 1992;
che in particolare é stato affermato, con la citata sentenza n. 63 del 1998, che l’art. 3 del d.l. 7 gennaio 1992, n. 5, convertito, con modificazioni, in legge 6 marzo 1992, n. 216, é una tipica misura di perequazione del trattamento economico (oltre che del connesso regime ordinamentale) che rientra nella discrezionalità legislativa, fermo il limite generale per ogni intervento normativo della ragionevolezza, come svolgimento dell’art. 3 della Costituzione;
che tale discrezionalità ricomprende tanto la differenziazione del trattamento economico di categorie prima egualmente retribuite, che non incorre di per sè in violazione dei precetti costituzionali di cui agli artt. 3 e 36 della Costituzione (sentenza n. 133 del 1985), quanto la possibilità che nell’ambito del pubblico impiego siano attribuite voci retributive o indennità particolari in maniera uniforme per personale appartenente a figure e livelli differenti; ciò ovviamente, se non vi siano appiattimenti retributivi (sentenza n. 65 del 1997) o non si verifichino altre forme sintomatiche di palese arbitrarietà o di manifesta non ragionevolezza (sentenze n. 133 del 1996 e n. 217 del 1997);
che il legislatore può modificare nel numero (in riduzione o in aumento) i livelli retributivi, così come può procedere a riunificazioni di trattamenti economici, ampliando l’ambito dei livelli, fermo il limite della non palese arbitrarietà e della non manifesta irragionevolezza (sentenza n. 63 del 1998);
che il rapporto di proporzionalità della retribuzione ai fini dei principi desumibili dall’art. 36 della Costituzione deve essere effettuato in relazione al trattamento economico complessivo con riferimento alla categoria e al livello e non é suscettibile di differenziazioni personali nell’ambito del livello unificato, salvo quelle derivanti da anzianità o da particolari indennità o compensi per attività aggiuntive o comportanti maggiore impegno quantitativo o qualitativo (sentenza n. 63 del 1998);
che le predette norme (d.l. n. 5 del 1992 e legge di conversione con modifiche n. 216 del 1992) sono andate ben oltre il semplice adeguamento alla statuizione di incostituzionalità (per la parte relativa alla mancata comparazione tra ispettori e sottufficiali dei carabinieri nella tabella "C" allegata alla legge n. 121 del 1981) (sentenza n. 63 del 1998);
che il legislatore con una scelta precisa ha intenzionalmente voluto, non solo colmare il vuoto di comparazione ed equiparazione per i sottufficiali dei carabinieri, ma anche procedere ulteriormente alla unificazione (completa a decorrere dal 1° gennaio 1992) del trattamento economico (allineandolo sui livelli VI, VI-bis e VII) di tutti i sottufficiali (e qualifiche corrispondenti) di polizia, sia ad ordinamento militare che civile, compresi quelli mantenuti al di fuori sia dell’oggetto della pronuncia della Corte, sia delle conseguenti decisioni dei giudici amministrativi (sentenza n. 63 del 1998; v. anche sentenze n. 465 del 1997 e n. 455 del 1993);
che il legislatore del 1992, in considerazione delle più urgenti esigenze derivanti dall’intervento sui sottufficiali dei carabinieri, ha inteso ridurre - attraverso una compattazione verso l’alto (realizzata mediante un reinquadramento) delle posizioni economiche degli allora sovrintendenti (e vice sovrintendenti), riallineate alla originaria equiparazione tra sottufficiali - le discrasie e le differenze ben più gravi che si sarebbero verificate nei confronti degli stessi vice sovrintendenti rispetto alle altre forze di polizia (sentenza n. 63 del 1998);
che con questa operazione meramente meccanica ed economica non si raggiungeva un risultato ottimale nei trattamenti retributivi ed ordinamentali delle forze di polizia, nonostante che la legge n. 121 del 1981 avesse disposto l’omogeneizzazione (in linea di principio: v. sentenza n. 465 del 1997) dei trattamenti economici di tutte le forze di polizia, attraverso il meccanismo dell’estensione automatica e normativa mediante rinvio mobile al trattamento della Polizia di Stato, unica peraltro a conseguire contestualmente nuove forme organizzative e un nuovo ordinamento (sentenza n. 63 del 1998);
che questa Corte ha più volte sottolineato che il trattamento economico dell’anzidetto personale subiva i riflessi sostanziali derivanti dalle diverse forme di progressione nelle qualifiche e nei gradi, anche se l’omogeneizzazione economica era destinata ad affinarsi nel corso del tempo, nell’obiettivo di perseguire l’effettivo equilibrio di disciplina, che presuppone l’eliminazione di persistenti differenze o carenze di meccanismi di progressione in taluni ordinamenti e l’adeguamento di moduli ordinamentali (sentenze nn. 65 e 465 del 1997 e n. 63 del 1998);
che il legislatore non solo ha proceduto sulla strada della perequazione (semplicemente) economica delle forze di polizia, ma ha, con il conferimento di una duplice delega legislativa, avviato successive fasi dirette ad una ulteriore e sostanziale omogeneizzazione: la prima delega (art. 2, comma 1, della legge n. 216 del 1992) nella preoccupazione di non alterare gli equilibri tra i vari ordinamenti militari, da esercitarsi con un unico decreto legislativo su proposta del Ministero dell’interno di concerto con gli altri ministri interessati, aveva per oggetto la definizione "in maniera omogenea, nel rispetto dei principi fissati dai relativi ordinamenti di settore, stabiliti dalle leggi vigenti", delle procedure per disciplinare i contenuti del rapporto di impiego delle forze di polizia anche ad ordinamento militare, ai sensi della legge 1° aprile 1981, n. 121, nonchè del personale delle forze armate, ad esclusione dei dirigenti civili e militari e del personale di leva;
che la seconda delega (art. 3 della legge n. 216 del 1992), da esercitarsi con più decreti legislativi sulla base di unici criteri direttivi (diversi da quelli di cui all’art. 2), riguardava "le necessarie modifiche degli ordinamenti del personale" delle forze di polizia e delle forze armate, esclusi dirigenti e direttivi, "per il riordino delle carriere, delle attribuzioni e dei trattamenti economici, allo scopo di conseguire una disciplina omogenea, fermi restando i rispettivi compiti istituzionali, le norme fondamentali di stato, nonchè le attribuzioni delle autorità di pubblica sicurezza, previsti dalle vigenti disposizioni di legge"; inoltre per le anzidette finalità era espressamente contemplato che i decreti legislativi potessero "prevedere che la sostanziale equiordinazione dei compiti e dei connessi trattamenti economici sia conseguita attraverso la revisione di ruoli, gradi e qualifiche e, ove occorra, anche mediante la soppressione di qualifiche, gradi, ovvero mediante l’istituzione di nuovi ruoli, qualifiche e gradi con determinazione delle relative dotazioni organiche, ferme restando le dotazioni organiche complessive previste", con le occorrenti disposizioni transitorie (art. 3, comma 3, della legge n. 216 del 1992);
che il ruolo dei sovrintendenti é rimasto distinto da quello degli ispettori, essendosi operato in via transitoria un inquadramento degli allora sovrintendenti e vice sovrintendenti in qualifiche del ruolo ispettori, con un beneficio concesso al principale scopo di riallineare la originaria equiparazione tra sottufficiali e di ridurre le discrasie dovute alle differenze dei vice sovrintendenti e sovrintendenti rispetto alle altre forze di polizia (sentenza n. 63 del 1998);
che le norme impugnate costituiscono una scelta discrezionale di politica legislativa, esercitata, in modo non palesemente arbitrario nè manifestamente irrazionale, entro l’oggetto, i criteri e i principi direttivi della delega legislativa, come interpretata dalla sentenza n. 63 del 1998;
che questa Corte ha ripetutamente sottolineato l’esistenza di un’ampia discrezionalità del legislatore in tema di inquadramento del personale e di articolazione delle qualifiche, specie nel passaggio da un ordinamento all’altro (v., da ultimo, sentenze n. 217 del 1997; n. 4 del 1994; nn. 448 e 324 del 1993);
che d’altro canto le stesse norme impugnate non sono in contrasto con gli scopi fissati nel conferimento della delega, cioé di conseguire una disciplina omogenea di carriere, attribuzioni e trattamenti economici, collegata ai rispettivi compiti istituzionali, e una sostanziale equiordinazione dei compiti raggiungibile anche attraverso modifiche degli ordinamenti e dei ruoli con le occorrenti disposizioni transitorie;
che le ordinanze che hanno sollevato le questioni si basano, per quanto attiene alla violazione dell’art. 76 della Costituzione, su di una erronea interpretazione della delega legislativa, che non contiene un principio di conservazione integrale della anzianità posseduta nel precedente ruolo nelle ipotesi di inquadramento in posizione superiore, disposto in sede di regime transitorio, nè prevede una equiparazione tra ruolo dei sovrintendenti e ruolo degli ispettori;
che non sussiste un principio alla stregua del quale, in caso di inquadramento in un ruolo superiore o sovraordinato, debba essere garantita la conservazione della anzianità pregressa in funzioni non completamente equiparabili e comunque con minori responsabilità;
che la delega legislativa, ancorchè contestuale nella legge di conversione del d.l. che disponeva la equiparazione dei sottufficiali dei carabinieri, non aveva alcun collegamento (tantomeno limitativo), nell’oggetto e nei criteri direttivi, con il problema dell’attuazione della sentenza della Corte n. 277 del 1991, come del resto sottolineato nella citata sentenza n. 63 del 1998;
che non si può ravvisare lesione dell’art. 97 della Costituzione per il fatto che siano intervenute variazioni nell’assetto organizzatorio della pubblica amministrazione, che non sono di per sè indice di peggioramento anche se accompagnate da minori accrescimenti di posizioni economiche o di svolgimento di carriera di singoli o di gruppi di dipendenti, che pur sempre hanno ottenuto vantaggi e miglioramenti tutt'altro che insignificanti, anche se in misura inferiore a quanto desiderato dagli stessi; ciò quando le variazioni si inseriscono in un disegno dichiarato di politica normativa e in scelte (non palesemente arbitrarie nè manifestamente irragionevoli) discrezionali, tendenti alla razionalizzazione e alla omogeneizzazione di situazioni ordinamentali e trattamenti quali quelle delle forze di polizia e delle forze armate, evitando alterazioni settoriali e rincorse di rivendicazioni (sentenza n. 63 del 1998);
che nelle fattispecie considerate non si sono prodotti nè alterazioni alla omogeneità della disciplina o alla equiordinazione dei compiti e connessi trattamenti economici, nè tantomeno alcuno scavalcamento rispetto a posizioni anteriormente poziori, per cui non vi é alcuna violazione dei criteri di delega, nè vi é una manifesta irragionevolezza; mentre non esiste affatto un principio cogente sul piano costituzionale secondo il quale, quando, per effetto di norma di legge di carattere transitorio di passaggio tra due sistemi, vi sia un inquadramento in una qualifica o in ruolo superiori, vi debba essere una facoltà di opzione accordata ai singoli soggetti interessati, una volta che il legislatore abbia valutato le esigenze di un riordino di ruoli, qualifiche e funzioni;
che non esiste un principio che imponga la intangibilità degli sviluppi di carriera o delle aspettative di promozione o la conservazione delle pregresse anzianità in altra qualifica (con responsabilità e funzioni non coincidenti) del dipendente di pubblica amministrazione, essendo rimesso alla discrezionalità del legislatore stabilire il passaggio tra posizioni e sistemi ordinamentali modificati, con il limite della non manifesta irragionevolezza e nel rispetto del principio di buona amministrazione (v. sentenza n. 217 del 1997), nella specie osservati;
che pertanto deve essere dichiarata la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sotto ogni profilo denunciato.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, comma 1, lettera d), e 15, comma 3, del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 197 (Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino delle carriere del personale non direttivo della Polizia di Stato), sollevate, in riferimento agli artt. 76, 97, 3 e 36 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Piemonte con le ordinanze indicate in epigrafe;
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del predetto art. 15, comma 3, del decreto legislativo n. 197 del 1995, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 97 e 76 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 aprile 1999.
Renato GRANATA, Presidente
Riccardo CHIEPPA, Redattore
Depositata in cancelleria il 30 aprile 1999.