ORDINANZA N. 189
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici
- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 12 e 46, lettera a) del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 198 (Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino dei ruoli e modifica delle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del personale non direttivo e non dirigente dell’Arma dei Carabinieri), promossi con due ordinanze emesse il 4 marzo 1997 dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia sul ricorso proposto da Bernardi Augusto ed altri e da Parisi Giuseppe ed altri contro il Ministero della difesa, iscritte ai nn. 429 e 430 del registro ordinanze 1997 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell'anno 1997.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 marzo 1999 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.
Ritenuto che nel corso di due procedimenti promossi con ricorsi collettivi in sede di giurisdizione esclusiva da parte di un gruppo di marescialli maggiori "carica speciale" appartenenti all’Arma dei carabinieri, tendenti ad ottenere l’accertamento e conseguente declaratoria del diritto al riconoscimento di un livello superiore rispetto a quello previsto (VII-bis), il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, con due ordinanze del 4 marzo 1997, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 12 e 46 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 198 (Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino dei ruoli e modifica delle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del personale non direttivo e non dirigente dell’Arma dei carabinieri), in quanto dette norme hanno realizzato un accorpamento in un medesimo grado (maresciallo aiutante-sostituto ufficiale di P.S.) di gradi che in precedenza rivestivano una posizione "subordinata", rispettivamente, di maresciallo maggiore aiutante e maresciallo capo;
che il giudice a quo ritiene di dover aderire alla denuncia di illegittimità costituzionale delle norme indicate - formulata in subordine dai ricorrenti - sulla considerazione che l’art. 12 del d.lgs. n. 198 del 1995 avrebbe istituito il nuovo grado di maresciallo aiutante, sostituto ufficiale di P.S., nel quale sono confluiti, ai sensi del successivo art. 46 del medesimo decreto legislativo, non soltanto il precedente grado di maresciallo maggiore "carica speciale" (grado rivestito dai ricorrenti), ma anche i gradi di maresciallo maggiore, compresi quelli con qualifiche di "aiutante", nonchè i marescialli capo;
che in ordine alla rilevanza della questione, il giudice a quo sottolinea come, in applicazione della citata norma, non sia possibile attribuire un livello superiore rispetto a quello specificamente previsto dalla disposizione stessa, atteso che i ricorrenti, in sostanza, chiedono una differenziazione della loro posizione sulla base del diverso ruolo rivestito in precedenza rispetto agli altri gradi confluiti nello stesso livello;
che quanto alla prospettazione della questione, il giudice a quo deduce la violazione dei principi di ragionevolezza, buon andamento ed imparzialità, in relazione agli artt. 3 e 97 della Costituzione, assumendo - con riferimento alla giurisprudenza costituzionale ed amministrativa - la sussistenza di un limite alla discrezionalità del legislatore nello scegliere i sistemi di progressione di carriera, costituito dai principi testè enunciati, secondo i quali l’attività pregressa, l’anzianità maturata ed il grado acquisito devono essere congruamente e razionalmente valutati, "affinchè non appaia arbitraria la collocazione in uno stesso grado di dipendenti che, in precedenza, erano collocati sia sotto il profilo gerarchico che professionale in posizione subordinata";
che la questione viene prospettata anche con riferimento agli artt. 35 e 36 della Costituzione, giacchè, nella specie, si sarebbe avuta, sostanzialmente, una promozione ai fini giuridici ed economici dei marescialli maggiori, marescialli maggiori "aiutanti" e marescialli capo senza procedure congrue e ragionevoli in rapporto al fine da raggiungere ed all’interesse da soddisfare e senza alcuna valutazione concreta caso per caso di una meritevolezza professionale;
che, infine, viene dedotta la violazione dell’art. 76 della Costituzione, giacchè il decreto legislativo non avrebbe provveduto alla istituzione di nuovi ruoli, qualifiche e gradi, come previsto dall’art. 3, comma 3, della legge delega 6 marzo 1992, n. 216, tenendo conto della specificità delle situazioni, ma, andando al di là di quanto previsto dalla legge delega, avrebbe accorpato in uno stesso grado, quello di maresciallo aiutante-sostituto ufficiale di P.S., anche gradi in precedenza sotto ordinati, operando, in certe situazioni, addirittura uno scavalcamento dovuto alla diversa anzianità di servizio;
che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità nonchè per la manifesta infondatezza della questione, osservando, tra l'altro, che la disposizione in questione conferisce il grado di maresciallo aiutante sostituto ufficiale di P.S. a soggetti che rivestono tutti il grado di maresciallo maggiore e che le qualifiche di "aiutante" e di "carica speciale" non costituiscono il conseguimento di un grado superiore;
che, infatti, l'art. 1, comma 15-ter, del d.l. 16 settembre 1987, n. 379, convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1987, n. 468, ha istituito la "carica speciale" disciplinandola come una forma di specializzazione funzionale di particolare qualificazione senza collegarla all’attribuzione di una prevalenza gerarchica, nè a modifiche della posizione in ruolo.
Considerato che deve essere disposta la riunione dei giudizi stante la evidente identità delle questioni proposte;
che questa Corte con sentenza n. 63 del 1998, pronunciando in una serie di giudizi in cui erano stati proposti - rispetto alle ordinanze in esame - profili in parte connessi, riguardanti la posizione del personale proveniente dal ruolo ispettori rispetto a chi rivestiva la qualifica di sovrintendente e di vice sovrintendente, ha dichiarato l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento all’art. 3 del d.l. 7 gennaio 1992, n. 5, convertito, con modificazioni, nella legge 6 marzo 1992, n. 216, chiarendo l’evoluzione legislativa successiva alla riforma della polizia del 1981 (caratterizzata dall’inizio della unificazione del trattamento economico per le Forze di polizia mediante estensione di quello previsto per la Polizia di Stato: art. 42 della legge n. 121 del 1981) ed individuando i contenuti della delega del suddetto art. 3;
che in particolare é stato affermato, con la citata sentenza n. 63 del 1998, che l’art. 3 del d.l. 7 gennaio 1992, n. 5, convertito con modificazioni nella legge 6 marzo 1992, n. 216 é una tipica misura di perequazione del trattamento economico (oltre che del connesso regime ordinamentale) che rientra nella discrezionalità legislativa, fermo il limite generale per ogni intervento normativo della ragionevolezza, come svolgimento dell’art. 3 della Costituzione;
che tale discrezionalità ricomprende tanto la differenziazione del trattamento economico di categorie prima egualmente retribuite, che non incorre di per sè in violazione dei precetti costituzionali di cui agli artt. 3 e 36 (sentenza n. 133 del 1985), quanto la possibilità che nell’ambito del pubblico impiego siano attribuite voci retributive o indennità particolari in maniera uniforme per personale appartenente a figure e livelli differenti; ciò, ovviamente, se non vi siano appiattimenti retributivi (sentenza n. 65 del 1997) o non si verifichino altre forme sintomatiche di palese arbitrarietà o di manifesta non ragionevolezza (sentenze n. 133 del 1996 e n. 217 del 1977);
che il legislatore può modificare nel numero (in riduzione o in aumento) i livelli retributivi, così come può procedere a riunificazioni di trattamenti economici, ampliando l’ambito dei livelli, fermo il limite della non palese arbitrarietà e della non manifesta irragionevolezza (sentenza n. 63 del 1998);
che il rapporto di proporzionalità della retribuzione ai fini dei principi desumibili dall’art. 36 della Costituzione deve essere effettuato in riferimento al trattamento economico complessivo in relazione alla categoria ed al livello e non é suscettibile di differenziazioni personali nell’ambito del livello unificato, salvo quelle derivanti da anzianità o da particolari indennità o compensi per attività aggiuntive o comportanti maggiore impegno quantitativo o qualitativo (sentenza n. 63 del 1998);
che la delega contenuta nell’art. 3 della legge n. 216 del 1992, da esercitarsi con più decreti legislativi sulla base di unici criteri direttivi (diversi da quelli di cui all’art. 2) riguardava "le necessarie modifiche degli ordinamenti del personale" delle forze di polizia e delle forze armate, esclusi dirigenti e direttivi, "per il riordino delle carriere, delle attribuzioni e dei trattamenti economici, allo scopo di conseguire una disciplina omogenea, fermi restando i rispettivi compiti istituzionali, le norme fondamentali di stato, nonchè le attribuzioni delle autorità di pubblica sicurezza, previsti dalle vigenti disposizioni di legge"; inoltre, per le anzidette finalità, era espressamente contemplato che i decreti legislativi potessero "prevedere che la sostanziale equiordinazione dei compiti e dei connessi trattamenti economici sia conseguita attraverso la revisione di ruoli, gradi e qualifiche e, ove occorra, anche mediante la soppressione di qualifiche o gradi, ovvero mediante l’istituzione di nuovi ruoli, qualifiche o gradi con determinazione delle relative dotazioni organiche, ferme restando le dotazioni organiche complessive previste" con le occorrenti disposizioni transitorie (art. 3, comma 3, della legge n. 216 del 1992; ordinanza n. 151 del 1999);
che questa Corte con la citata sentenza n. 63 del 1998 ha escluso che il cambiamento verso l’alto di un livello retributivo tabellare di una categoria di personale dipendente della pubblica amministrazione debba, in ogni caso, comportare la necessità di innalzare i livelli superiori, in modo da esigere l’ulteriore avanzamento di un "gradino" di coloro che erano in precedenza in posizione sovraordinata, potendo i livelli retributivi essere modificati nel numero (in riduzione o in aumento), così come può pervenirsi a riunificazioni di trattamenti economici, ampliando l’ambito dei livelli, ciò naturalmente fermo il limite della non palese arbitrarietà e della non manifesta irragionevolezza;
che del resto l’innalzamento in base a legge di un livello retributivo con accorpamento a livello superiore di intere qualifiche non comporta un meccanismo di promozioni con le relative garanzie procedimentali amministrative;
che gli stessi principi a maggior ragione possono essere integralmente applicati quando si proceda a modifiche (con operazioni di accorpamento verso l’alto) di qualifiche funzionali o gradi o di posizioni speciali, specialmente in sede di riassetto degli ordinamenti in un disegno di omogeneizzazione di carriere, attribuzioni e trattamenti economici, e di sostanziale equiordinazione dei compiti, raggiungibile anche attraverso modifiche degli ordinamenti e dei ruoli con le occorrenti disposizioni transitorie relative agli inquadramenti;
che la posizione di maresciallo maggiore con qualifica "carica speciale" non rappresentava un vero e proprio grado, bensì costituiva una abilitazione conferita (anche se in determinati periodi a seguito di procedura selettiva) a taluni marescialli maggiori (tali rimasti nel grado) per l’esercizio di alcune funzioni particolari ancorchè comportanti maggiori responsabilità, quale specializzazione funzionale di particolare qualificazione;
che, del resto, la legge di delega (art. 3 della legge n. 216 del 1992) - si noti, non investita da censure di incostituzionalità per questo riguardo - prevedeva un’ampiezza di interventi sugli ordinamenti - allo scopo di conseguire una disciplina "omogenea" e di raggiungere una "equiordinazione" di compiti e connessi trattamenti economici - per il riordino delle carriere, delle attribuzioni e dei trattamenti economici, con previsione espressa della revisione di ruoli, gradi e qualifiche fino alla soppressione di qualifiche e gradi; di qui la piena legittimità, anche sotto il profilo dell’art. 76 della Costituzione, della scelta discrezionale del legislatore delegato, che si é attenuto ai criteri e principi direttivi citati;
che inevitabilmente la scelta legislativa di soppressione di gradi e qualifiche o posizioni speciali o comunque di accorpamento di posizioni in precedenza differenziate, proprio perchè procedeva alla eliminazione di particolari previsioni non rispondenti alla esigenza di comparabilità ed equiordinazione dei gradi e delle qualifiche e posizioni (e del connesso trattamento economico) di tutte le forze di polizia, doveva comportare la parificazione di livelli per soggetti appartenenti alle precedenti differenti posizioni riunificate, con il consueto limite della non palese arbitrarietà e della non manifesta irragionevolezza, e quindi con esclusione di situazioni di sostanziale scavalcamento;
che, in sostanza, in operazioni di revisione ordinamentale i benefici conseguiti da singole categorie o livelli di personale non debbono essere necessariamente identici o equivalenti a quelli dell’altro personale non appartenente alla stessa categoria o livello, ma dipendono, come nella specie, dalle esigenze di riassetto organizzativo e di omogeneizzazione tra le varie forze di polizia e forze armate, con il limite inderogabile della esclusione di scavalcamenti retributivi o di trattamenti discriminanti rispetto a precedente identità di compiti e trattamento economico (identità di posizioni retributive e funzionali), ipotesi non sussistenti nelle fattispecie in contestazione;
che le norme impugnate costituiscono una scelta di politica legislativa, esercitata, in modo non arbitrario nè manifestamente irrazionale, entro l’oggetto, i criteri e i principi direttivi della delega legislativa, come interpretata dalla sentenza n. 63 del 1998;
che d’altro canto le stesse norme impugnate non sono in contrasto con gli scopi fissati nel conferimento della delega, cioé di conseguire una disciplina omogenea di carriere, attribuzioni e trattamenti economici, collegata ai rispettivi compiti istituzionali, e una sostanziale equiordinazione dei compiti raggiungibile anche attraverso modifiche degli ordinamenti e dei ruoli con le occorrenti disposizioni transitorie;
che pertanto deve essere dichiarata la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sotto ogni profilo denunciato;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 12 e 46, lettera a), del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 198 (Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino dei ruoli e modifica delle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del personale non direttivo e non dirigente dell’Arma dei carabinieri), sollevata, in riferimento, agli artt. 3, 35, 36, 76 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 maggio 1999.
Giuliano VASSALLI, Presidente
Riccardo CHIEPPA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 25 maggio 1999.