ORDINANZA N.414
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 6, comma 10, e 13, comma 8, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 186 - recte: n. 286 - (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promosso con ordinanza emessa il 29 novembre 2000 dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia - sezione staccata di Catania - sul ricorso proposto da Croos Warnakulasuriya Anton Claude Mahinda contro la Questura di Catania ed altra, iscritta al n. 238 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 2001.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 ottobre 2001 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.
Ritenuto che con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia - sezione staccata di Catania - l’extracomunitario Croos Warnakulasuriya Anton Claude Mahinda ha impugnato, chiedendone l’annullamento, il provvedimento del Questore della Provincia di Catania di rigetto dell’istanza tendente ad ottenere il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato;
che, successivamente, il medesimo ricorrente ha impugnato con nuovo ricorso, inserito nello stesso fascicolo e considerato come proposizione di motivi aggiunti, il susseguente provvedimento prefettizio di espulsione dal territorio nazionale;
che il Tribunale amministrativo regionale, con ordinanza del 29 novembre 2000, ha sollevato, d’ufficio, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 6, comma 10, e 13, comma 8, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 186 - recte: 286 - (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nella parte in cui non devolvono ad un unico giudice e, segnatamente, al giudice amministrativo, le controversie relative al soggiorno degli stranieri in Italia;
che, sul punto della rilevanza, il collegio rimettente precisa che l’esito favorevole del ricorso avrebbe come unico ed indefettibile presupposto la declaratoria di illegittimità costituzionale della normativa impugnata, avendo il ricorrente, nel giudizio a quo, adìto, ai sensi dell’art. 6, comma 10, del citato decreto legislativo n. 286, il giudice amministrativo per l’annullamento del diniego espresso dal Questore della Provincia di Catania sulla istanza di regolarizzazione del permesso di soggiorno;
che, successivamente, lo stesso ricorrente aveva impugnato con motivi aggiunti, dinanzi al medesimo tribunale, il decreto prefettizio di espulsione dal territorio nazionale, che avrebbe dovuto essere impugnato, ai sensi dell’art. 13, comma 8, del medesimo decreto legislativo, dinanzi al giudice ordinario entro cinque giorni;
che, in ordine a quest’ultimo provvedimento di espulsione - impugnato con motivi aggiunti consistenti, tra l’altro, nella sola censura di illegittimità derivata dal provvedimento di diniego di regolarizzazione espresso dal Questore -, il giudice a quo ritiene che dovrebbe essere dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice adìto in favore del giudice ordinario, con conseguente perdita di ogni tutela giurisdizionale, che l’errore sulla giurisdizione comporterebbe;
che, sempre secondo il Tar, non potrebbe esser fatta valere, dinanzi al giudice ordinario, la rimessione in termini prevista dall’art. 184-bis cod. proc. civ., laddove invece il giudice amministrativo potrebbe valutare la scusabilità dell’errore (artt. 34 e 36 del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, recante "Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato"), nè sarebbe possibile utilizzare l’istituto della riassunzione della causa a norma dell’art. 50 cod. proc. civ., con gli effetti della translatio iudicii nella ipotesi in cui il giudice amministrativo abbia declinato la propria giurisdizione;
che ad avviso del Tar rimettente le norme denunciate recherebbero vulnus agli artt. 3 e 24 della Costituzione, in quanto si porrebbero in contrasto con il principio di ragionevolezza e con il diritto di difesa: la frammentazione della giurisdizione in materia non avrebbe ragion d’essere, trattandosi sempre di situazioni di diritto soggettivo, in quanto sia i provvedimenti che attengono al "soggiorno" dello straniero, sia il decreto di espulsione inciderebbero sul diritto di circolazione e soggiorno, garantito dall’art. 16 della Costituzione;
che non vi sarebbe, ad avviso del giudice a quo, alcun ostacolo dogmatico alla concentrazione della tutela presso l’uno o l’altro giudice, mentre sarebbe coerente con lo spirito della recente riforma del processo amministrativo una soluzione che prevedesse la devoluzione dell’intera materia al giudice amministrativo ai sensi dell’art. 21, comma 1, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali) nella formulazione introdotta dalla legge 21 luglio 2000, n. 205 (Disposizioni sulla giustizia amministrativa) ("Tutti i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti, connessi all’oggetto del ricorso stesso, sono impugnati mediante proposizione di motivi aggiunti"), poichè i procedimenti, culminati con i provvedimenti impugnati, potrebbero essere considerati o sub-procedimenti di un medesimo procedimento in senso lato ovvero procedimenti collegati;
che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità della questione, sottolineando il carattere perplesso ed ipotetico della questione, così come sollevata e la discrezionalità politica del legislatore, non sindacabile neanche dinanzi alla Corte costituzionale, circa la scelta della giurisdizione cui affidare la conoscibilità di determinate materie;
che, nel merito, l’Avvocatura ha concluso per la infondatezza della questione sollevata, richiamando il costante insegnamento della giurisprudenza costituzionale, secondo cui, a fronte di due possibili interpretazioni, una delle quali il giudice ritenga conforme a Costituzione, di questa dovrebbe farsi applicazione; sottolineando, inoltre, che la ripartizione di competenze tra le due giurisdizioni sarebbe puramente tendenziale e più volte derogata, senza, peraltro, che siano stati lamentati inconvenienti che abbiano inciso sulla razionalità del sistema o sul diritto di difesa e della tutela giurisdizionale.
Considerato che preliminarmente deve essere precisato che nella questione sollevata nel presente giudizio (incidentale rispetto ad un ricorso avanti al Tar) non vengono in rilievo i profili relativi ai poteri ed alle facoltà del giudice ordinario in ordine all’errore scusabile ai fini della rimessione in termini, nè alla possibilità per la parte ricorrente di utilizzare, avanti al giudice ordinario, l’istituto della riassunzione della causa ai sensi dell’art. 50 cod. proc. civ.;
che gli inconvenienti che ad un soggetto deriverebbero da un errore esclusivo dello stesso soggetto o del suo rappresentante, non possono di per sè risolversi in motivi di illegittimità costituzionale, nè può invocarsi la intervenuta (conseguente all’errore) scadenza di termini processuali, stabiliti a pena di decadenza, per invocare la illegittimità costituzionale di norme che provvedono a ripartire la giurisdizione ed a determinare le rispettive procedure, al fine esclusivo di superare la preclusione derivante dal difetto di giurisdizione e la conseguente scadenza (verificatasi) di termini processuali;
che resta rimesso alla scelta discrezionale del legislatore ordinario - suscettibile di modificazioni in relazione ad una valutazione delle esigenze di giustizia e ad un diverso assetto dei rapporti sostanziali - il conferimento al giudice ordinario o al giudice amministrativo del potere di conoscere ed eventualmente annullare un atto della pubblica amministrazione o di incidere sui rapporti sottostanti secondo le tipologie degli interventi giurisdizionali (sentenza n. 275 del 2001);
che, allo stesso modo, rientra nella discrezionalità del legislatore, ripartire, a seconda della tipologia e del contenuto dell’atto, la giurisdizione tra il giudice amministrativo ed il giudice ordinario, conferendo anche un eventuale potere di annullamento con gli effetti previsti dalla legge (v. ordinanza n. 165 del 2001);
che il provvedimento prefettizio di espulsione di un cittadino extracomunitario dal territorio nazionale é ben diverso dagli altri provvedimenti in ordine al permesso di soggiorno (art. 5 del d.lgs. n. 286 del 1998), attribuiti alla giurisdizione del giudice amministrativo (art. 6, comma 10, del d.lgs. n. 286 del 1998), dal punto di vista dei poteri e della discrezionalità esercitata, dei presupposti oggettivi e soggettivi, della sfera dei diritti soggettivi coinvolti e delle esigenze di garanzie (art. 18, comma 2);
che, pertanto, deve escludersi una palese irragionevolezza nella scelta discrezionale del legislatore di attribuire la tutela nei riguardi dei provvedimenti di espulsione alla giurisdizione del giudice ordinario, per le implicazioni, nella quasi totalità dei casi necessarie, sulla libertà personale e non solo sulla libertà di circolazione dello straniero (v. sentenza n. 105 del 2001; ordinanza n. 297 del 2001), che si trovi nel territorio nazionale al di fuori dei limiti di vigilanza della frontiera, per la esigenza di misure coercitive per il trattenimento e l’accompagnamento alla frontiera;
che qualunque sia l’interpretazione da dare all’ampiezza della innovazione processuale dell’ambito dei motivi aggiunti (legge 21 luglio 2000, n. 205, recante "Disposizioni sulla giustizia amministrativa", art. 1, comma 1, con sostituzione dell’art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, in particolare v. il primo comma) come mezzo per impugnare i provvedimenti sopravvenuti, connessi all’oggetto del ricorso originario, adottati tra le stesse parti in pendenza del ricorso stesso, certamente la norma consente un simultaneo processo, con riunione di azioni ed ampliamento dell’ambito originario, ma presuppone sempre che la domanda e l’oggetto nuovi rientrino nella giurisdizione del giudice amministrativo adito;
che, infatti, non esiste sul piano costituzionale una esigenza inderogabile che, una volta iniziato un giudizio tra due soggetti, tutti i rapporti e le pretese successive debbano subire una concentrazione (non prevista dalla procedura) avanti ad unico giudice, in deroga ad ogni diversa previsione di riparto di giurisdizione ed al principio di precostituzione del giudice;
che non sono isolate le differenziazioni di tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione, secondo le fasi procedimentali e la posizione fatta valere dal privato, come ad esempio nella tutela contro il decreto di espropriazione e la liquidazione della indennità di esproprio;
che non si può configurare una violazione dell’art. 24 della Costituzione, quando il sistema giurisdizionale preveda, in termini chiari e conoscibili, una effettiva ed ampia possibilità di tutela per tutti i provvedimenti che possono ledere un soggetto, ripartendola tra distinti procedimenti giurisdizionali, per alcuni atti avanti al giudice ordinario e per altri innanzi al giudice amministrativo, secondo una scelta non palesemente irragionevole o manifestamente arbitraria, come sopra rilevato;
che d’altro canto, dovendosi escludere l’esistenza di pregiudizialità amministrativa nella materia considerata, il soggetto privato avrebbe potuto trovare piena tutela contro il provvedimento di espulsione avanti al giudice ordinario, che avrebbe potuto esercitare un sindacato incidentale sul presupposto atto di rifiuto o di rinnovo di permesso di soggiorno (e disapplicarlo), con effetti di illegittimità derivata sull’atto oggetto della sua giurisdizione piena, ovviamente se ritualmente adita.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 6, comma 10, e 13, comma 8, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia - sezione staccata di Catania - con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 2001.
Cesare RUPERTO, Presidente
Riccardo CHIEPPA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 18 dicembre 2001