ORDINANZA N. 9
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente
- Massimo VARI
- Cesare RUPERTO
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di ammissibilità del conflitto tra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera della Camera dei deputati del 23 marzo 1999 relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dall'on. Vittorio Sgarbi nei confronti del dott. Giancarlo Caselli, promosso dalla Corte di appello di Roma – sezione terza penale, con ricorso depositato l'11 settembre 2000 ed iscritto al n. 167 del registro ammissibilità conflitti.
Udito nella camera di consiglio del 13 dicembre 2000 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.
Ritenuto che, nell'ambito del giudizio d’appello avverso la sentenza di condanna dell’on. Vittorio Sgarbi per il reato di diffamazione aggravata a mezzo stampa nei confronti di Giancarlo Caselli, la Corte d’appello di Roma ha sollevato conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato contro la deliberazione della Camera dei deputati del 23 marzo 1999, con cui tale Assemblea ha dichiarato che i fatti per i quali l’on. Sgarbi é sottoposto al suddetto procedimento penale concernono opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni di parlamentare, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione;
che la Corte d’appello, dopo aver richiamato la giurisprudenza costituzionale relativa all’oggetto del conflitto di attribuzione ed al nesso funzionale che deve intercorrere tra le opinioni espresse e l’attività parlamentare, rileva come nel caso di specie non possa ravvisarsi alcun nesso di tal genere, "stante la non riscontrabilità di connessione con atti tipici della funzione parlamentare, in quanto non é possibile individuare ... un intento divulgativo di una scelta o, più in generale, di una attività politico–parlamentare". Al contrario, le dichiarazioni incriminate avrebbero "natura di insulto personale" e sarebbero scollegate ed estranee rispetto a qualunque valutazione politica, come sarebbe dimostrato "dalla loro genericità e dalla carenza di riferimenti a fatti concreti, specifici, determinati". Nè "il fatto che si tratti di argomento politicamente rilevante e trattato in più occasioni da un deputato" comporterebbe di per sè "che ci si trovi in presenza di esercizio della funzione parlamentare, da ravvisare solo quando tale attività sia correlabile ad uno specifico atto tipico";
che pertanto, secondo la Corte d’appello, la deliberazione della Camera esorbiterebbe dall’ambito derogatorio consentito dall’art. 68 della Costituzione, con la conseguente violazione degli artt. 101, secondo comma, 102, primo comma, e 104, primo comma, Cost. – che assegnano la titolarità della funzione giurisdizionale alla magistratura e tutelano la legalità e l’indipendenza del suo esercizio – nonchè degli artt. 3, primo comma, Cost. – per la disparità di trattamento che verrebbe introdotta tra cittadini e parlamentari – e 24, primo comma, Cost. – per l’impossibilità della parte lesa a fruire della tutela giurisdizionale, solo perchè é stata offesa da un parlamentare.
Considerato che, in questa fase del giudizio, a norma dell'art. 37, quarto comma, della legge n. 87 del 1953, la Corte costituzionale é chiamata a deliberare, senza contraddittorio, se "esiste la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza", restando impregiudicata ogni ulteriore decisione, anche in punto di ammissibilità;
che nella fattispecie sussistono i requisiti, soggettivo ed oggettivo, del conflitto (cfr., da ultimo, le ordinanze n. 91, n. 150 e n. 389 del 2000);
che infatti, quanto al primo, devono ritenersi legittimati ad essere parti del presente conflitto sia la Corte d’appello di Roma – essendo principio costantemente affermato da questa Corte che i singoli organi giurisdizionali, esplicando le loro funzioni in situazione di piena indipendenza, costituzionalmente garantita, sono da considerarsi legittimati, attivamente e passivamente, ad essere parti di conflitti di attribuzione – sia la Camera dei deputati – in quanto organo competente a dichiarare definitivamente la propria volontà in ordine all’applicabilità dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;
che, quanto al profilo oggettivo, sussiste la materia del conflitto, dal momento che la ricorrente lamenta la lesione della propria sfera di attribuzioni, costituzionalmente garantita, da parte della citata deliberazione della Camera dei deputati;
che la forma dell’ordinanza, utilizzata per proporre il ricorso, deve ritenersi idonea per una valida instaurazione del conflitto – ove sussistano sostanzialmente i requisiti richiesti – come ripetutamente affermato da questa Corte (cfr., ex plurimis, le sentenze n. 10, n. 11 e n. 82 del 2000);
che dal ricorso possono ricavarsi "le ragioni del conflitto" e "le norme costituzionali che regolano la materia", come richiesto dall’art. 26 delle norme integrative per i giudizi avanti la Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione proposto dalla Corte d’appello di Roma nei confronti della Camera dei deputati con il ricorso indicato in epigrafe;
dispone:
a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza alla Corte d’appello di Roma, ricorrente;
b) che, a cura della ricorrente, il ricorso e la presente ordinanza siano notificati alla Camera dei deputati, in persona del suo Presidente, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione, per essere poi depositati presso la cancelleria della Corte entro venti giorni dalla notifica.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 2000.
Fernando SANTOSUOSSO, Presidente e Redattore
Depositata in cancelleria il 4 gennaio 2001.