SENTENZA N. 82
ANNO 2000REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Francesco GUIZZI, Presidente
- Cesare MIRABELLI
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Cesare RUPERTO
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera della Camera dei deputati del 30 settembre 1998 relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dall'on. Vittorio Sgarbi nei confronti del dott. Antonio Abrami, promosso con ricorso del Tribunale di Roma notificato il 26 luglio 1999, depositato in cancelleria il 2 agosto 1999 ed iscritto al n. 26 del registro conflitti 1999.
Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
udito nell'udienza pubblica del 22 febbraio 2000 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;
udito l'avvocato Giuseppe Abbamonte per la Camera dei deputati.
Ritenuto in fatto
1.— Nel corso di un procedimento penale a carico dell’on. Vittorio Sgarbi, imputato del reato di diffamazione per le dichiarazioni rilasciate nei confronti del dott. Antonio Abrami, Pretore di Venezia, il Tribunale di Roma, con ordinanza del 1° dicembre 1998, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla delibera del 30 settembre 1998 con la quale quest’ultima ha dichiarato che le suddette opinioni sono da ritenersi espresse nell’esercizio delle funzioni di parlamentare, e quindi coperte da insindacabilità ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.
Il Tribunale ricorrente osserva che la Camera, senza alcuna motivazione, ha contraddetto il parere espresso dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere, che aveva invece proposto di escludere l’insindacabilità in conseguenza del carattere prettamente personale della polemica intercorsa tra l’on. Sgarbi ed il Pretore Abrami.
Nel caso specifico, il deputato aveva usato espressioni ritenute diffamatorie nei confronti di detto giudice a causa di una sentenza penale di condanna da quest’ultimo emessa nei suoi confronti. Da ciò consegue, secondo il ricorrente, che tali dichiarazioni (tra le quali: “Quel pretore è un ignorante, un provocatore, 186 pagine di delirio giuridico. Abrami dovrebbe tornare in terza elementare.”), profferite in ambito estraneo al Parlamento, debbono ritenersi null’altro che una questione personale, alla quale non può ricollegarsi in alcun modo l’esercizio delle funzioni di deputato.
Osserva peraltro il Tribunale che la delibera di insindacabilità, benché illegittima, conserva comunque la sua efficacia e preclude al giudice di merito di formulare una qualsivoglia pronuncia senza aver prima sollevato il conflitto di attribuzione. Pertanto, il Tribunale di Roma ha denunziato lo scorretto uso del potere della Camera nell'accertare la sussistenza dei presupposti di applicabilità dell’art. 68, primo comma, della Costituzione nei confronti dell'on. Sgarbi.
2.— Con ordinanza n. 363 del 22 luglio 1999 la Corte costituzionale ha dichiarato ammissibile il conflitto in parola, assegnando al Tribunale di Roma il termine di sessanta giorni per la notifica del provvedimento alla Camera dei deputati.
Il ricorrente ha effettuato la notifica il 26 luglio ed ha quindi depositato il ricorso notificato, presso la cancelleria della Corte costituzionale, il 2 agosto 1999.
3.— Costituendosi in giudizio, la Camera dei deputati ha chiesto che la Corte costituzionale rigetti il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dal Tribunale di Roma, annullando gli atti compiuti dall'autorità giudiziaria. In una successiva memoria difensiva depositata nell'imminenza dell'udienza pubblica di discussione, la Camera ha concluso per l'inammissibilità e, in subordine, per il rigetto del ricorso stesso. Essa sottolinea che la deliberazione oggetto del conflitto non sarebbe immotivata, dovendosi ricercare le ragioni di essa nel dibattito che l'ha preceduta, dal quale emergerebbe anche il nesso delle opinioni espresse dall'on. Sgarbi con le funzioni parlamentari.
Secondo la difesa della Camera, occorrerebbe prendere le mosse dall'eccessiva ampiezza della sentenza emessa dal dott. Abrami e dall'estraneità del suo contenuto rispetto al fatto oggetto del giudizio penale, costituito da presunte assenze dall'ufficio e dalle relative false certificazioni mediche. Tale abnorme dilatazione della motivazione avrebbe investito l'intera esistenza dell'on. Sgarbi, con indagini sulla sua vita, sulle sue ricerche e sulla sua produzione scientifica. E tutto ciò solo perché si giudicava per il reato di diffamazione un noto parlamentare, critico e studioso d'arte.
Ci si troverebbe dunque, ad avviso della Camera, di fronte ad una "motivazione politica", che rappresenterebbe un'indebita fuoriuscita dalle attribuzioni dell'autorità giurisdizionale: al che avrebbe legittimamente reagito l'on. Sgarbi, denunciando, attraverso la critica della motivazione e del suo estensore, una palese disfunzione giudiziaria; denuncia che rientrerebbe nell'esercizio del mandato politico di parlamentare, con la conseguente applicabilità dell'art. 68 della Costituzione.
Su tale fondamentale aspetto del conflitto di attribuzione non avrebbe preso posizione il Tribunale di Roma, omettendo l'esame della situazione venutasi a creare con la sentenza del Pretore. Il ricorso risulterebbe, quindi, inammissibile per difetto di motivazione, ai sensi dell'art. 16 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
4.— In ogni caso, il ricorso sarebbe infondato anche nel merito: la Camera sostiene che verrebbe qui in discussione "non solo una disfunzione, ma un eccesso della funzione giudiziaria, che non si vede come possa sottrarsi alla valutazione del Parlamento, per stabilire se e come sia stata invasa l'area della personalità e della libertà di apprezzamento che la qualifica di parlamentare comporta. Ciò specie in presenza dell'eccesso qualitativo e dimensionale dell'accertamento in cui la funzione giudiziaria si è espressa in concreto". Né l'invasione della sfera e della personalità del politico sarebbe dequalificata dalla forma dell'atto giudiziario in cui si sarebbe concretata, perché la motivazione della sentenza pretorile non troverebbe "alcuna base nelle norme e nei fatti che avrebbero dovuto esserne il supporto, eccedendo manifestamente i limiti segnati dalla contestazione e dall'art. 424 c.p.p.".
Si conclude, pertanto, nel senso che la delibera di insindacabilità della Camera sostanzialmente rivendicherebbe al parlamentare “la libertà, propria di ogni soggetto di diritto, da giudizi che non rientrino nel valore legalità–giurisdizione”, menzionato e tutelato anche nella sentenza n. 11 del 2000 della Corte costituzionale. Infatti, la motivazione della sentenza del Pretore di Venezia sarebbe “invasiva della personalità del parlamentare e della sua reputazione”, intaccando così anche la credibilità dell'esercizio del mandato politico e, con esso, dell'apporto del singolo parlamentare alla funzione della Camera cui appartiene.
Considerato in diritto
1.— Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 1° dicembre 1998, ha sollevato conflitto di attribuzione, per menomazione, nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla delibera del 30 settembre 1998 con la quale quest’ultima ha dichiarato che le opinioni formulate dall'on. Vittorio Sgarbi nei riguardi del Pretore di Venezia, dott. Antonio Abrami, sono da ritenersi espresse nell’esercizio delle funzioni di parlamentare, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.
2.— Deve essere innanzitutto confermata l'ammissibilità, sotto i profili sia soggettivo che oggettivo, del conflitto di attribuzione in esame, già dichiarata da questa Corte, in sede di sommaria delibazione, con l'ordinanza n. 363 del 1999.
La forma dell'ordinanza, utilizzata per la proposizione del conflitto, non comporta l'irricevibilità, in quanto l'atto possiede tutti i requisiti stabiliti dagli artt. 37 della legge n. 87 del 1953 e 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale ed è quindi idoneo a conseguire lo scopo cui è preordinato, consentendo la valida instaurazione del contraddittorio (cfr. le sentenze n. 10, 11, 56 e 58 del 2000).
Il ricorso risulta, inoltre, sufficientemente motivato ai sensi dell'art. 16 delle predette norme integrative, non essendo necessario, nell'ambito del presente conflitto, che esso valuti le caratteristiche della sentenza emessa dal giudice Abrami, per le ragioni che si esporranno.
3.— Nel merito il ricorso è fondato.
Il conflitto di attribuzione in esame trae origine da alcune dichiarazioni, asseritamente diffamatorie, rese dal deputato Sgarbi ad organi di stampa e ad emittenti televisive nei riguardi del dott. Abrami, dichiarazioni che formano oggetto di giudizio penale davanti al Tribunale di Roma.
La giurisprudenza costituzionale ha precisato che questa Corte ha il compito di verificare, in un conflitto per menomazione, se dal potere esercitato dalla Camera di appartenenza in base all'art. 68, primo comma, della Costituzione sia derivata o meno la lamentata, illegittima interferenza nella sfera di attribuzione dell'autorità giudiziaria ricorrente.
In particolare – trattandosi, nella specie, di opinioni espresse al di fuori del Parlamento – deve accertarsi se esista il nesso funzionale con le attività parlamentari. Tale nesso consiste non già in una semplice forma di collegamento – di argomento o di contesto – fra attività parlamentare e dichiarazioni, ma più precisamente nella “identificabilità della dichiarazione stessa quale espressione di attività parlamentare” (sentenze n. 10 e n. 58 del 2000): occorre, quindi, che nell'opinione manifestata all'esterno “sia riscontrabile una corrispondenza sostanziale di contenuti con l'atto parlamentare, non essendo sufficiente a questo riguardo una mera comunanza di tematiche” (sentenza n. 11 del 2000).
Non è perciò coperta da insindacabilità quella opinione che non sia collegata da nesso con l'esercizio delle funzioni parlamentari, ancorché riguardi temi al centro di un dibattito politico e parlamentare (sentenza n. 56 del 2000).
4.— In questo senso, nella vicenda in esame, si era pronunciata la Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera dei deputati, la quale aveva proposto di dichiarare che le opinioni in questione non erano state espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari, poiché “la polemica iniziata dal deputato Sgarbi aveva un carattere prettamente privato e personale”. Ma tale proposta è stata respinta dall'Assemblea, nella seduta del 30 settembre 1998, dopo un dibattito in cui sono state, peraltro, esplicitate dagli intervenienti le argomentazioni contrarie, riconducibili alla convinzione che la pur vivace reazione dell'on. Sgarbi alla sentenza di condanna emessa dal giudice Abrami derivasse non tanto dal suo coinvolgimento personale, quanto dall'esercizio del diritto di critica del modo di svolgimento della funzione giudiziaria.
Su tale aspetto insiste anche la difesa della Camera, secondo cui l'on. Sgarbi avrebbe legittimamente reagito ad una palese ed indebita fuoriuscita del Pretore dalle sue attribuzioni denunciando, attraverso la critica della motivazione e del suo estensore, detta esorbitanza dalle funzioni giudiziarie, invasiva della libertà e personalità del deputato. Tale denuncia, secondo la difesa, rientrerebbe nei diritti del parlamentare nell'esercizio del suo mandato politico, con la copertura della insindacabilità garantita dall'art. 68, primo comma, della Costituzione.
In proposito deve, anzitutto, precisarsi che il presente conflitto non si incentra sulla giustificatezza o meno della reazione del parlamentare ad una asserita invasione della sua libertà attraverso l'eccedenza del comportamento del Pretore dalle attribuzioni giurisdizionali (ciò che forma o può formare oggetto di altri giudizi). Il conflitto, invece, è sorto e si svolge unicamente tra il Tribunale di Roma, che intende esercitare le sue funzioni nel giudicare sull'imputazione di diffamazione, e la Camera, che oppone alla prosecuzione di tale giudizio l'insindacabilità delle opinioni espresse dal parlamentare in quanto connesse all'esercizio del suo mandato.
Con stretto riguardo, allora, alla verifica dell'esistenza di questo nesso funzionale – a prescindere dalla valutazione se le predette dichiarazioni del deputato, anche per il linguaggio non consentito nemmeno in Parlamento, consistano unicamente in mere offese personali – è sufficiente e decisivo rilevare che le stesse, rese fuori delle Camere, non riproducono né divulgano il contenuto di alcuno specifico atto di natura parlamentare, cosicché non sono identificabili come espressione dell'attività del deputato, ma semmai di critica politica. Delle ragioni che possano eventualmente giustificare quelle dichiarazioni potrà e dovrà, dunque, conoscere l'autorità giudiziaria, con le cui attribuzioni ha interferito la Camera dei deputati ravvisando inesattamente il nesso funzionale di quelle opinioni con l'attività parlamentare.
La deliberazione di insindacabilità adottata da quest'ultima deve, quindi, essere annullata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara che non spetta alla Camera dei deputati dichiarare l'insindacabilità, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi, in ordine alle quali è pendente avanti il Tribunale di Roma il giudizio penale indicato in epigrafe; di conseguenza annulla la deliberazione adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 30 settembre 1998.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 marzo 2000.
Cesare MIRABELLI, Presidente
Fernando SANTOSUOSSO, Redattore
Depositata in cancelleria il 24 marzo 2000.