Sentenza n. 532/2000

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SENTENZA N. 532

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionalità dell’art. 565 del codice civile promossi con ordinanze emesse il 1° dicembre 1999 dalla Corte di appello di Roma nei procedimenti civili vertenti tra Camerani Guglielmina ed altri, Waldner Mathilde e il Ministero delle finanze ed iscritte al n. 50 e 52 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Visti gli atti di costituzione di Camerani Guglielmina ed altri, di Quattrini Roberto ed altro, e del curatore dell’eredità giacente di Flora Gertrude;

udito nell’udienza pubblica del 10 ottobre 2000 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;

uditi gli avvocati Simonetta Belletti per Camerani Guglielmina ed altri e Orazio Gentile per il custode dell’eredità giacente di Flora Gertrude.

Ritenuto in fatto

1.— Nel corso di un procedimento civile instaurato da alcuni privati nei confronti dell’Amministrazione finanziaria dello Stato, la Corte di appello di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 29, primo comma, e 30, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 565 del codice civile, nella parte in cui detta norma, in mancanza di altri successibili chiamati all’eredità, non prevede la successione legittima dei c.d. parenti naturali di grado corrispondente al quarto.

La Corte rimettente premette che il Tribunale di Roma ha accolto la domanda proposta dall’Amministrazione finanziaria, dichiarando lo Stato erede universale della de cuius. Proposto appello avverso la menzionata sentenza, il giudice a quo osserva, in punto di rilevanza, che tale impugnazione dovrebbe essere respinta, perchè il sistema attuale non prevede la successione del figlio legittimo al figlio naturale (o viceversa) del fratello o della sorella del genitore, ossia non prevede la successione tra i c.d. cugini naturali. La necessità di un’apposita norma al riguardo risulta dall’art. 565 cod. civ. e dall’art. 258 del medesimo codice, in base al quale gli effetti del riconoscimento del figlio naturale sono limitati al genitore che lo ha compiuto, nonchè dalle sentenze n. 55 del 1979 e n. 184 del 1990 di questa Corte, che hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma impugnata nella parte in cui essa non prevedeva, in mancanza di altri successibili all’infuori dello Stato, la successione legittima tra fratelli e sorelle naturali.

Oltre che rilevante, la prospettata questione appare alla Corte romana anche non manifestamente infondata in relazione agli invocati parametri. Osserva in proposito che l’esclusione dei cugini naturali dalle categorie dei successibili sarebbe in contrasto con l’art. 30, terzo comma, della Costituzione, che assicura la parità tra figli legittimi e figli naturali; tale norma dimostra che, in mancanza di altri successibili, il favore per i c.d. parenti naturali non entra in conflitto con i principi della successione familiare. Lo Stato, del resto, non é successore in quanto titolare di un interesse patrimoniale paragonabile con quello dei componenti della famiglia, bensì é chiamato soltanto ad assicurare la continuità nella titolarità dei beni e dei rapporti giuridici che facevano capo al titolare.

Evidente sarebbe anche il contrasto con l’art. 3 Cost., per lesione del principio di eguaglianza e di pari dignità sociale, e con l’art. 29 Cost., perchè il concetto di famiglia intesa come gruppo fonte di solidarietà fa sì che, una volta salvaguardati i diritti dei componenti della famiglia legittima, non esista una valida ragione per escludere dalla successione i cugini naturali.

2.— Si sono costituiti gli eredi, chiedendo l’accoglimento della questione.

Osservano queste parti private che gli articoli 74 e 565 cod. civ., con riferimento all’art. 29 Cost., dimostrano che nel nostro ordinamento il vincolo della consanguineità assume un ruolo primario nell’identificazione della parentela. La norma impugnata, inoltre, innovata sul punto dalla legge di riforma del diritto di famiglia, ricomprende tra i successibili anche gli "altri parenti", evidentemente diversi da quelli già individuati dalle sentenze n. 55 del 1979 e n. 184 del 1990, sicchè gli odierni appellanti dovrebbero essere considerati come successori della defunta. A tale lettura estensiva non osterebbe l’art. 258 cod. civ., il cui carattere restrittivo é dettato al solo scopo di garantire la riservatezza di coloro che non vogliono riconoscere il figlio naturale.

Le parti, quindi, si associano alla richiesta di declaratoria di illegittimità costituzionale, pur ritenendo che la Corte romana aveva tutti gli elementi per accogliere il loro appello senza rimettere la questione al giudice delle leggi.

Si sono costituiti davanti alla Corte anche altri eredi, chiedendo l’accoglimento della questione.

Essi si riportano ai passaggi salienti delle menzionate sentenze n. 55 del 1979 e n. 184 del 1990 di questa Corte, osservando che l’esclusione dei cugini naturali dalla categoria dei successibili, in mancanza di altri parenti legittimi e con precedenza sullo Stato, sarebbe in contrasto con gli articoli 3 e 30 della Costituzione. In proposito ricordano che la successione dello Stato si pone su di un piano affatto diverso rispetto a quella dei privati, e riprendono alcune considerazioni contenute nell’ordinanza di rimessione e nella memoria delle altre parti private.

3.— Nel corso di altro procedimento civile instaurato nei confronti del Ministero delle finanze la Corte d’appello di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 565 cod. civ., in riferimento agli stessi parametri costituzionali, "nella parte in cui, in mancanza di altri successibili all’infuori dello Stato, non prevede la successione dei parenti naturali sino al sesto grado". A sostegno della propria domanda, la parte aveva dedotto di essere parente naturale di quinto grado della de cuius.

Ciò premesso, il giudice a quo pone a fondamento della questione di legittimità costituzionale le medesime considerazioni esposte nell’ordinanza precedente.

In questo secondo giudizio si é costituito il curatore dell’eredità giacente, riportandosi ai propri scritti difensivi depositati davanti ai giudici di merito e rimettendosi alla decisione di questa Corte.

Considerato in diritto

1.— La Corte d’appello di Roma, con due ordinanze, solleva questione di legittimità di costituzionale dell’art. 565 cod. civ., in riferimento agli artt. 3, 29, primo comma, e 30, terzo comma, della Costituzione, nella parte in cui, in mancanza di altri chiamati all’eredità all’infuori dello Stato, non prevede la successione legittima dei c.d. parenti naturali di grado corrispondente al quarto (r.o. n. 50 del 2000) e fino al sesto (r.o. n. 52 del 2000).

Il dubbio di legittimità costituzionale viene delineato in rapporto alla parità di trattamento tra figli legittimi e figli naturali, che l’art. 30 Cost. impone, ed alla prospettata lesione del principio di eguaglianza e di pari dignità sociale; ciò in quanto, escluso il pregiudizio per i diritti dei componenti della famiglia legittima (mancanti in queste controversie), non esisterebbe alcuna valida ragione per dare ingresso alla successione dello Stato in presenza di parenti naturali (cugini nell’un caso e parenti di quinto grado nell’altro).

2.— Le due ordinanze, trattando la medesima questione, possono essere riunite e decise con unica pronuncia.

Esse tornano a proporre, sia pure in relazione a soggetti legati al de cuius da un vincolo di sangue più labile, il noto problema della possibilità di ampliare le categorie dei successibili ex lege, già oggetto delle sentenze n. 55 del 1979 e n. 184 del 1990 di questa Corte, richiamate dal rimettente, nonchè delle sentenze n. 377 del 1994, n. 76 del 1977 e dell’ord. n. 363 del 1988. In particolare, si chiede oggi alla Corte di inserire i "parenti naturali" (di grado corrispondente al quarto ed al quinto) nelle categorie dei chiamati alla successione, in caso di mancanza di eredi legittimi e con precedenza sullo Stato, rilevando che quest’ultimo subentra nell’eredità (come si suole ritenere) non per un interesse patrimoniale, bensì per l’esigenza di evitare che i beni rimangano senza un legittimo proprietario. Ai giudici a quibus non sembra conforme a Costituzione, in particolare, il fatto che i c.d. parenti naturali, che pure sono legati al defunto da un vincolo di consanguineità, vengano esclusi dal diritto di succedere ab intestato quando non vi siano eredi legittimi all’infuori dello Stato.

3.— La questione é infondata.

Va premesso che negli ordinamenti contemporanei l’individuazione degli aventi diritto alla successione in assenza di testamento é espressione di diverse scelte di politica legislativa, sicchè vi sono sistemi che tendono a restringere il novero dei successori ex lege e sistemi che, al contrario, ampliano in modo significativo dette categorie. Vertendosi in tale ambito, anche il nostro legislatore resta libero di disciplinare la successione legittima facendo uso della sua discrezionalità, non sindacabile da questa Corte se non per violazioni del dettato costituzionale.

Nel caso specifico, a sostegno della predetta questione il giudice rimettente richiama anzitutto i parametri di cui agli artt. 3 e 29 Cost., evidenziando da un lato la "lesione del principio di eguaglianza e di pari dignità sociale", dall’altro quella dei diritti della "famiglia intesa come società naturale, ossia come gruppo che si pone quale fonte di solidarietà". Tali parametri, però, non risultano vulnerati, sol che si consideri la differenza che c’é tra la situazione delle persone tra le quali esiste un rapporto di consanguineità e quella in cui i soggetti sono legati anche dal vincolo di una vera e propria parentela.

Ne consegue che non ha neppure pregio invocare, come fa il rimettente, le sentenze di questa Corte n. n. 55 del 1979 e n. 184 del 1990, perchè la remota consanguineità esistente nei casi in esame non può essere posta sullo stesso piano del vincolo tra "fratelli e sorelle naturali dei quali sia legalmente accertato il rispettivo status di filiazione nei confronti del comune genitore" (cit. sentenza n. 184 del 1990), soggetti che rientrano in una ristretta comunità nucleare socialmente rilevante.

E’ inoltre da considerare che un ulteriore riconoscimento, tramite una sentenza additiva, di altre categorie di eredi legittimi comporterebbe un’incidenza sull’ordine successorio tale da alterare profondamente le scelte compiute dal legislatore. Nell’odierna sede, infatti, la Corte dovrebbe – esulando dai propri compiti – provvedere a valutare ed a indicare l’ordine di precedenza (e di esclusione reciproca) tra le diverse categorie di "parenti naturali", giustificando razionalmente anche la loro preferenza rispetto alla successione legittima dello Stato.

4.— Più articolata é, nell’ordinanza di rimessione, la censura riguardante l’art. 30 Cost.; ma anch’essa risulta priva di fondamento.

In proposito questa Corte ha già in precedenza osservato (sentenze n. 377 del 1994 e n. 184 del 1990) come dall’art. 30 Cost. non discenda in maniera costituzionalmente necessitata la parificazione di tutti i parenti naturali ai parenti legittimi. Può dirsi, invece, che un ampio concetto di "parentela naturale" non é stato recepito dal legislatore costituente, il quale si é limitato a prevedere la filiazione naturale ed a stabilirne l’equiparazione a quella legittima, peraltro con la clausola di compatibilità. Tale equiparazione, pertanto, riguarda fondamentalmente il rapporto che si instaura tra il genitore che ha provveduto al riconoscimento del figlio naturale (o nei cui confronti la paternità o maternità sia stata giudizialmente accertata) ed il figlio stesso. I rapporti tra la prole naturale ed i parenti del genitore, invece, non trovano riferimenti nella Carta fondamentale e restano quindi estranei all’ambito di operatività dell’invocato parametro.

Già nell’ordinanza n. 363 del 1988 – con la quale fu ritenuta inammissibile una questione simile a quella odierna – questa Corte ha ribadito che non esiste nell’ordinamento "una norma che all’accertamento formale della filiazione naturale colleghi l’effetto di far entrare il figlio nella famiglia di origine del genitore, in guisa da attribuirgli uno status familiare rapportato non solo a un padre o a una madre, ma anche a nonni, zii, e cugini".

Da tanto consegue l’infondatezza della presente questione anche sotto il parametro di cui all’art. 30 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 565 del codice civile sollevata, in riferimento agli artt. 3, 29, primo comma, e 30, terzo comma, della Costituzione, dalla Corte d’appello di Roma con le due ordinanze di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 novembre 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 23 novembre 2000.