Sentenza n. 55 del 1979
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 55

ANNO 1979

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Leonetto AMADEI, Presidente

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 565 e 578 del codice civile, promossi con ordinanze emesse il 9 ottobre 1974 dalla Corte d'appello de L'Aquila, nei procedimenti civili vertenti tra l'Amministrazione delle finanze dello Stato e Cipriani Avolio Domenichina, iscritte ai nn. 584 e 585 del registro ordinanze 1975 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38 dell'11 febbraio 1976.

Visti l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e l'atto di costituzione dell'Amministrazione delle finanze;

udito nell'udienza pubblica del 21 marzo 1979 il Giudice relatore Leonetto Amadei;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri e per l'Amministrazione delle finanze.

Ritenuto in fatto

Nel corso dei giudizi civili pendenti tra l'Amministrazione delle finanze dello Stato e Cipriani Avolio Domenichina, la Corte d'appello de L'Aquila, con due ordinanze di identico contenuto, emesse in data 9 ottobre 1974, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale degli artt. 565 e 578 cod. civ. in relazione agli artt. 3 e 30, terzo comma, della Costituzione.

La controversia nel corso della quale é stata sollevata la questione di legittimità costituzionale concerneva il diritto di succedere mortis causa di un figlio naturale nei confronti di altro figlio naturale, entrambi procreati e riconosciuti dalla stessa madre: in assenza di altri chiamati all'eredità (eredi legittimi, coniuge), il patrimonio del de cuius (non assumendo il fratello naturale, alla stregua della disciplina vigente, la qualità di successibile ex lege) avrebbe dovuto essere devoluto allo Stato ai sensi dell'art. 586 cod. civ.

Il giudice a quo, pertanto, rilevava un evidente contrasto dell'art. 565 cod. civ., nella parte in cui tale norma non include espressamente il fratello naturale riconosciuto tra i parenti naturali chiamati alla successione e dell'art. 578 cod. civ. che, per l'ipotesi della mancanza di prole e del coniuge del figlio naturale, devolve l'eredità dello stesso unicamente al genitore e non pure al fratello naturale riconosciuto, con le indicate norme costituzionali.

Invero, l'art. 30, terzo comma, della Costituzione (il richiamo all'art. 3 appare sostanzialmente assorbito, nel testo dell'ordinanza, nel seno dell'art. 30, terzo comma), diretto ad assicurare la tutela giuridica e morale dei figli nati fuori del matrimonio, compatibilmente con i diritti della famiglia legittima, consentirebbe - tenuto conto della diversa realtà sociale nella quale esso si inquadra e della elaborazione della giurisprudenza costituzionale, volta a riconoscere posizioni più favorevoli alla filiazione naturale - una dilatazione del contenuto precettivo dello stato di figlio illegittimo, tale da ricomprendere, oltre che le situazioni soggettive riferite all'ascendente, tutti i possibili diritti che entrano a far parte della condizione del soggetto che non appartiene alla famiglia legittima.

Diverrebbero in tal modo costituzionalmente emergenti situazioni che non concernono solo la parentela in via diretta (quella tra genitore e figlio), l'unica ritenuta rilevante, nel sistema della legge ordinaria, anche sul piano naturale, e conseguentemente non potrebbero considerarsi estranee al precetto costituzionale situazioni riferite alla parentela naturale collaterale.

Collocata la disposizione in siffatta più ampia prospettazione - osserva il giudice a quo - troverebbe spazio la tesi secondo cui il diritto successorio del figlio naturale spetterebbe anche nei confronti del fratello naturale, purché entrambi siano stati procreati e riconosciuti dalla stessa madre.

Il rilievo dell'indicata norma costituzionale non resterebbe, peraltro, limitato, nel caso di specie, dalla compatibilità delle attribuzioni dei figli nati fuori del matrimonio con i diritti della famiglia legittima, unico successibile ex lege essendo - nella controversia oggetto del presente giudizio - lo Stato.

Una diversa soluzione, proprio in forza dell'operatività dell'art. 586 cod. civ., apparirebbe contrastante con la Carta costituzionale "per l'essenziale rilievo che i soggetti procreati fuori del matrimonio (e massimamente i figli naturali riconosciuti nei rapporti tra di loro) resterebbero privi della prevista protezione".

D'altro canto, lo stesso codice civile, sia pure ad altri fini, dà espresso rilievo (art. 87) alla parentela naturale collaterale, rilievo che é assolutamente assente nell'ambito del diritto successorio che pure appare direttamente fondato sul vincolo affettivo: la mancata previsione della devoluzione dell'eredità al fratello naturale si risolverebbe quindi in una mortificazione della condizione personale del figlio nato fuori del matrimonio, massimamente nei casi in cui non esista una parentela legittima.

É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri e si é costituita l'Amministrazione delle finanze a mezzo dell'Avvocatura dello Stato.

Premesso che l'art. 30 della Costituzione costituisce una sorta di specificazione del principio di eguaglianza, l'Avvocatura ha dedotto che la tutela giuridica e sociale assicurata dal terzo comma di tale disposizione ai figli nati fuori del matrimonio riguarda soltanto i loro diritti nei confronti dei genitori naturali e non anche quelli con i collaterali di cui non vi é traccia nella Costituzione.

La parte privata non si é costituita.

Con la memoria depositata in cancelleria in data 8 marzo 1978 l'Avvocatura, nel ribadire quanto esposto nell'atto d'intervento, ha dedotto che la questione era stata già nel frattempo risolta da questa Corte con la sentenza n. 76 del 1977 che - nello stabilire l'irrilevanza della parentela naturale, anche alla stregua del nuovo diritto di famiglia - aveva ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 570 e 586 cod. civ. in relazione agli artt. 3 e 30 della Costituzione sollevata dal tribunale di Catanzaro con ordinanza in data 12 dicembre 1973.

Considerato in diritto

1. - Le due ordinanze sollevano identiche questioni ed i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Il giudice a quo ha denunciato l'illegittimità costituzionale dell'art. 565 cod. civ., nel testo non riformato dalla legge 151/1975 (la successione di cui si controverte risulta aperta, infatti, sotto il vigore del preesistente diritto di famiglia): tale norma, escludendo dalla successione il fratello naturale riconosciuto, contrasterebbe con gli artt. 3 e 30 della Costituzione.

Ha altresì dedotto che una analoga violazione dei citati principi costituzionali sarebbe contenuta nell'art. 578 cod. civ. nella parte in cui non comprende tra i chiamati alla successione legittima del figlio naturale, nei casi di mancanza di discendenti e del coniuge di costui, il fratello naturale riconosciuto; e ciò sia nel caso in cui non concorrano alla successione altri parenti, sia nell'ipotesi in cui concorra il genitore naturale: purché i figli siano stati entrambi procreati dalla stessa persona.

3. - La questione di legittimità costituzionale dell'articolo 578 cod. civ. é inammissibile per difetto di rilevanza, apparendo sfornita del necessario carattere di pregiudizionalità rispetto alla definizione del giudizio a quo.

La disposizione impugnata disciplina, infatti, la successione dei genitori al figlio naturale; nel giudizio in cui é stata sollevata la questione di legittimità costituzionale, invece, nessun soggetto appartenente alla famiglia legittima risulta chiamato alla eredità, unico successibile ex lege essendo - alla stregua della normativa vigente - lo Stato.

4. - Fondata é invece la questione di legittimità costituzionale dell'art. 565 cod. civ. In assenza di membri della famiglia chiamati alla eredità, infatti, l'esclusione del diritto alla successione del fratello (o della sorella) naturale del de cuius - purché la filiazione sia stata riconosciuta o dichiarata - contrasta tanto con l'art. 30 terzo comma che con l'art. 3 della Costituzione.

La Corte non ignora che, con la sentenza 76/77, sia pure con riferimento a diverse disposizioni del codice civile (gli artt. 570 e 586), ebbe a dichiarare la non fondatezza della medesima questione. Un tale indirizzo deve essere tuttavia oggetto di meditata revisione al fine di armonizzare la soluzione del caso in esame ai principi affermati nella materia dalla costante giurisprudenza di questa Corte.

É noto come, sin dalla sentenza 7/63, la Corte ebbe a giudicare l'art. 30, terzo comma, della Costituzione come norma ispiratrice di un orientamento legislativo a favore della filiazione illegittima, inteso appunto ad eliminare posizioni giuridicamente e socialmente deteriori dei figli illegittimi, compatibilmente tuttavia con i diritti della famiglia legittima.

Tale enunciazione trovò poi una conseguente applicazione nella sentenza 79/69 la quale affermò il principio che, nel nostro ordinamento, non é assicurata al figlio nato fuori del matrimonio (purché riconosciuto o dichiarato) una generica difesa, sibbene "ogni tutela giuridica e sociale: il che non può intendersi altrimenti che come tutela adeguata alla posizione di figlio, vale a dire (sempre che non vi siano membri della famiglia legittima) simile a quella che l'ordinamento attribuisce in ogni campo ai figli legittimi: in ogni campo, compreso, evidentemente, quello della successione ereditaria, dato che, rispetto ad essa, lo status di figlio (legittimo o naturale) ha, secondo i principi, rilevanza precisa".

E proprio con riguardo alla successione mortis causa, la Corte, muovendo dalla premessa che non potesse attribuirsi, in linea di principio, alla disciplina enunciata nell'art. 258 cod. civ., secondo cui "il riconoscimento non ha effetto che riguardo a quello dei genitori da cui fu fatto" valore assoluto e che non dovesse quindi escludersi ogni rapporto civile tra figlio e parente del proprio genitore naturale (come é dimostrato dalle disposizioni degli artt. 87, nn. 1, 2 e 3 e penultimo comma, 435, terzo comma, 577 cod. civ.) giustificò la successione legittima del figlio naturale rispetto a soggetti diversi dal proprio genitore. Tale tendenza venne tenuta ferma dalla Corte con le sentenze 50/73 e 82/74 che dichiararono, rispettivamente, l'illegittimità costituzionale dell'art. 539, nella parte in cui riservava ai figli naturali, quando la filiazione fosse stata riconosciuta o dichiarata, in mancanza di figli legittimi o del coniuge, soltanto un terzo del patrimonio del genitore se questi lasciava un solo figlio naturale o la metà ai figli naturali se fossero più, e dell'art. 575 cod. civ., nella parte in cui, in mancanza di figli legittimi e del coniuge e del genitore, ammetteva un concorso tra i figli riconosciuti e dichiarati e gli ascendenti del genitore.

La dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 565 cod. civ. consegue appunto alla applicazione di tale linea interpretativa.

Ed invero una posizione di minore tutela del figlio nato fuori del matrimonio in tanto può trovare una sua giustificazione costituzionale in quanto tale condizione venga a confliggere con i diritti dei membri della famiglia legittima. Ove - come nella specie - tale situazione di conflittualità non possa ipotizzarsi, per essere lo Stato unico chiamato alla successione, la posizione del figlio naturale viene assimilata a quella del discendente legittimo (sentenza 79/69).

In assenza quindi di membri della famiglia legittima, trova giustificazione la successione tra fratelli (o sorelle) naturali nei casi in cui non vi siano altri successibili ex lege, ad eccezione dello Stato.

E- chiaro, inoltre, che la devoluzione della eredità allo Stato, operante, ai sensi dell'art. 586 cod. civ., nella assenza di altri successibili, é motivata, tra l'altro, da ragioni di ordine generale, per la necessità di impedire che i beni restino in stato di abbandono: il che non ha modo di verificarsi tutte le volte in cui esistano soggetti legati al de cuius da vincoli di sangue.

5. - L'art. 565 cod. civ. contrasta anche con l'art. 3 della Costituzione. Ed infatti, una volta ritenuto che la posizione giuridica del figlio nato fuori del matrimonio - ove non sussistano diritti dei membri della famiglia legittima da tutelare - é analoga a quella dei figli legittimi, appare contrastante con il principio di eguaglianza e di pari dignità sociale un regime successorio che escluda che i fratelli (o le sorelle) naturali possano succedere ai propri fratelli (o sorelle) naturali, stabilendo conseguentemente per essi un trattamento deteriore rispetto a tutti gli altri successibili ex lege.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile per difetto di rilevanza la questione di legittimità costituzionale dell'art. 578 cod. civ.;

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 565 cod. civ. nella parte in cui esclude dalla categoria dei chiamati alla successione legittima, in mancanza di altri successibili, e prima dello Stato, i fratelli e le sorelle naturali riconosciuti o dichiarati, per contrasto con gli artt. 3 e 30, terzo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 giugno 1979.

Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 4 luglio 1979.