Sentenza n. 7 del 1963
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SENTENZA N. 7

ANNO 1963

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giuseppe CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 123 delle disposizioni transitorie del Codice civile, promosso con ordinanza emessa il 19 dicembre 1961 dal Tribunale di Vibo Valentia su ricorso di Sardanelli Domenico, iscritta al n. 40 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 78 del 24 marzo 1962.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 12 dicembre 1962 la relazione del Giudice Antonio Manca;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Nicola Graziano, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Risulta dall'ordinanza del Tribunale di Vibo Valentia che, con sentenza dello stesso Tribunale del 22 giugno 1961, fu disconosciuto lo stato di figlio legittimo di Sardanelli Domenico;

che questi, in base a tale sentenza, promuoveva giudizio, ai sensi dell'art. 274 del Codice civile, per ottenere la dichiarazione giudiziale di paternità nei confronti del presunto genitore Ciotti Domenico;

che il Pubblico Ministero rilevò che, essendo il ricorrente nato anteriormente al 1 luglio 1939, non ricorrevano, nella specie, le condizioni richieste dall'art. 123 delle disposizioni transitorie del Codice civile, in relazione all'art. 189 del Codice civile del 1865, per l'ammissibilità dell'azione. Chiese, pertanto, che il Tribunale decidesse in conformità.

Il Tribunale, peraltro, in relazione all'eccezione dedotta dalla parte privata, ha ritenuto non manifestamente infondata e rilevante ai fini della decisione della controversia, la questione di legittimità costituzionale della disposizione contenuta nel citato art. 123, perché in contrasto con gli artt. 3 e 30 della Costituzione.

Il Tribunale, in sostanza, ha fatto proprie le argomentazioni della parte privata, la quale aveva dedotto che la proponibilità dell'azione per la dichiarazione di paternità naturale, per i figli nati prima del 1 luglio 1939 (data dell'entrata in vigore del primo libro del Codice civile) sarebbe limitata alle ipotesi prevedute dall'art. 189 del Codice civile del 1865; mentre per quelli nati dopo tale data sarebbe ammessa in tutti i casi indicati nell'art. 269 del nuovo Codice. Da questa disparità di trattamento, rispetto ai figli nati fuori del matrimonio, deriverebbe la violazione dell'art. 3 della Costituzione, che garantisce a tutti i cittadini l'eguaglianza di fronte alla legge e condizioni di pari dignità sociale. E deriverebbe, altresì, la violazione dell'art. 30, poiché la disuguaglianza di trattamento impedirebbe, ai nati anteriormente al 1 luglio 1939, di godere di tutti i diritti riconosciuti alla prole nata fuori del matrimonio dall'art. 269 del Codice civile.

L'ordinanza, dopo le prescritte notificazioni e comunicazioni, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 78 del 24 marzo 1962.

In questa sede é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato le deduzioni il 3 marzo 1962, concludendo perché si dichiari non fondata la questione.

L'Avvocatura osserva che non sussisterebbe la violazione dell'art. 30 (dedotta quale conseguenza della disparità di trattamento posta in essere dal citato art. 123) in quanto l'ultimo comma del predetto art. 30 demanda al legislatore ordinario di stabilire le norme e i limiti per la ricerca della paternità; limiti che possono essere stabiliti in un ambito più ristretto senza che da ciò derivi un vizio di incostituzionalità.

Per quanto attiene all'art. 3, in relazione alla giurisprudenza di questa Corte, rileva che la disposizione impugnata non riguarderebbe singoli cittadini, bensì categorie di soggetti, per i quali la disposizione stessa, nella successione di leggi diverse ed in applicazione del principio della irretroattività delle nuove disposizioni, stabilirebbe norme differenziate in relazione al tempo in cui si é verificato il fatto che ha dato origine all'azione giudiziaria, con riferimento al tempo in cui é sorto il rapporto di filiazione naturale.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'ordinanza del Tribunale sottopone all'esame della Corte la questione circa la legittimità costituzionale delle disposizioni transitorie del Codice civile contenute nel primo comma dell'art. 123 perché in contrasto con gli artt. 3 e 30 della Costituzione.

La Corte ritiene che tale questione sia fondata.

Le disposizioni anzidette, infatti, riguardo ai figli illegittimi (e per quelli adulterini, nei limiti indicati nell'art. 278 del Codice) nati anteriormente all'entrata in vigore del primo libro (1 luglio 1939) ammettono le indagini, per la dichiarazione giudiziale della paternità, soltanto se ricorrono le condizioni previste dall'artico lo 189 del Codice del 1865 (ratto o stupro violento). Ma poiché, in base all'art. 269 del Codice vigente, la proponibilità dell'azione é invece estesa ai quattro casi ivi indicati, é palese che, nel passaggio dalla precedente alla nuova legislazione, si é stabilito un trattamento diverso rispetto alla stessa categoria di persone, ricollegato al fatto che la data della nascita delle medesime preceda, o segua, la data di entrata in vigore del Codice.

2. - Che, come rileva l'Avvocatura dello Stato, dalla successione delle leggi nel tempo possano derivare modificazioni alle posizioni giuridiche regolate dalle norme anteriori, non é dubitabile. É pure certo che al carattere non retroattivo delle nuove norme il legislatore può derogare mediante disposizioni transitorie, che disciplinano il passaggio tra il vecchio e il nuovo sistema.

Nella specie, peraltro, come si é accennato, occorre esaminare se le disposizioni impugnate, intese appunto a regolare, in via transitoria, la materia relativa alle indagini sulla paternità, rispettino o meno il principio fondamentale dell'eguaglianza contenuto nell'art. 3 della Costituzione. Principio che, come é noto, secondo la oramai costante giurisprudenza di questa Corte, consente bensì al legislatore ordinario di emanare norme differenziate riguardo a situazioni obiettivamente diverse, purché queste norme rispondano inoltre all'esigenza che la disparità di trattamento sia fondata su presupposti logici obiettivi, i quali razionalmente ne giustifichino l'adozione.

3. - Quest'ultima esigenza, peraltro, non appare soddisfatta dalle disposizioni impugnate, se si tengono presenti, com'é necessario, non soltanto le ragioni che hanno determinato le nuove provvidenze a favore della filiazione illegittima, ma, in special modo, i criteri di maggior larghezza adottati dallo stesso legislatore nel regolarne la retroattività.

Com'é noto, il Codice vigente ha esteso i casi in cui é ammesso il riconoscimento, consentendolo, con qualche limitazione, anche nei riguardi dei figli incestuosi ed adulterini; ed ha pure allargato i limiti per la proponibilità dell'azione circa le indagini sulla pater nità (artt. 269 e 278).

Ora le disposizioni transitorie (art. 122) hanno attribuito piena retroattività a quelle relative al riconoscimento, perché (come si legge nella relazione del Guardasigilli) "una soluzione diversa avrebbe frustrato quasi completamente gli scopi della riforma".

Ed in coerenza con lo spirito della riforma (come pure risulta dalla relazione) hanno inoltre convalidato, in applicazione dell'ius superveniens, gli atti di riconoscimento compiuti nel vigore della precedente legislazione, quando ricorressero i casi preveduti dalla successiva.

Del pari, per quanto attiene al conseguimento di un assegno vitalizio sulla successione del genitore naturale, l'art. 136 delle disposizioni transitorie stabilisce che gli artt. 580 e 594 del Codice si applicano anche alle successioni aperte prima del 21 aprile 1940 (data dell'entrata in vigore del libro II sulle successioni), salvo che tali diritti fossero già liquidati in base a giudicato o a convenzione: aggiungendo, nel secondo comma, che delle dette disposizioni possono avvalersi anche i figli naturali che, trovandosi nelle condizioni prevedute dai nn. 1 e 4 dell'art. 269, non possono ottenere la dichiarazione giudiziale di paternità, perché nati prima del 1 luglio 1939. Ed in proposito é da notare che, nella relazione ministeriale, si pone in rilievo che una distinzione fra le successioni aperte prima e quelle aperte dopo l'entrata in vigore delle nuove norme, avrebbe creato un'ingiusta sperequazione nella medesima categoria dei figli naturali, in dipendenza del fatto accidentale che la morte del genitore si sia verificata prima o dopo il 21 aprile 1940.

Da queste osservazioni si può trarre agevolmente l'illazione che le provvidenze, stabilite nel Codice vigente, a favore della filiazione illegittima, da tempo e generalmente auspicate, assumevano, nell'intendimento del legislatore, tale rilevanza da rendere necessaria, nei casi ora ricordati (come pure in altri contenuti nelle disposizioni transitorie), l'efficacia retroattiva delle innovazioni anzidette. Onde non può fondatamente disconoscersi che la limitazione circa le indagini sulla paternità, operata in via transitoria nel primo comma dell'art. 123, e la disparità di trattamento che ne é derivata, costituiscono una deviazione da quella finalità che il legislatore ha espressamente dichiarato di voler perseguire. Deviazione che non trova congrua giustificazione obiettiva, rispetto alla logica del sistema, nella circostanza che il figlio naturale sia nato prima o dopo il 1 luglio 1939. Giacché la discriminazione viene ad essere ricollegata ad un fatto naturale (la nascita del figlio) di carattere analogo a quello cui lo stesso legislatore, pure in altre provvidenze a favore dei figli naturali, come si é già accennato, non ha ritenuto di attribuire alcuna efficacia per escludere, o limitare, la retroattività delle nuove disposizioni.

L'accennata discriminazione, pertanto, nei riguardi della stessa categoria di soggetti, si appalesa in contrasto con i principi sanciti nel primo comma dell'art. 3 della Costituzione.

4. - É da aggiungere che le disposizioni impugnate non sono neppure in armonia con il terzo comma dell'art. 30 della Carta costituzionale. Il quale, come si desume dall'ampia discussione presso l'Assemblea costituente, risponde all'esigenza di un orientamento legislativo, a favore della filiazione illegittima, inteso ad eliminare posizioni giuridicamente e socialmente deteriori, compatibilmente con i diritti dei membri della famiglia legittima.

A tale orientamento si ricollega, appunto, anche la formulazione letterale del citato terzo comma, poiché demanda al legislatore di assicurare alla predetta filiazione ogni tutela giuridica e sociale.

Ora le disposizioni impugnate vengono, in definitiva, a sminuire questa tutela nei riguardi dei figli naturali nati prima del 1 luglio 1939, in quanto apportano ulteriori e, per quanto si é detto, non giustificate limitazioni a quelle che il Codice vigente, circa le indagini sulla paternità, già prevede in relazione all'ultimo comma del ricordato art. 30.

5. - Né i criteri di maggior rigore seguiti nel passaggio dalla vecchia alla nuova legislazione appaiono giustificabili sia in riferimento all'effetto della dichiarazione giudiziale, che produce l'attribuzione di uno status, sia in vista degli inconvenienti (ai quali si accenna anche nella relazione) che tali indagini comportano.

É da osservare, infatti, quanto al primo punto, che, come si é già rilevato, proprio al conseguimento di uno status, pure entro certi limiti, tendeva specialmente la riforma per la protezione dei figli nati fuori del matrimonio.

Circa il secondo punto é da rilevare che gli accennati inconvenienti si verificano pure nei giudizi intentati per il riconoscimento dei diritti indicati negli artt. 580 e 594, in relazione all'articolo 279 del Codice civile. Anche in questi giudizi, infatti, non si può prescindere da un'individuazione della paternità, in quanto la prova dipende indirettamente da una sentenza civile o penale, da un matrimonio dichiarato nullo, o da una non equivoca dichiarazione scritta di paternità del genitore.

6. - Dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale del primo comma dell'art. 123 delle disposizioni transitorie deriva come conseguenza, in applicazione dell'art. 27, ultima parte, della legge 11 marzo 1953, n. 87, anche la illegittimità del secondo comma dell'art. 123 e del secondo comma del successivo art. 136.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 123, primo comma, delle disposizioni transitorie del Codice civile, e, in conseguenza, dichiara altresì la illegittimità costituzionale del secondo comma del predetto art. 123 e del secondo comma dell'art. 136 delle disposizioni transitorie, in riferimento agli artt. 3 e 30 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 1963.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CAPPI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ.

 

 

Depositata in cancelleria il 16 febbraio 1963.