Sentenza n.377 del 1994

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SENTENZA N. 377

ANNO 1994

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA Presidente

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 468, 565 e 572 del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 17 febbraio 1993 dalla Corte d'appello di Genova nel procedimento civile vertente tra Barlaro Agostina ed altre e Sanguineti Giovanni ed altri, iscritta al n. 484 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visto l'atto di costituzione di Sanguineti Carlotta ed altri nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 5 luglio 1994 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

udito l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. Nel corso di un giudizio di petizione dell'eredità di Anna Sanguineti ved. Barlaro, promosso contro gli eredi legittimi (parenti collaterali in quarto grado), la Corte d'appello di Genova, con ordinanza del 17 febbraio 1993, ha sollevato "questione di legittimità costituzionale degli artt. 565, 572 e 468 cod. civ. per contrasto con gli artt. 3 e 30, terzo comma, Cost., nella parte in cui non prevedono la successione legittima di fratelli e sorelle naturali del de cuius e, per rappresentazione, quella dei discendenti degli stessi in mancanza di membri della famiglia legittima restrittivamente intesa".

Nel caso di specie il padre della de cuius, prima del matrimonio con la madre, aveva avuto dalla relazione con una sudamericana quattro figli naturali, nati a Valparaiso in Brasile e da lui riconosciuti. I discendenti di due di questi figli, in rappresentanza dei loro genitori, pretendono l'eredità contro i cugini della defunta, chiamati a succederle dall'art. 572 cod.civ., previo incidente di costituzionalità nei termini riferiti.

Il giudice rimettente propone due questioni distinte, una principale, l'altra subordinata:

a) questione di legittimità costituzionale degli artt. 565 e 572 nella parte in cui, nella successione dei parenti a una persona avente lo status di figlio legittimo, in mancanza di discendenti, ascendenti, fratelli e sorelle legittimi (o loro discendenti), non prevedono la vocazione all'eredità dei fratelli e delle sorelle naturali con precedenza sulla vocazione dei parenti collaterali dal terzo al sesto grado;

b) questione di legittimità costituzionale dell'art. 468 cod.civ., nella parte in cui non ammette i discendenti di fratello o sorella naturale del de cuius a rappresentare il genitore che non può o non vuole accettare l'eredità.

2. Premesso che la normativa impugnata è un'applicazione del principio dell'art. 258 cod.civ., secondo cui il riconoscimento di un figlio naturale non produce effetti che riguardo al genitore da cui fu fatto, salvi i casi previsti dalla legge, il giudice rimettente ritiene tale normativa contrastante col precetto costituzionale di ogni tutela giuridica e sociale dei figli naturali, e altresì col principio di eguaglianza per il trattamento deteriore riservato ai fratelli naturali rispetto a parenti non appartenenti alla famiglia legittima del de cuius intesa in senso stretto.

Le medesime ragioni, in caso di accoglimento, varrebbero a fondare la questione subordinata, rivolta a ottenere l'estensione del diritto di rappresentazione ai discendenti dei fratelli naturali del defunto.

3. Nel giudizio davanti alla Corte si sono costituiti gli eredi legittimi chiedendo che la questione sub a) sia dichiarata inammissibile o comunque infondata, con conseguente inammissibilità, per irrilevanza, della questione sub b).

Secondo le parti private l'argomentazione del giudice a quo è fondamentalmente viziata da una carenza di giustificazione della premessa implicita che estende in assoluto la garanzia dell'art. 30, terzo comma, Cost., ai rapporti del figlio naturale riconosciuto con i parenti del genitore. In contrario, la giurisprudenza di questa Corte ha più volte precisato che il significato precettivo immediato di questa disposizione è limitato ai rapporti del figlio con il genitore dal quale è stato riconosciuto. Nei rapporti con i parenti del genitore si può desumerne solo una direttiva di miglioramento del trattamento giuridico dei figli naturali, la cui attuazione, con opportuna gradualità, è rimessa alla discrezionalità del legislatore.

Diversamente dall'ipotesi considerata dalla sentenza n. 184 del 1990, la sentenza additiva prospettata dall'odierna ordinanza di rimessione è talmente incisiva nell'ordinamento dei rapporti di famiglia e della successione legittima familiare da escludere all'evidenza che essa possa rientra re nei poteri di questa Corte, onde la questione deve ritenersi inammissibile prima che infondata.

4. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata per ragioni analoghe a quelle diffusamente svolte dalle parti private.

Considerato in diritto

1. La Corte d'appello di Genova mette in dubbio la legittimità costituzionale: a) in linea principale, degli artt. 565 e 572 cod.civ., nella parte in cui non prevedono la successione dei fratelli e delle sorelle naturali del de cuius in mancanza di membri della famiglia legittima, intesa in senso stretto; b) in linea subordinata, dell'art.468 cod. civ., nella parte in cui non ammette i discendenti di fratello o sorella naturale del de cuius a rappresentare il genitore che non può o non vuole accettare l'eredità.

2. La questione è inammissibile.

Il giudice rimettente richiama il precedente della sentenza n. 184 del 1990, ma la questione da lui sollevata prospetta un intervento sul regime successorio di natura diversa e ben più incisivo. La sentenza n.184 ha introdotto una nuova categoria (o classe) di successibili, rappresentata dai fratelli e dalle sorelle naturali, senza però alterare l'ordine successorio della parentela del defunto. Per effetto della sentenza i fratelli e le sorelle naturali sono chiamati all'eredità in mancanza di successibili per diritto di coniugio o di parentela, con precedenza soltanto sullo Stato. Poichè la successione dello Stato si inserisce nel sistema della successione legittima non come ordine successorio, ma con funzione suppletiva della successio ordinum e come norma di chiusura del sistema, l'attribuzione di un titolo successorio con efficacia così circoscritta non implica la costituzione di uno status giuridico, nemmeno ridotto, di parentela col de cuius. Come precisa la sentenza citata, il diritto da essa riconosciuto si fonda direttamente sul fatto naturale della consanguineità, valutato alla stregua della direttiva di graduale miglioramento della condizione di diritto familiare della prole naturale anche nei rapporti con i parenti del genitore (e quindi anche nei rapporti dei figli naturali riconosciuti tra loro), enucleata al secondo dei due livelli di interpretazione ammessi dall'art. 30, terzo comma, Cost.

La questione in esame mira, invece, a ottenere l'inserimento dei fratelli e delle sorelle naturali negli ordini successori dei parenti, costituendoli come terzo ordine tra gli ascendenti e i fratelli e le sorelle legittimi (o i loro di scendenti) e gli altri parenti collaterali dal terzo al sesto grado, i quali degraderebbero a quarto ordine.

Ora è vero che la discrezionalità lasciata al legislatore dalla suddetta direttiva costituzionale è soggetta al limite della ragionevolezza dei tempi di attuazione, commisurati alla dinamica evolutiva dei rapporti sociali. Dopo vent'anni dalla riforma del diritto di famiglia appare sempre meno plausibile la regola che esclude dall'eredità i fratelli e le sorelle naturali del defunto a beneficio anche di lontani parenti legittimi fino al sesto grado. Il legislatore deve prendere atto del notevole incremento verificatosi nel frattempo, sebbene in misura inferiore che in altri paesi, delle nascite fuori del matrimonio e del fenomeno parallelo della famiglia di fatto. Ma l'incostituzionalità dell'impugnato art. 572 cod. civ. non è sostenibile nei termini assoluti e indiscriminati dell'ordinanza di rimessione.

3. Nell'applicare il criterio di compatibilità "con i diritti dei membri della famiglia legittima", il giudice a quo fa riferimento alla famiglia in senso stretto definita dalla sentenza n. 79 del 1969, senza avvertire la diversa referenzialità sottesa ai due significati normativi, primario e secondario, distinguibili nell'art. 30, terzo comma, Cost. Il riferimento alla famiglia che il de cuius si è formato mediante il matrimonio con persona diversa dall'altro genitore ha senso solo quando il problema del trattamento dei figli naturali, in rapporto ai figli legittimi, si pone con riguardo alla successione al genitore comune o ai suoi ascendenti. Quando il problema si pone, invece, con riguardo alla successione a chi, avendo lo status di figlio legittimo, muore senza lasciare nè coniuge, nè discendenti, il referente per la ponderazione della tutela costituzionalmente garantita ai fratelli naturali del defunto è la sua famiglia di origine, ossia la parentela definita dall'art.74 cod. civ., e non vi sono indicazioni, normative o sociologiche, che autorizzino l'interprete a restringerne senz'altro la rilevanza giuridica, sotto questo aspetto, ai membri della famiglia coniugale costituita dai genitori del defunto. In rapporto non solo agli ascendenti e ai fratelli e alle sorelle, ma anche agli zii e alle zie e ai loro figli - parenti di terzo e quarto grado, che già il codice del 1942 distingueva, a certi effetti, dai parenti più lontani di quinto e sesto grado (art. 583, testo originario) - è sicuramente riconoscibile ancor oggi una coscienza della parentela operante come fonte di solidarietà di gruppo.

Di questo dato sociologico e dell'inerente giudizio di valore occorre tenere conto nel bilanciamento di interessi che deve guidare l'attuazione della direttiva costituzionale più volte rammentata: bilanciamento che coinvolge una valutazione complessa eccedente i poteri di questa Corte, essendo prospettabile una pluralità di soluzioni, non esclusa l'introduzione di nuovi casi di concorso, tra le quali la scelta appartiene alla discrezionalità legislativa.

4. L'inammissibilità della questione relativamente al punto a) ne comporta l'irrilevanza in relazione al punto b).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 565, 572 e, in linea subordinata, 468 cod.civ., sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 30, terzo comma, della Costituzione, dalla Corte d'appello di Genova con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/10/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 07 Novembre 1994.