Sentenza n. 391/99

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SENTENZA N. 391

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto del 20 dicembre 1996, emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia, che ha disposto il giudizio nei confronti del consigliere regionale Michele Boato per il reato di diffamazione aggravata a mezzo stampa, a seguito della pubblicazione di un articolo connesso ad una interpellanza riguardante la valutazione del fenomeno della subsidenza nella laguna di Venezia, in relazione all'estrazione di metano da parte dell'AGIP S.p.A., promosso con ricorso della Regione Veneto, notificato il 27 dicembre 1997, depositato in Cancelleria il 31 successivo ed iscritto al n. 64 del registro conflitti 1997.

  Udito nell'udienza pubblica del 6 luglio 1999 il Giudice relatore Massimo Vari;

  uditi gli Avvocati Mario Bertolissi e Luigi Manzi per la Regione Veneto.

Ritenuto in fatto

1.¾ Con ricorso regolarmente notificato e depositato, la Regione Veneto ha impugnato, per regolamento di competenza, il decreto 20 dicembre 1996, con il quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia ha disposto il giudizio nei confronti del consigliere regionale Michele Boato, imputato del reato di diffamazione aggravata a mezzo stampa (art. 595, terzo comma, del codice penale).

Espone la Regione ricorrente che i consiglieri regionali Boato e Cacciari, in data 28 giugno 1995, avevano presentato un’interpellanza ¾ avente ad oggetto: "Esperti super partes per salvare Venezia, Chioggia ed il delta del Po dalla subsidenza irreparabile" ¾ concernente la valutazione del fenomeno della subsidenza nella laguna di Venezia, in relazione all’estrazione di metano da parte dell’AGIP S.p.A.

L’interpellanza faceva riferimento ai possibili componenti, indicati dal Ministro dell’ambiente, dell’istituenda Commissione incaricata di effettuare la predetta valutazione, operando, ad avviso della ricorrente, uno "stretto collegamento tra l’imprescindibile imparzialità degli esperti chiamati a pronunciarsi e l’irreparabilità dei danni" che ne sarebbero potuti seguire, ove gli accertamenti fossero stati inadeguati al caso; con essa si sottolineava, quindi, la necessità che la Commissione fosse "composta da geologi esperti sul fenomeno della subsidenza e super partes (che non abbiano avuto alcun rapporto di lavoro con l’AGIP)".

Successivamente ¾ prosegue il ricorso ¾ "in una linea di assoluta continuità con una simile formale ed istituzionale presa di posizione", il consigliere Boato stilava un testo ¾ pubblicato sul quotidiano "Il Gazzettino" del 20 gennaio 1996 ¾ dal titolo "Quegli esperti sono troppo amici dell’AGIP". Ivi dava conto, tra l’altro, della rilevanza ambientale dell’argomento; della nomina di una commissione di esperti per valutare l’impatto dell’eventuale estrazione di metano al largo di Venezia e Chioggia; della circostanza che i Consigli provinciale e comunale di Venezia avevano avanzato riserve in proposito, anche perché era stato chiamato a far parte dell’organo collegiale "un solo geologo", mentre i componenti erano "in gran parte di lunga consuetudine di lavoro per l’AGIP: e, proprio questo, Boato riteneva non confacente al caso".

Essendo stata presentata dagli esperti nominati nello scritto querela per il reato di diffamazione aggravata a mezzo stampa, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia disponeva il rinvio a giudizio del consigliere regionale Michele Boato.

2.¾ La Regione ricorrente sostiene che la descritta vicenda viene a configurare, sul piano strettamente oggettivo, della articolazione temporale degli eventi e della loro connessione causale, "la più classica delle violazioni" dell’art. 122, quarto comma, della Costituzione.

Nel richiamare la giurisprudenza costituzionale in argomento, la Regione Veneto rileva che "l’interpellanza ed il successivo scritto presentati dal consigliere Boato" ¾ non concretizzando "quel fatto materiale" che esclude l’operatività della guarentigia ¾ "individuano uno dei modi secondo cui si estrinseca, in forma non legislativa, la funzione di indirizzo politico e di controllo del Consiglio sulla Giunta regionale".

Ritiene, inoltre, la ricorrente che, "attraverso la lesione delle prerogative stabilite dall’art. 122, quarto comma, della Costituzione, sono state violate ulteriori disposizioni della Costituzione: quelle degli artt. 121 e 123, poiché l’alterazione delle attribuzioni accordate dalla legge fondamentale al consigliere regionale che esprime opinioni e dà voti si riverbera sull’intera organizzazione dell’ente e sull’esercizio delle relative funzioni, entrambi costituzionalmente protetti".

La Regione Veneto chiede, perciò, che venga dichiarato "che non spetta allo Stato (e, per esso, al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia) emettere decreti che dispongono il giudizio (ex art. 429 del codice di procedura penale), atti finalizzati all’accertamento di responsabilità penali riconducibili all’area di operatività dell’art. 122, quarto comma, della Costituzione e, suo tramite, degli artt. 121 e 123 della Costituzione". Chiede, altresì, che la Corte annulli il decreto emesso il 20 dicembre 1996 dal predetto Giudice.

3.¾ Con memoria illustrativa depositata in prossimità dell’udienza, la Regione Veneto ha insistito per l’accoglimento del ricorso, ribadendo ¾ in linea con le considerazioni svolte nell’atto di promovimento del giudizio e attraverso il richiamo della più recente giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 382 e n. 289 del 1998) ¾ la sussistenza di "un evidente nesso funzionale" tra la "manifestazione di pensiero politico delineata" dal consigliere regionale Boato, con lo scritto pubblicato il 20 gennaio 1996 sul quotidiano "Il Gazzettino" e la precedente interpellanza, presentata il 28 giugno 1995.

Considerato in diritto

1.¾ La Regione Veneto solleva conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione al decreto 20 dicembre 1996, con il quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia ha disposto il giudizio nei confronti del consigliere regionale Michele Boato, per il reato di diffamazione aggravata a mezzo stampa (art. 595, terzo comma, del codice penale); fatto consistito, secondo quanto è dato desumere dagli atti, nelle espressioni usate, in uno scritto pubblicato sul quotidiano "Il Gazzettino" del 20 gennaio 1996, nei confronti di coloro che erano stati chiamati a far parte di una commissione incaricata di valutare il fenomeno della subsidenza nella laguna di Venezia.

Ritiene la ricorrente che detto atto sia invasivo delle prerogative garantite ai componenti del Consiglio regionale dall’art. 122, quarto comma, della Costituzione, nonché, in via mediata, delle attribuzioni regionali in materia di organizzazione e di funzioni degli organi, riconosciute dagli artt. 121 e 123 della Costituzione. Ciò in quanto il fatto per il quale si procede penalmente nei confronti del predetto consigliere regionale si porrebbe in "connessione causale" con le funzioni esercitate dal medesimo attraverso una interpellanza, che in precedenza (il 28 giugno 1995) egli aveva presentato, unitamente ad altro consigliere, sul fenomeno della subsidenza nella laguna di Venezia e sui criteri che si sarebbero dovuti seguire nella scelta degli esperti chiamati a valutare il fenomeno stesso.

2.¾ Il ricorso è fondato.

L'art. 122, quarto comma, della Costituzione, dispone che i consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere per le opinioni espresse ed i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni.

Secondo la giurisprudenza costituzionale, tale esonero da responsabilità, posto a salvaguardia dell’autonomia e dell’indipendenza costituzionalmente riservate al Consiglio regionale, ricomprende tutte quelle attività che costituiscono esplicazione sia di una funzione consiliare tipica, sia delle attribuzioni direttamente affidate a detto organo dalla stessa Costituzione o dalle altre fonti normative cui la prima rinvia. Altrettanto indubbio è, secondo la giurisprudenza, che fra gli atti tipici, vanno annoverate le interrogazioni e le interpellanze, in quanto strumentali al sindacato esercitato dal Consiglio nei confronti della Giunta (sentenza n. 274 del 1995).

Come, peraltro, questa Corte ha avuto occasione di precisare, sia pure con riguardo all'analoga guarentigia prevista dall'art. 68, primo comma, della Costituzione, per i membri del Parlamento, l’immunità in parola si estende anche a quei comportamenti che, pur non rientrando fra gli atti tipici, siano collegati da nesso funzionale con l'esercizio delle attribuzioni proprie dell'organo di appartenenza (sentenze n. 329 del 1999 e n. 289 del 1998). Onde va ritenuta ricompresa nella guarentigia la riproduzione all'esterno di interpellanze o interrogazioni (v. la già menzionata sentenza n. 274 del 1995).

Alla luce di siffatto criterio è innegabile la sussistenza del cennato nesso funzionale, dal momento che le opinioni e le valutazioni manifestate dall'interessato sulla stampa non fanno altro che riprodurre, sostanzialmente, il contenuto dell'interpellanza a suo tempo presentata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spetta allo Stato, e per esso al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia, disporre il giudizio nei confronti del consigliere regionale Michele Boato, per il reato di cui all'art. 595, terzo comma, del codice penale, a causa delle opinioni espresse nell'articolo pubblicato sul quotidiano "Il Gazzettino" del 20 gennaio 1996, e conseguentemente annulla il decreto 20 dicembre 1996 con il quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia ha disposto detto giudizio.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 ottobre 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 22 ottobre 1999.