ORDINANZA N. 358
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 34, comma 2, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 4 maggio 1998 dalla Corte di cassazione, iscritta al n. 758 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1998.
Udito nella camera di consiglio del 7 luglio 1999 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.
Ritenuto che con ordinanza in data 4 maggio 1998 la Corte di cassazione, investita di un ricorso avverso un'ordinanza del Tribunale di Belluno, con la quale era stata rigettata una dichiarazione di ricusazione proposta da un imputato nei confronti del Pretore di Belluno, sezione di Pieve di Cadore, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'articolo 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità per il giudice del dibattimento che abbia precedentemente pronunciato sentenza di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. nei confronti di altro soggetto, valutando lo stesso fatto;
che il remittente riferisce che il ricusante era stato, unitamente ad altri, tratto a giudizio per rispondere del reato di cui all'art. 221 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 (Testo unico delle leggi sanitarie) e che il pretore aveva pronunciato sentenza di applicazione della pena nei confronti di alcuni suoi coimputati, previa separazione delle loro posizioni;
che, quanto alla rilevanza della questione, la Corte di cassazione osserva che il pretore con la sentenza di applicazione della pena emessa nei confronti dei coimputati avrebbe già valutato la vicenda processuale, escludendo che ricorressero gli estremi per applicare l'art. 129 cod. proc. pen. e, in particolare, ritenendo ininfluente un certificato di abitabilità, la cui legittimità ed efficacia sarebbe determinante ai fini del giudizio nei confronti di tutti gli imputati, ivi compreso il ricusante;
che il giudice remittente, pur dichiarandosi consapevole che con la sentenza n. 186 del 1992 questa Corte ha escluso che la pronuncia di una sentenza di applicazione della pena su richiesta nei confronti di un coimputato determini incompatibilità a celebrare il giudizio nei confronti dei concorrenti negli stessi reati, afferma che questa pronuncia nella sua assolutezza sarebbe stata "superata" dalla successiva giurisprudenza costituzionale, e segnatamente dalla sentenza n. 371 del 1996, con la quale é stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti, nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilità penale sia già stata comunque valutata;
che, però, ad avviso del giudice a quo, quest'ultima sentenza riguarderebbe esclusivamente le ipotesi di concorso necessario nel reato, sicchè occorrerebbe "ampliarne la sfera di applicazione in relazione all'avvenuto esame di merito di tutto il materiale probatorio comune ai diversi imputati";
che in difetto di una ulteriore dichiarazione di illegittimità costituzionale in parte qua dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale verrebbe violato il principio del giusto processo, poichè per il peculiare atteggiarsi della fattispecie probatoria ¾ fondandosi la responsabilità degli imputati sugli stessi ed unici elementi di fatto e quindi sulla medesima ed intera prova ¾ il giudice con la sentenza emessa ex art. 444 cod. proc. pen. non avrebbe potuto non formarsi un convincimento non soltanto sul merito dell'azione penale svolta contro gli imputati che hanno richiesto ed ottenuto l'applicazione "patteggiata" della pena, ma anche, seppure incidentalmente, sul merito dell'intera vicenda di fatto e, quindi, sulla posizione del residuo coimputato rimasto estraneo a quel processo e successivamente sottoposto al suo giudizio con il rito ordinario;
che, infine, a giudizio della Corte remittente, escludere la sussistenza dell'incompatibilità soltanto in virtù del dato meramente formale dell'assenza nella sentenza di cui all'art. 444 cod. proc. pen. di qualsiasi accertamento di responsabilità, significherebbe negare l'evidenza e trascurare l'esistenza di una valutazione probatoria di analoga pregnanza rispetto a quella svolta nel giudizio dibattimentale, destinata ad incidere sul futuro dibattimento.
Considerato che la Corte di cassazione dubita, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'articolo 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità del giudice del dibattimento che abbia precedentemente pronunciato sentenza di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. nei confronti di altri soggetti, valutando lo stesso fatto;
che questa Corte nella sentenza n. 371 del 1996, richiamata nell'ordinanza di remissione, ha già precisato che l'incompatibilità sussiste in tutti i casi in cui sia stata espressa nella sentenza che definisce il giudizio, sia pure incidentalmente, una valutazione in ordine alla responsabilità penale di un terzo, e successivamente ha puntualizzato che adottare una sentenza di applicazione della pena su richiesta nei confronti di un concorrente nel reato non significa necessariamente esprimere valutazioni circa la responsabilità penale degli ulteriori concorrenti estranei al processo (ordinanze nn. 281 e 127 del 1999), come d'altronde avere valutato una prova nei confronti di un imputato non vuol dire necessariamente esprimere una valutazione di responsabilità nei confronti di terzi che non hanno partecipato al giudizio (ordinanza n. 135 del 1999);
che non vi é ragione di argomentare ulteriormente in ordine agli anzidetti precedenti, sicchè la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 34, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, dalla Corte di cassazione con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1999.
Renato GRANATA, Presidente
Carlo MEZZANOTTE, Redattore
Depositata in cancelleria il 22 luglio 1999.