Ordinanza n. 124/99

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ORDINANZA N. 124

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 459, comma 4, del codice di procedura penale, promossi con otto ordinanze emesse l’11 maggio 1998 dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura circondariale di Pistoia, rispettivamente iscritte ai nn. 518, 519, 520, 521, 522, 523, 524 e 525 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell’anno 1998.

  Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 1999 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

  Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura circondariale di Pistoia ha sollevato, con ordinanza dell’11 maggio 1998 (R.O. n. 518/1998), questione di legittimità costituzionale dell’art. 459, comma 4, cod. proc. pen., in riferimento all’art. 24, secondo comma, della Costituzione;

  che, come riferisce l’ordinanza di rinvio, nel giudizio principale, relativo al reato di frode nell’esercizio del commercio (per consegna di un prodotto diverso da quello richiesto), la persona offesa dal reato - in persona del legale rappresentante del consorzio preposto, secondo la normativa vigente, alla tutela del prodotto oggetto della richiesta - ha depositato un atto con il quale, oltre a chiedere di essere informata circa l’eventuale richiesta di archiviazione a norma dell’art. 408 cod. proc. pen. e di ricevere gli avvisi previsti dalla disciplina processuale, ha dichiarato la propria intenzione di costituirsi parte civile nel corso del processo penale, e successivamente il pubblico ministero ha formulato richiesta di emissione di decreto penale di condanna, richiesta sulla quale si trova a dover decidere il rimettente;

  che il giudice a quo osserva che l’accoglimento della domanda di emissione del decreto penale, nella specie possibile in mancanza di qualsiasi ragione ostativa, comporterebbe, per la persona offesa, un pregiudizio, consistente appunto nell’impossibilità di costituirsi parte civile nel prosieguo del processo, senza d’altra parte che a tale preclusione faccia riscontro la possibilità, per la stessa persona offesa, di giovarsi dell’efficacia di giudicato del decreto penale, giacchè l’art. 460, comma 5, cod. proc. pen., stabilisce che il decreto di condanna esecutivo non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo;

  che l’anzidetta disciplina, se da un lato pone l’imputato al riparo dalle conseguenze extrapenali del provvedimento di condanna, derogando alla regola generale dell’art. 651 del codice in tema di efficacia del giudicato penale, anche per disincentivare l’interesse a proporre opposizione, dall’altro, ad avviso del rimettente, priva di tutela la persona offesa che sia intenzionata a esercitare l’azione risarcitoria in sede penale e che tale intenzione abbia manifestato, poichè a questa viene sottratto il "diritto di promuovere l’azione civile nel processo penale", restando essa obbligata, per far valere le proprie ragioni, ad agire esclusivamente in sede civile;

  che inoltre la norma denunciata inciderebbe sull’attività decisoria del giudice richiesto del decreto penale, poichè, essendo possibile a norma dell’art. 460, comma 2, cod. proc. pen., concedere con il decreto la sospensione condizionale della pena, ed essendo questa passibile, secondo l’art. 165 cod. pen., di subordinazione all’adempimento dell’obbligo delle restituzioni e al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, l’impossibilità di una qualsiasi pronuncia sull’azione civile nel procedimento per decreto precluderebbe al giudice di fare ricorso a tale istituto, in vista della tutela degli interessi del danneggiato;

  che, per le ragioni anzidette, il giudice rimettente ravvisa nella disciplina impugnata la lesione della garanzia costituzionale della difesa della persona offesa "costituenda" parte civile, prospettando pertanto l’illegittimità costituzionale dell’art. 459, comma 4, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che il procedimento per decreto non é ammesso quando risulta la volontà della persona offesa dal reato di costituirsi parte civile nel processo penale;

  che la medesima questione é stata sollevata dallo stesso rimettente con altre sette ordinanze, tutte in data 11 maggio 1998 (R.O. nn. da 519 a 525/1998), emesse in altrettanti procedimenti penali;

  che é intervenuto in tutti i giudizi così promossi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che, inquadrando la denunciata limitazione nell’ambito del più generale intento di incentivazione del ricorso ai riti alternativi, e rilevando d’altra parte la possibilità per la persona offesa di agire comunque per il danno nella sede propria, ha concluso per l’infondatezza della questione sollevata.

  Considerato che le ordinanze di rimessione sollevano, con identica motivazione, la medesima questione e che i relativi giudizi possono pertanto essere riuniti e definiti con un’unica decisione;

   che il giudice rimettente richiede a questa Corte una pronuncia che, per consentire alla persona offesa dal reato di costituirsi parte civile, escluda l’ammissibilità del ricorso al procedimento speciale disciplinato dal titolo V del libro VI cod. proc. pen., per il sol fatto che l’anzidetta intenzione sia stata manifestata dalla persona offesa in modo esplicito, anteriormente all’esercizio dell’azione penale;

  che in senso contrario rispetto a questa prospettazione deve in primo luogo essere ribadito il rilievo, già altre volte sottolineato da questa Corte, secondo il quale l’assetto generale del nuovo processo é ispirato all’idea della separazione dei giudizi, penale e civile, essendo prevalente, nel disegno del codice, l’esigenza di speditezza e di sollecita definizione del processo penale rispetto all’interesse del soggetto danneggiato di esperire la propria azione nel processo medesimo (v. sentenze nn. 353 del 1994, 192 del 1991);

  che più in particolare, con riferimento alla lamentata compressione del diritto di difesa - e di azione - del soggetto cui il reato ha recato danno, questa Corte ha già più volte rilevato che l’eventuale impossibilità per il danneggiato di partecipare al processo penale non incide in modo apprezzabile sul suo diritto di difesa e, ancor prima, sul suo diritto di agire in giudizio, poichè resta intatta la possibilità di esercitare l’azione di risarcimento del danno nella sede civile, traendone la conclusione che ogni "separazione dell’azione civile dall’ambito del processo penale non può essere considerata come una menomazione o una esclusione del diritto alla tutela giurisdizionale", essendo affidata al legislatore la scelta della configurazione della tutela medesima, in vista delle esigenze proprie del processo penale (sentenze nn. 443 del 1990, 171 del 1982, 166 del 1975);

  che la lamentata esclusione della "potenziale" parte civile dalla possibilità di far valere le proprie ragioni nel giudizio penale, in conseguenza dell’adozione del procedimento per decreto, d’altra parte, non deriva da una disciplina relativa alla partecipazione di detto soggetto al processo penale, bensì consegue alla radicale impossibilità di esercitare l’azione di danno prima e al di fuori della fase processuale in senso proprio, non potendosi dare la costituzione di "parte" se non allorchè sia insorto un vero e proprio rapporto processuale (sentenza n. 192 del 1991 citata);

  che, per questo aspetto, non può darsi seguito all’idea del rimettente di rovesciare i termini della disciplina, escludendo che possa definirsi il procedimento attraverso un determinato rito alternativo solo perchè sia espressa dalla persona offesa un’intenzione di costituirsi in una fase, quella del giudizio, che, nella struttura del procedimento per decreto, é eventuale e successiva, conseguente all’opposizione;

  che risulterebbe improprio un sistema che consentisse di esperire un determinato rito alternativo, sussistendone i presupposti, solo in dipendenza di una sorta di determinazione meramente potestativa della persona offesa, che non riveste la qualità di parte;

  che l’anzidetto rilievo é ulteriormente avvalorato dalla constatazione secondo la quale il diritto per il danneggiato di esperire l’azione civile in sede penale non é oggetto di garanzia costituzionale, come tale (sentenza n. 98 del 1996);

  che, alla stregua delle osservazioni che precedono, e dell’evidente possibilità per il danneggiato di far valere le pretese risarcitorie in sede propria, non può ravvisarsi la lamentata violazione del parametro costituzionale dedotto;

  che d’altra parte il profilo dell’"incidenza" della mancanza di un soggetto-parte civile sulla determinazione giudiziale relativa alla concessione della sospensione condizionale dell’esecuzione di pena non é idoneo a condurre a diversa conclusione, perchè, una volta che non si dia luogo all’azione di danno, senza che ciò ponga problemi di costituzionalità, l’impossibilità di subordinare il beneficio sospensivo a statuizioni "civili" della sentenza non produce altro effetto se non quello di rendere semplicemente inoperante, nella specie, la disposizione che regola il particolare istituto;

  che la questione sollevata deve pertanto essere dichiarata manifestamente infondata, sotto ogni profilo.

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  riuniti i giudizi,

  dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 459, comma 4, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all’art. 24, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura circondariale di Pistoia, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 aprile 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in cancelleria il 16 aprile 1999.