Ordinanza n. 76/99

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ORDINANZA N.76

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 47, comma 2, del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639 (Attuazione delle deleghe conferite al Governo con gli artt. 27 e 29 della legge 30 aprile 1969, n. 153, concernente revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), e dell'art. 6, comma 1, ultima parte, del decreto-legge 29 marzo 1991, n. 103 (Disposizioni urgenti in materia previdenziale), convertito in legge 1° giugno 1991, n. 166, promossi con n. 2 ordinanze emesse l'11 novembre 1996 dal Pretore di Torino nei procedimenti civili vertenti tra Razzetti Agostino, Rollero Margherita e l'INPS, iscritte ai nn. 75 e 76 del registro ordinanze 1997 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell'anno 1997.

  Visti gli atti di costituzione dell'INPS nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell'udienza pubblica del 23 febbraio 1999 il giudice relatore Cesare Ruperto;

  uditi l'avvocato Carlo De Angelis per l'INPS e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

  Ritenuto che, nel corso di due procedimenti promossi contro l’INPS da pensionati, al fine di ottenere la riliquidazione della pensione di reversibilità ed il pagamento delle differenze arretrate dalla data originaria di decorrenza del diritto, il Pretore di Torino - al quale, a séguito dell’emanazione del decreto-legge 28 marzo 1996, n. 166, erano stati restituiti gli atti, con ordinanza di questa Corte n. 164 del 1996, al fine di valutare la perdurante rilevanza delle stesse questioni già sollevate nell’anno 1995 -, con ordinanze emesse l’11 novembre 1996 ha nuovamente sollevato, con identiche motivazioni, questione di legittimità costituzionale degli artt. 47, secondo comma, del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639 (Attuazione delle deleghe conferite al Governo con gli artt. 27 e 29 della legge 30 aprile 1969, n. 153, concernente revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), e 6, comma 1, ultima parte, del decreto-legge 29 marzo 1991, n. 103 (Disposizioni urgenti in materia previdenziale), convertito in legge 1° giugno 1991, n. 166, i quali prevedono che, in caso di mancata proposizione di ricorso amministrativo, i termini di decadenza per l’esercizio dell’azione giudiziaria diretta al conseguimento della prestazione previdenziale decorrono dall’insorgenza dei singoli ratei;

  che, secondo il rimettente, le denunciate norme - nella parte in cui non prevedono che, per gli assicurati o pensionati i quali, dopo aver presentato una domanda all’istituto previdenziale, non l'abbiano fatta seguire dal prescritto iter amministrativo, i termini di decadenza dall'azione giudiziaria decorrano dalla data di scadenza dei termini prescritti per l'esaurimento del procedimento amministrativo, computati dalla data di presentazione della richiesta di prestazione, ed invece stabiliscono che essi decorrano dall’insorgenza dei singoli ratei - sono in contrasto con l’art. 3 Cost., per violazione del principio di ragionevolezza, atteso il trattamento più favorevole, in punto di decadenza del diritto alle rate della pensione, che viene così riservato a coloro i quali hanno presentato la richiesta di prestazione omettendo di proporre ricorso amministrativo, rispetto a quanti hanno invece diligentemente coltivato la domanda attivando il procedimento contenzioso amministrativo;

  che, nel motivare la rilevanza della questione, il rimettente osserva come la normativa sopravvenuta - la quale, nel dettare una nuova disciplina del pagamento delle somme arretrate dovute a titolo di integrazione al trattamento minimo in applicazione delle sentenze di questa Corte n. 495 del 1993 e n. 240 del 1994, dispone l’estinzione d’ufficio dei giudizi pendenti - non abbia alcuna incidenza nei giudizi a quibus, in quanto: a) la pronuncia di estinzione dei giudizi presuppone che la domanda sia fondata ed accoglibile, per cui, "mancando la richiesta pronuncia di incostituzionalità, l’Ente previdenziale si troverebbe tuttora esposto al rischio di dover sborsare somme ben superiori a quelle da corrispondere in caso di accoglimento della presente eccezione"; b) la normativa sopravvenuta si riferisce solo all’attuazione delle citate sentenze n. 495 del 1993 e n. 240 del 1994, mentre la normativa sospettata di incostituzionalità ha carattere generale, riguardando qualsiasi prestazione previdenziale per la quale non siano previsti termini decadenziali o prescrizionali diversi;

  che nei giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e si é costituito l’INPS, concludendo entrambi per l’infondatezza delle sollevate questioni.

  Considerato che i giudizi, concernendo le stesse norme, denunciate con identiche motivazioni, possono essere riuniti e congiuntamente decisi;

  che, essendo state le medesime questioni di legittimità costituzionale già sollevate nel corso dei giudizi a quibus (R.O. nn. 524 e 525 del 1995), questa Corte, con ordinanza n. 164 del 1996, dispose la restituzione degli atti al giudice a quo affinchè valutasse "la rilevanza della questione sollevata alla stregua del diritto sopravvenuto" a séguito dell'emanazione del decreto-legge 28 marzo 1996, n. 166, nel cui art. 1, comma 3, veniva prevista l’estinzione dei giudizi in corso riguardanti il pagamento di quanto dovuto in applicazione delle sentenze n. 495 del 1993 e n. 240 e del 1994;

  che gli effetti del citato decreto-legge n. 166 del 1996 e dei successivi decreti-legge nn. 295, 396 e 499 del 1996, tutti decaduti, sono stati fatti salvi dall’art. 1, comma 6, della legge n. 608 del 1996, come interpretato dall'art. 73, comma 4, della legge n. 448 del 1998; ed inoltre la previsione dell’estinzione d’ufficio dei giudizi riguardanti sempre l’applicazione delle sentenze n. 495 del 1993 e n. 240 del 1994 é stata confermata dall’art. 1, comma 183, della legge n. 662 del 1996 e ribadita dall’art. 36, comma 5, della legge n. 448 del 1998;

  che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, assume preliminare rilievo logico-processuale rispetto ad ogni possibile censura di incostituzionalità il disposto legislativo di dichiarazione d’estinzione dei giudizi pendenti, costituente precetto ineludibile da parte del giudice che ne é investito (v. sentenza n. 103 del 1995);

  che solo ove dovesse venir dichiarata l'incostituzionalità di siffatta disposizione potrebbe essere condotto l’esame del merito di altre possibili questioni di incostituzionalità riguardanti norme ancora applicabili in un processo, le quali viceversa perdono di rilevanza (cfr. in tal senso anche le ordinanze n. 368 e n. 370 del 1997, n. 15 e n. 45 del 1998);

  che, dunque, palesemente prive di consistenza sono le argomentazioni svolte dal rimettente in ordine all'asserita ininfluenza di detta previsione nei giudizi a quibus, promossi proprio per ottenere la riliquidazione della pensione di reversibilità a séguito dei pronunciamenti di questa Corte;

  che, pertanto, la mancata censura della previsione stessa, la quale appunto trova immediata applicazione anche nella fattispecie, rende le sollevate questioni manifestamente inammissibili.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  riuniti i giudizi,

  dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 47 secondo comma, del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639 (Attuazione delle deleghe conferite al Governo con gli artt. 27 e 29 della legge 30 aprile 1969, n. 153, concernente revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale) e 6, comma 1, ultima parte, del decreto-legge 29 marzo 1991, n. 103 (Disposizioni urgenti in materia previdenziale), convertito in legge 1° giugno 1991, n. 166, sollevate - in riferimento all’art. 3 della Costituzione - dal Pretore di Torino, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 marzo 1999.

Presidente Renato GRANATA

Redattore Cesare RUPERTO

Depositata in cancelleria il 18 marzo 1999.